Monte di Ledis da Borgo San Giacomo (Venzone UD).
Localizzazione: Prealpi Giulie Settentrionali:
Gruppo Plauris-Musi.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Gemona-Pontebbana- Poco prima di
Venzone seguire indicazioni per il Borgo San Giacomo- Breve piazzola per la
sosta alle spalle della Pieve (enorme masso erratico) San Giacomo e Sant’Anna,
quota 230 m. circa.
Regione: Friuli -Venezia Giulia
Provincia di: UD
.
Dislivello: 720 m.
Dislivello complessivo: 960 m.
Distanza percorsa in Km: 9,5
Quota minima partenza: 230 m.
Quota massima raggiunta: 1053 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5
In: solitaria
Tipologia Escursione: panoramica- naturalista- ricerca
di remoti sentieri
Difficoltà: Escursionisti Esperti atti a
operare in ambiente selvaggio privo di tracce e segni
Tipologia di sentiero affrontato: resti
di remoti sentieri- tratti di arrampicata in libera su costone- tracce di animali
o cacciatori-mulattiera- sentiero storico.
Ferrata-
Segnavia: CAI
Fonti d’acqua: no
Impegno fisico: medio alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: no,
solo un disco a cui ho annesso il contenitore per viandante.
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: istallato
contenitore per passaggio viandante.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera-autunno
3)
4)
Da
evitare da farsi in: con terreno umido e in presenza di ghiaccio
Condizioni del
sentiero: un vero e proprio sentiero è assente: ascesa effettuata con brevi
tratti dei remoti sentieri di montagna (segnato in rosso), peccato, sarebbe
magnifico procedere a un restauro- Il sentiero sotto le creste è una bella
mulattiera ben marcata, mentre per la discesa (segnato in blu) ho fatto un
sentiero marcato ma con radi bolli rossi
Consigliati: Ramponi per la presenza di nevai consistenti presso la vetta.
Data: martedì 01
febbraio 2022
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Sorprendente
escursione nel territorio montano venzonese, a metà tra le due note elevazioni
della zona: il Monte Chiampon e il Monte Plauris. Effettivamente, durante le
numerose volte ho transitato per la strada statale Pontebbana, non ho mai fatto
caso al monte di Ledis, rimanendo più attratto dai monti precedentemente
citati.
Giocando con le curve
di livello, di una remota carta topografica, ho notato il nome del monte e degli
eventuali sentieri di accesso. Di seguito ho fatto una ricerca sul web per
avere più riscontri. Qualcuno è asceso al monte, precisamente dalla frazione di
San Giacomo, trovando dei tratti di percorso selvatico, ma non ho potuto
visionare fotografie per documentarmi, quindi, incuriosito dal monte, mi
preparo al peggio, attrezzandomi come dio comanda.
Il mattino del primo
febbraio mi catapulto dalle parti di Venzone, l’incantevole cittadina friulana,
totalmente ricostruita dopo il noto terremoto del 1976. Vago, con la mappa in
mano alla ricerca del borgo di San Giacomo. Passo con l’auto davanti alla
chiesetta dei santi Giacomo e Anna, un autentico gioiellino d’architettura romanica
posto alle pendici nord-occidentali del Monte di Ledis.
Incantato dall’opera,
mi fermo ad ammirare la semplicità della struttura e il contesto ambientale in
cui è inserita. Seguendo l’adiacente stradina di campagna, lascio l’auto
proprio a monte dell’edificio, in uno piccolo spiazzo posto alla base di un
abnorme masso erratico. Son contento, inizio l’escursione felicemente nell’aver
visto che l’arte e la natura si legano in un felice connubio.
Fa freddo, ed è
notorio, che questa parte di territorio è battuta da continue folate di vento,
sicuramente dovute alle gelide correnti incanalate dalla valle del Torrente
Fella.
Mi copro per bene, e
dopo essermi assicurato di aver spento i fari dell’auto e di aver chiuso
l’automezzo, parto.
Proprio difronte al
masso è sita una casupola con un segno rosso, è l’inizio del sentiero. Lo
seguo, terrò a memoria i vari movimenti che effettuo e le quote raggiunte, attuando
una comparazione con la carta topografica.
Il sentiero
inizialmente è battuto, di seguito il principale devia a sinistra, dirigendosi
verso la chiesetta di Santa Caterina. Leggendo il sentiero tratteggiato in nero
sulla mappa, mi spingo a oriente, seguendo le residue tracce. Viste le
difficoltà cambio la modalità esplorativa, da quella di escursionista passo a
quella di lupo. Ora mi sento più a mio agio, cerco freneticamente tra la selva i
passaggi di animali e uomini, trovando a volte tracce marcate, e altre solo intuibili.
Non mi fermo, conquisto metri all’interno del vallone. Dovrei raggiungere la
cresta nominata Venturis, ma erroneamente seguo una bella mulattiera, pulita,
che mi porta a sud, per poi perdersi su un ripido pendio.
Ritorno indietro,
tralascio la mulattiera e mi rimetto a risalire all’interno del vallone. Ritrovo
la traccia, che dopo pochi metri assume l’aspetto di una antica arteria di
montagna, caratterizzata dal sapiente lavoro della costruzione con i sassi,
anche se spesso intervallata da franamenti o dall’invasione della vegetazione
selvatica, peccato.
Poco sotto una parete
rocciosa scorgo un antro, la traccia diventa sottile. Decido di visitare la
cavità, sicuramente nella preistoria ha ospitato una comunità, i primi
abitatori di questa terra. Sono emozionato, mi fermo in un religioso silenzio a
contemplare. Ad un tratto un luccichio nel buio attira la mia attenzione, mi
addentro nella spelonca, e scopro che lo scintillio proviene da un barattolo in
metallo con una scritta appena leggibile in tedesco; dentro vi sta un foglio
stropicciato, lo apro delicatamente per via dell’usura. Il foglio è ingiallito,
una paginetta scritta con una penna di colore nero. Leggo: <<”Ritter, tod
und teufel” Sotto l’elmo chimerico il severo volto è crudele come crudele spada
in attesa. Per la selva spoglia avanza il cavaliere, imperturbabile. Sconcia e
furtiva, la masnada oscena lo ha circondato: il Diavolo dagli occhi servili, i
labirintici serpenti e il bianco vecchio con la sua clessidra. Cavaliere di
ferro, chi ti osserva sa che in te non alberga la menzogna, né il pallido
timore. La tua dura sorte è il comando e l’offesa. Sei prode e certamente
indegno non sarai del Diavolo, o tedesco, e della Morte.
Jorge Luis Borges.
Dopo aver scoperto il
contenuto, ripongo il foglio nel contenitore, e lo rimetto esattamente nella
posizione primitiva. Durante l’escursione rimembrerò spesso le parole, cercando
una mia interpretazione.
Riprendo il cammino e
ritrovo la mulattiera. Il sentiero a
volte è ben marcato, in altre svanisce. Stavolta mi sfugge proprio sotto il
ripido pendio della più occidentale elevazione dei Venturis, quella quotata 785
m. Nel ripido pendio trovo un metro quadro di terreno meno pendente dove poter
con calma togliermi lo zaino, senza che questo rotoli giù. Decido di calzare i
ramponi, per procedere con sicurezza lungo l’erto cammino reso insidioso dalla
festuca alpina.
Una volta ramponato,
risalgo, aiutandomi con gli arbusti, su cui mi ergo a forza di braccia.
Conquisto la cresta, e dopo pochi metri
sono sulla cupoletta erbosa; erroneamente l’aggiro a occidente, a causa
dell’esposto versante a meridione. Dalla quota intravedo la meta finale, ma da
essa mi separano una serie di ripidi rilievi che appaiono impraticabili,
l’effetto è molto dissuasivo. La traccia
aggira a occidente il piccolo rilievo, la seguo e poi la perdo, Mi fermo a
meditare, do un’occhiata alla mappa, l’arcaico sentiero passa proprio sulla
prima elevazione, mi spingo al vertice e ritrovo la traccia, che continua,
sull’esile cresta a oriente. Ammetto che ho una certa titubanza, seguo la
traccia a est, e vedo che è praticabile, ritorno indietro in vetta alla quota
785 m per eseguire delle fotografie, per poi riprendere il cammino. La traccia
mi porta a oriente, aggiro con calma alcuni salti, e sempre in discesa guadagno
una forcelletta da dove la pesta si biforca: a sud scende sino ai ruderi di Casera
di sopra, mentre a oriente, procede, tramite una bella, marcata e ampia
mulattiera per la vetta del Monte di Ledis.
Finalmente un sentiero
che mi fa riposare, con poca pendenza, esso aggira a settentrione le altre due
elevazioni dei Venturis, precisamente quota 846 e 879 metri. È una bella
traccia, peccato non restaurarla per farne un meraviglioso sentiero CAI.
Procedo con calma e
gioia, avendo calzato i ramponi la presenza del ghiaccio non mi intimidisce,
anzi, mi diverto a camminarci sopra. La bella mulattiera si interrompe proprio
sotto il rilievo del Monte di Ledis. Alcuni franamenti nel tempo hanno modificato
la conformità del cammino. Per un brevissimo tratto passo dentro una mugheta,
per poi risalire alcuni metri di erto ed erboso pendio, fino a risbucare sui
resti della mulattiera. Mi arresto sull’orlo di un precipizio dovuto a un
tratto franato. La presenza del ghiaccio non mi da sicurezza, sono a pochi
metri dal crinale finale che mi porterà in vetta, quindi decido, di procedere
di istinto, risalendo tra le zolle d’erba, aiutandomi con i mughi fino al
crinale che si collega alla cresta che porta alla vetta. Raggiunto il tratto
finale mi ritrovo un ripido pendio di neve compatta e ghiacciata, i ramponi si
rivelano provvidenziali.
Un paio di bolli
indicano la logica via, fino a raggiungere la base della cupoletta sommitale,
che a causa della presenza costante del ghiaccio e della ripidezza, è
abbastanza ostica da salire. Con calma e sfruttando in passaggi migliori,
riesco a guadagnare l’affilata crestina finale, che si aggetta e domina a
occidente il versante settentrionale della Vetta del Sole.
Pochi passi sul filo
di rasoio ed eccomi al cospetto di uno strano simbolo di vetta, un cerchio in
metallo fissato a un tondino di ferro, e contornato da sparuti sassi. Sono
stanco, ma la gioia della conquista è infinita, indescrivibile e quindi
rigeneratrice. Questa cima me la sono proprio sudata, ricorrendo esclusivamente
all’istinto da lupo, alla buona conoscenza topografica, ma soprattutto alla caparbietà.
Sono così emozionato, che non sto nella pelle, le conquiste delle signore
montagne adiacenti in confronto sono state un gioco da ragazzi. Potrei
parafrasare un detto, scrivendo che l’emozione più intensa sta nella montagna
piccola di quota, ed è vero, e chi è davvero esperto lo sa.
Installo il barattolino
per i viandanti, eseguo alcuni autoscatti con la reflex, e avendo il sole alle
spalle, sono sicuro che verrà un buon effetto in controluce. Di seguito mi
siedo un attimo, respiro profondamente, contemplo…
Sono felice, è stato come dipingere. Per prima
ho ideato l’opera nella mente, poi ho schizzato il disegno nella tela, ho
corretto alcuni errori, e finalmente ho centrato il tutto. Per completare
l’opera devo campire e chiaroscurare la tela, e questo avverrà con il viaggio
del ritorno. A malincuore lascio la vetta, voltandomi spesso indietro,
all’indirizzo della strana circonferenza.
Una volta ripreso il
cammino, decido di esplorare in discesa il crinale di vetta, studiando il
versante a oriente! Troppa neve ghiacciata, pericoloso, quindi, decido di
rientrare per lo stesso itinerario dell’andata. Stavolta percorro la
mulattiera, delle orme di capriolo mi guidano, e una volta raggiunto il tratto
franato lo supero con prudenza. Fatta!
Il tratto di sentiero fino alla quota 785 metri passa velocemente. Una
volta raggiunta la piccola forcella noto una traccia ben battuta, che dal
crinale nord dei Venturis conduce, con una direzione quasi obbligata, fino al sentiero
che transita parallelo al sottostante torrente Venzonassa. Stavolta la traccia
è ben battuta e segnata di rado con bolli blu; essa, decresce ripida ma mai
esposta lungo il pendio. La lunga serie di tornanti è riposante, poche sono le
variazioni di tema, tra cui un tratto esposto e una breve apertura delle fronde
del fitto bosco, da dove posso ammirare le montagne di San Simeone e
l’Amariana.
In basso, la traccia incrocia
e si innesta sulla mulattiera che conduce, dopo aver sfiorato delle moderne abitazioni,
alla chiesetta medievale di Santa Caterina, molto simile a quella dei Santi
Giacomo e Anna dell’inizio sentiero. Anche questo sito è prestigioso, l’aspetto
dell’area è mirabile, incantevole, pittorica.
L’edificio sacro si erge su un terreno che ospitò un castelliere, tra il
1300 e il 1100 a.C., mentre poco distante scorre ancora un’arteria della
preistoria. Insomma, tanta preistoria, storia e natura, al modico prezzo di
un’escursione. Nel prato che ospitò un
dì il castelliere sono edificati dei punti di ricreazione con tavoli e panche,
tanto convincenti che mi invitano ad effettuare la meritata ludica sosta.
Poggio lo zaino sulla
panca, volgo lo sguardo a oriente, rivolto alle pendici del Monte di Ledis e
alla chiesetta. Il tempo dedicato al desinare scorre lieve e dolcemente. Sono
stanco ma beato, quasi in estasi, e ho aggiunto un’altra perla al mio sapere
sulla montagna friulana. Ripreso il cammino, percorro il breve tratto che mi
separa dalla chiesetta di San Giacomo, dove ho lasciato l’auto. Prima di andar
via voglio scalare il masso erratico, si può. Tramite brevi passaggi sono in
vetta al macigno, dove sono chiari i segni di una recente combustione, spero che
non sia stata dolosa. Anticamente, forse nella preistoria, questo abnorme masso
doveva essere uno dei punti di vedetta, prima di scendere da esso mi volgo al
borgo. Due simpatiche signore stanno transitando, scorgono la mia figura
stralunata, sorridono e salutano, continuando la passeggiata per la
carrareccia. Ritornato alla base del masso, mi preparo e mi avvio al rientro. È
stata una meravigliosa avventura in una piccola grande cima, che serberò con
particolare affetto tra le mie conoscenze montane.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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