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domenica 27 febbraio 2022

Monte Chiampon da Lesis (Claut PN)

Monte Chiampon da Lesis (Claut PN)

 

Anteprima.

 

Localizzazione: Prealpi Carniche - Catena Chiarescons- Cornaget- Ressetum- Dorsale Cornaget-Caserine

 

Avvicinamento: Lestans- Maniago- Montereale Valcellina- Barcis- Claut-dal centro del paese proseguire per la frazione di Lesis (ampio parcheggio poco prima delle prime abitazioni.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia.

 

Provincia di: PN

.

Dislivello: 1200 m.

 

Dislivello complessivo: 1333 m.


Distanza percorsa in Km: 12


Quota minima partenza: 640 m.

 

Quota massima raggiunta: 1831 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: panoramica- naturalista- alla ricerca di sentieri remoti.

 

Difficoltà: Escursionisti Esperti atti a operare in ambiente selvaggio privo di tracce e radi segni (Z (zita) rossa su alcuni faggi.

 

Tipologia di sentiero affrontato: Mulattiera tipica delle montagne-sentiero remoto ridotto a traccia di animali selvatici-

 

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio-alto

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: istallato contenitore spiriti liberi.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 021
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: primavera e autunno

3)                

4)               Da evitare da farsi in: con presenza di terreno molto gelato

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: 08 febbraio 2022

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Divina e sorprendente l’escursione sul monte Chiampon da Claut, ben più alto di 122 metri rispetto all’omonimo e famoso di Gemona. L’ho scoperto per caso, mentre mi trovavo sul monte Polsia e scrutavo all’orizzonte le catene montuose circostanti. In quell’occasione notai da lontano un cupolone, dal bell’aspetto, parzialmente innevato e con una quota non modesta. Incuriosito, cercai immediatamente nella mappa della zona che avevo al seguito. L’elevazione in questione, oltre ad avere un nome   è provvista anche di sentieri che salgono fino in alta quota.

Rientrato a casa, mi organizzo per la nuova avventura. Mappe antiche e nuove, messe a   confronto tra loro, cerco e trovo i punti in comune, per progettare e segnare l’itinerario. Sul web trovo del materiale, tra cui due interessanti relazioni: una è redatta dal mitico “Ravanatore” ed è stata effettuata con la presenza di neve, la seconda, molto più completa l’ho letta sul blog “Dolomiti di destra Tagliamento e Prealpi Carniche”. Valuto tutto, esposizione, quote e chilometraggio, quindi, una volta che l’equipaggiamento e i materiali sono pronti, aspetto che giunga il giorno propizio.

Il primo giorno utile e che il meteo mette al bello, transito per la valle del Cellina, alla volta della località Claut. Stavolta supero la cittadina e mi spingo oltre, fino a Lesis, sperando di non trovare la strada bloccata dal ghiaccio. Infatti, come immaginavo, l’arteria è percorribile sino alla piccola frazione, dove ho la fortuna di trovare uno spiazzo libero da ghiacciate per lasciare l’automezzo. La valle dove scorre il torrente Cellina ha un aspetto cupo e glaciale, addirittura la guarda forestale con il fuori strada non va oltre il ponte sul torrente di pochi metri, per poi depositare a terra una moto slitta e procedere con quest’ultima per il vallone.

Appena fuori dall’auto devo procedere con attenzione, il ghiaccio è ovunque, quindi, il pericolo è costante. Con peripezia attraverso il borgo di Lesis, spingendomi dove c’è la neve meno dura. Solo un nativo è fuori dall’abitazione, pensoso e assolto ancora dal sogno effettuato, mentre il fumo di tanti camini fumanti fanno intuire che il resto degli abitanti è intenta a scaldarsi o fare colazione intorno a un fuoco acceso. Dalla periferia del borgo, lambendo alcuni orti, mi spingo tramite una mulattiera verso gli Stavoli e Stalle del Pol. Un gattone sornione mi accoglie alla periferia dell’agglomerato rustico, mi guarda, scruta e poi fugge, lasciandomi un indizio.

Osservo le antiche costruzioni, sono in un ottimo stato, su tutte le porte delle abitazioni tengono allocata la medesima immagine, un santo circondato dagli animali della fattoria. Il santo in questione è Antonio Abate, monaco egiziano; che fu invocato in Occidente come patrono dei macellai, dei salumai, dei contadini, degli allevatori e anche come protettore degli animali domestici.

Come ho già scritto, ogni uscio riporta ha la medesima immagine, anche se alcune sono consumate dal tempo. Tramite un ponticello, prestando attenzione, guado il torrente Ciolesan risalendo l’argine opposto tramite la mulattiera. Presso uno stavolo leggo una scritta in rosso” Zita,” che nel mio dialetto significa fidanzata, ma ne ignoro il significato locale. Alcuni passi ancora e sbuco in un prato dove in mezzo allo stesso scorgo una figura luminosa, una fanciulla che danza, porta volteggia con una veste bianca ed è scalza. La fanciulla mi individua, interrompe la danza e con un cenno della mano mi indica di seguirla. La meravigliosa creatura ha capelli lunghi e scuri, fermati sulla nuca ferma sulla nuca con un fermaglio a forma di farfalla. Il volto ha un’espressione candida, e la pelle è di un delicato bianco rosato, mentre gli occhi sono di colore verde smeraldo. Benché sia scalza i piedi sono delicati e gentili come quelli delle ancelle del tempio dedicato a Venere Ericina, e non mi pare che incida solchi o cresi ombre sull’erba, anzi, pare che rasenti il suolo, come se fosse eterea. La giovinetta mi guida verso un sentiero che ben presto diviene mulattiera; del manufatto riconosco la tipologia. È il classico “troi”, sentiero di servizio ai malgari e ai montanari, ben edificato, adoperando ove fosse utile anche dei sassi per lastricare e recintare. Con una pendenza dolce l’antica via di comunicazione mi conduce nell’assolato versante prativo da dove posso ammirare (presso la Stalla Filippon) lo sviluppo dell’escursione fino alla cresta. La vetta del monte Chiampon non è ancora visibile, e non lo sarà fino all’ultimo tratto. Per un centinaio di metri la mulattiera si addentra in un’ansa boschiva adombrata, supero uno schianto, continuando il cammino sino a sfiorare la Stalla Naton, posta ai margini di un fitto boschetto di nocciolo.  Su un faggio posto alla base del ripido pendio ritrovo la dolce fanciulla, ella è poggiata con la schiena su un faggio dove è segnata una zeta in rosso, un leggero soffio di brezza le muove la veste, facendo intravedere le rosee gambe. Con un sorriso e l’indice mi indica la lettera, e portando il braccio teso in direzione del pendio anche la direzione, facendomi segno di seguirla. Inizio l’ascesa del ripido pendio, quasi 600 metri di dislivello, prima di raggiungere la malga Zuncol, forse la Z vista a inizio sentiero è l’iniziale della casera. Il tratto è ripido e intuitivo, a volte procedo per brevi tratti marcati, altre seguendo i segni dipinti sui faggi, e altre ancora a intuito. Mi mantengo costantemente sul dorso del crinale, è l’unica certezza che ho per non errare. Da quanto è lunga l’ascesa, pare un’eternità, e i pensieri, miei compagni di viaggio si librano nell’aria. La donzella spesso si ferma ad aspettarmi, a volte se ne sta seduta su un masso, altre volte mi fa da indicante dove il sentiero svanisce, mi attraggono e seducono i suoi gesti delicati. Non conosco il timbro della sua voce, come un dipinto emana bellezza e seduzione solo con la visione. Per ultimi 150 metri di dislivello prima della cresta, il sentiero volta a sinistra aggirando un bel salto roccioso. Affronto il tratto delicato ma non difficile, bisogna solo prestare attenzione, finché, a pochi metri della cresta, avvisto una bella parete, verticale e liscia e illuminata dal sole, mentre il sentiero, tra le zolle d’erba raggiunge la schiena del crinale, dove il sole trova una barriera.

Oltre la cresta mi ritrovo nel versante occidentale del monte, dove mi addentro nel versante boschivo fitto di faggi immersi nel gelato manto nevoso. Per sicurezza, decido di calzare i ramponi, iniziando il cammino nel regno oscuro. Quello che intuisco della pista è che circumnaviga la quota 1540 m., compiendo un’intera ansa, fino a giungere sul colle sommitale che domina i resti della Malga Zuncol.

La visione dal luogo è magnifica, i prati intorno al rudere sono ancora imbiancati, malgrado l’esposizione a oriente, e dominano la valle sottostante, mentre un regale e solitario faggio, posto sulla quota più alta del dosso, spinge i rami al sole. Dal pulpito panoramico posso ammirare la lunga cresta che culmina con il monte Ressetum.  A nord scorgo il ripido pendio che mi porterà in cima, ma prima di continuare l’escursione visito i ruderi della Malga, dove la fanciulla seduta su un masso intenta ad aspettarmi, gioca con un filo d’erba bruciato dal gelo. Della struttura della malga sono rimaste solo alcune eroiche mura perimetrali che sfidando il corso del tempo testimoniano un passato, fatto di faticoso lavoro. Sarebbe una nobile e utile azione restaurarla, magari per farne un bivacco. Dal rudere alla cima mancano ancor 300 metri di dislivello, e ne ho appena asceso mille, quindi, sarebbe il caso che io procedessi leggero di peso.  Applico il collaudato metodo Malfa, ovvero lasciare lo zaino con il grosso del contenuto in un cantuccio presso il rudere, e portare al seguito lo stretto necessario tramite una mini-sacca. La dea, sì, la fanciulla, stavolta non mi segue, anzi, se ne sta seduta accanto allo zaino, e par che mi consiglia di andare piano, e di non osare se non sono sicuro. Con un cenno acconsento, le sorrido, e voltando le spalle, procedo, sgravato dal peso dello zaino. Per via della neve non vi sono chiare tracce da seguire, mi addentro nel bosco a settentrione, risalendo la china, mantenendomi costantemente pochi metri sotto la cresta. L’operazione non è facile, in alcuni frangenti la progressione si rivela ardita, il rischio di scivolare nel vuoto è costante. Raggiunta quota 1639 metri, la pendenza si fa minore, mi sposto al limite della cresta e stavolta mantengo il filo della stessa, riuscendo a trovare sprazzi di crinale con neve residua. Non soffrendo di vertigini, non mi fa paura il vuoto, che sfioro continuamente a oriente, anzi, confidando nei ramponi, spesso calco le zolle d’erba dove affondo i ramponi. Benché il crinale paia che porti in vetta non mi illudo, sono cosciente che raggiunta la massima quota di 1763 metri, dovrò scendere dentro un avvallamento per poi dare l’assalto finale alla cima. Infatti, il cocuzzolo della quota che precede la vetta, benché sia anche provvisto di un ometto di sassi illude, lo sfioro con il passo, dove lo stesso sprofonda nella neve.

Raggiunto l’avvallamento, punto alla vetta, portandomi sul crinale. L’idea non si rivela felice, spesso affondo fino alla cintola. L’accumulo di neve marcia è consistente, quindi, mi sposto sul versante esposto a oriente, dove la neve è rada e posso utilizzare le zolle d’erba.

Sono emozionato, percepisco che mancano pochi metri alla meta, per fortuna la neve si è compattata e indurita, e raggiunta la cresta finale scorgo un mucchio di sassi. Ci sono! Pochi metri ancora ed è fatta. Vetta! Monte Chiampon da Lesis è stato conquistato. Il paesaggio dalla vetta è letteralmente spettacolare, sono incantato ed entusiasta. Riesco a riconoscere, anche da questo punto di vista, le mie adorate cime, di cui molte le ho ascese. Mi emoziona molto la visuale, distinguo le Caserine, Il Ciol di Sass, il Cornaghet, e lontano anche il Raut. Ammiro il lunghissimo elenco di meraviglie rocciose, e io, da sopra questa cima, da quanto sono felice, mi par di essere il primo uomo sulla luna.

Conficco il mio vessillo sulla neve, mi dedico a installare il barattolino degli spiriti liberi. Malgrado l’emozione riesco a fare anche il video. Dopo tanta fatica, viene la voglia di distendersi sulla neve, ma la cima è solo la metà del viaggio, e il rientro è sempre la parte più difficile, sia per la ripidezza del tratto, che la stanchezza accumulata.

Per fortuna la conquista dona un’euforia particolare, che mi galvanizza. La discesa sino ai ruderi della Malga Zuncol procede liscia come l’olio, anzi, ho pure scovato e percorso nella neve la vecchia traccia. Spesso mi fermo ad ammirare dall’esposta cresta il paesaggio, è magnifico viaggiare come un funambolo. In poco tempo raggiungo i ruderi, dove mi aspetta il sogno a piedi scalzi. Ho fame, decido di desinare, voglio dividere il mio cibo con lei, ma con un gesto gentile e ringraziandomi, rifiuta, spostandosi in mezzo al prato per danzare. Mi chiedo se sto solo sognando, o sono diventato matto. La magica presenza in fondo mi fa compagnia, e mi sono anche affezionato. Finita la pausa ludica, riprendo il cammino per il rientro. Battezzo Artemide la fanciulla, sono sicuro che ella sia la mia dea preferita, quella che mi protegge in montagna, e spesso sotto altre spoglie. Stavolta si è mostrata con l’aspetto di una dolce fanciulla, si è lei, ne sono sicuro. Ridiscendo il ripido pendio, e superato il tratto delicato, in meno di un’ora ho raggiunto la radura alla base del ripido pendio, posta a pochi metri dalla Stalla Naton. Anche il rientro tramite la mulattiera è veloce, sicuramente spinto dall’entusiasmo della conquista. Raggiunto il ponticello che guada il Torrente Ciolesan, la dea si arresta e mi lascia andare. Mi volto più volte nella sua direzione, ella mi sorride, e con un cenno della mano mi saluta definitivamente mentre svanisce nelle ombre degli stavoli.

Mi sento improvvisamente solo, mi prende un sentimento malinconico, un senso di abbandono che ho provato quando Magritte, il mio amico a quattro zampe ha smesso di seguirmi in montagna. A volte le presenze silenziose ti riempiono e danno senso alla vita, perché sono autentiche, sincere e disinteressate.

 Ma l’escursione e le sorprese non sono del tutto finite. Procedo a Lesis tramite la carrareccia, e mentre cammino tranquillamente sulla morbida neve e assorto dai pensieri, attiro l’attenzione di due nativi intenti a dialogare. Dall’alto della loro posizione, si trovano a ridosso dell’argine che protegge Lesis, mi chiedono dove sia stato di bello. Rispondo con il nome della cima raggiunta. Rimangono sorpresi positivamente, hanno sentito il mio accento e intuito che non sono della zona, e come mai vago per questi luoghi così selvaggi. Rispondo che nativo di Palermo, ma che vivo da ben 37 anni in Friuli, avendo professato nelle forze armate. La conversazione continua, mi avvicino a loro, risalendo l’argine. Anche i simpatici clautani sono pensionati, e soprattutto due ex militari, di leva, che amano ricordare con gioia il periodo della naia. Uno era alpino, mentre l’altro artigliere di montagna. Ridendo e scherzando fraternizziamo. Durante la chiacchierata mi chiedono se gradisco un caffè, non me lo faccio ripetere, così trascorriamo una buona mezzoretta in allegrezza dentro una baita adiacente, parlando della leva e delle montagne. In sintesi, i sentieri del mondo sono stati creati dai cacciatori e dai guerrieri, che spesso sono stati la medesima entità, la storia la si può volutamente ignorare, ma non confutare. La conversazione scorre piacevolmente, scaldata da un buon aromatico caffè corretto con grappa e l’inconfondibile calore della stufa a legna. Il tempo quando si è in buona compagnia corre velocemente. Oggi oltre ad aver conquistato una meravigliosa cima, ho conosciuto due splendide persone, autentici alpini con un cuore grande quanto la montagna. Mi congedo dagli amici, e se prima ero felice, ora sono strafelice.  Raggiungo l’auto, metto in moto e parto. Durante il viaggio di rientro penso e ripenso all’intensità dell’avventura odierna.  Giornata da incorniciare, passata in compagnia di una dea, di due simpatici nuovi amici, e soprattutto della montagna, il mio dio.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.








































































 

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