Col di Luna,
magica cima della Val Tramontina.
Il Col di Luna, la
selvaggia montagna, la notai per la prima volta durante l’escursione che
effettuai insieme all’amico John, presso le dirimpettaie cime che dominano il
borgo di Palcoda. Ci colpì da subito la sua forma a cono rovesciato, un finto
vulcano che si estende verso il cielo. Dell’asperità allora ignoravo il nome, a
casa ne studiai la topografia, scoprendo che è nominato “Col di Luna”: <Che bel nome!> Esclamai,
e così fatte le dovute ricerche l’ho inserito nella lista dei monti da visitare.
Nel gennaio dell’anno precedente osai la prima ascesa, ma trovando eccessivo
ghiaccio, optai per il vicino e sorprendente monte Crepa.
Come spesso un tempo amava citare “Fra Cristofaro“
ai novelli avventurieri:<< la cima sa da fare!>>,
Ed eccomi al 12 gennaio del corrente mese, io e il
fedele Magritte, compagno di mille avventure, partiamo per la Val Tramontina.
In questo periodo post-festivo si respira aria ancora un ‘atmosfera natalizia e i borghi sono
ancora addobbati a festa. La valle alle prime ore del mattino è bigia e fredda,
mi inoltro con l’auto nel cuore del
luogo, fino a raggiungere Tramonti di Sopra, e procedendo a memoria, percorro
la stradina con le indicazioni per Pradis. Superato il torrente Meduna, tramite
dei stretti tornanti raggiungo la piccolissima frazione (403 m.).
Arresto la marcia con il ruotato poco prima di una
asta in metallo che sbarra l’accesso al monte, spengo il motore dell’auto,
scendo dal mezzo, effettuo un respiro
profondo e mi appronto per l’escursione.
Conosco bene la
strada forestale che conduce al monte, essa è ombrosa, quindi, zaino in spalle
e sogni al seguito, mi avvio percorrendo il tedioso percorso iniziale, scandito dai ruderi delle remote stalle.
Durante l’ascesa mi soffermo spesso ad ammirare le
vicine montagne, tra cui spicca e ammiro la bellissima mole del Roppa Buffon,
lungo la sua dorsale e a settentrione, spicca ben visibile la rocciosa aquila
che precede il monte Frascola. I ricordi volano a ritroso alle stagioni
trascorse e alle solitarie escursioni nella zona.
Raggiunto un tornante (posto a quota 895 m.),
abbandono la rotabile per iniziare il tratto più impegnativo, quello selvatico.
Dalla curva del tornante mi porto sul ripido
pendio inerbito e seguito dall’istinto lo risalgo tra le zolle d’erba la lunga
e ripida dorsale, la strana sensazione che percepisco è quella di camminare sulla
schiena di un gigante dormiente.
Non ci sono tracce e segni, seguo una linea
immaginaria che mi porta su. La forza di volontà è accompagnata dall’istinto,
Magritte mi segue fiducioso, insieme ne abbiamo viste di tutti i colori e fatte
di cotte e di crude.
Lungo il ripido crinale mi mantengo a filo tra i
due versanti, metro dopo metro, guadagno quota e non oso guardare in alto, la
meta è ancora lontana e il percorso ancora lungo tortuoso.
Adesso sono un lupo e vago sicuro, intraprendo i
passaggi migliori, cercando nei fili d’erba le zolle ben piantate per procedere
sicuro. Le sofferenti cortecce dei faggi esposte al lungo vivere paiono
sculture che vibrano e trasmettono pathos ed energia, ne fotografo alcune
mentre la saggia Artemide mi conduce nella fatica, donandomi ciò che le è più
caro.
Risalire il crinale non è particolarmente difficile,
a volte ho l’impressione di scorgere tracce di camoscio o segni di passaggio di
bipedi, poi rifletto e sorrido, le
impronte appartengono la dea che mi precede . La visuale è ampia: a
meridione domina i laghi della Val Tramontina, a settentrione la folta foresta cela
la visuale, mentre a oriente spiccano per bellezza e sontuosità il monte Rest e
il massiccio del Valcalda.
Continuo ad ascendere il crinale, e senza patemi, ed
è straordinario per il sottoscritto, malgrado il decorso post-influenzale sono
in forma, ed è solo la seconda uscita dall’inizio dell’anno. Ascendo ancora,
senza aver un attimo di sosta e Magritte, il riflessivo amico, con il suo
silenzio mi fa compagnia.
Presso quota 1272 metri, una lieve traccia mi
suggerisce di abbandonare la cresta, guidandomi in un ampio terreno meno
scosceso, dove mi ritrovo a districarmi tra le dune con affioramenti rocciosi e
popolate dalle forme bizzarre degli stregati faggi antropomorfi.
L’ambiente è incantato e spettrale allo stesso tempo.
Avanzo, sempre guidato dal fiuto di lupo, supero i dorsi che mi guidano alle
quote maggiori, mentre al di sotto dei versanti scoscesi osservo gli
inquietanti canali che, come imbuti, attirano lo spirito dentro gli orrendi
inghiottitoi.
Non devo assolutamente perdere l’orientamento,
sarebbe fatale, Artemide mi guida lungo
la china, fino a sbucare nel prato sommitale che ospita i ruderi di una malga.
Rimango sorpreso di come osavano i malgari, portando durante la transumanza il bestiame,
dai prati della valle fin quassù. Sospinto dall’euforia di essere vicino alla
meta, risalgo gli ultimi metri fino alla cresta con il groppo alla gola. Una carezza di luce mi avvolge, mi dirigo
verso un piccolo ometto di sassi sormontato da una targa in legno con su inciso
il nome del monte. Fatta! Missione compiuta.
La quota più alta è occupata da una fitta
boscaglia di faggi, mentre per la visione panoramica mi sporgo verso la valle, da
dove domino il versante sud-occidentale e le vicine catene montuose.
La prima elevazione che attira l’attenzione è la
dorsale del Raut, e poi dietro di essa le altre infinite catene montuose.
L’isolata cima ha effettivamente un qualcosa di magico, e la semplicità che la
contraddistingue la rende unica e particolare. Mi godo l’infinita bellezza e
adopero un masso vicino l’ometto che mi fa da piedistallo per la reflex per le
foto di rito.
Tra i sassi dell’ometto scopro un barattolo con il
relativo libro di vetta, appongo dentro il contenitore il simbolo del gruppo “spiriti
liberi”, e dopo una decina di minuti di autentica catarsi meditativa mi preparo
al ritorno.
Non è agevole il rientro a ritroso, e malgrado sia
munito di GPS, preferisco avvalermi del fiuto del fido Magritte, che mi guida con
maestria rapidamente fuori dal labirinto di vetta.
Raggiunta la cresta, posso concedermi il meritato
riposo con una ricreativa sosta per recuperare le energie. Riprese le forze, per
la discesa indosso i ramponi da erba, utili a rendere meno problematica la
discesa, e infatti senza intoppi procedo con prudenza, visto che voglio
arrivare prima del crepuscolo all’auto.
Raggiunta la carrareccia, procedo a ritroso, iniziando
un lungo cammino dove non ho nulla di
particolare da descrivere. Vagando mi diletto a fantasticare: immagino che al rientro a valle berrò qualcosa di
caldo, benché tenga nello zaino un termos con la calda tisana, ma non ho
nessuna voglia di fermarmi, aprire lo zaino, ecc. ecc. E mentre continuo a fantasticare
il freddo inizia a farsi sentire ed è
sempre più pungente.
Una volta raggiunta la località di Pradis, mi
complimento con il mio compagno di viaggio, e liberandomi dagli scarponi, mi
appresto per il rientro a valle.
Tramonti di Sopra come centro sembra spopolato,
cerco invano l’amico Gianni, non lo trovo, e malgrado tutto ho il piacere di
fare conoscenza con il suo gattone siamese. Ripreso il cammino, sempre in auto,
rientro a valle.
Qualcuno lassù (la Dea) non paga di avermi fatto
sognare mi offre un gradito dono: un tramonto infuocato, magnifico e romantico,
che mi conduce fino all’uscio dell’abitazione. Stanchi ma paghi, ha così
termine la giornata del viandante e del suo fedele amico, con una cima
conquistata e una nuova storia da raccontare.
Malfa.
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