Anello da Nongruella (Attimis UD) passando per i monti
Zisilin-Namlen-Iauer-Nagrad.
Localizzazione: Prealpi Giulie settentrionali:
Gruppo Chiampon-Stol.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano-San Daniele-Majano-Buia-Tarcento-
Nimis- Cergneu- Cergneu Superiore- Borgo Lase- ampio parcheggio sulla destra
pochi metri dopo Casera della Rupe (340 m. circa).
Regione: Friuli- Venezia Giulia
Provincia di: UD
.
Dislivello: 755 M.
Dislivello complessivo: 1020 m.
Distanza percorsa in Km: 10
Quota minima partenza: 338 m.
Quota massima raggiunta: 1093 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In: coppia
Tipologia Escursione: Storico-selvaggia-escursionistica
Difficoltà: Escursionisti Esperti con tratti attrezzati e alcuni
senza segni con labili tracce.
Tipologia
sentiero o cammino: Carrareccia-mulattiera di guerra-sentiero di cacciatori-
sentiero CAI- percorso in libera e in discesa lungo un canalone.
Ferrata-
Segnavia: CAI
Fonti d’acqua: si
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: si
Croce di vetta: si, e
anche mega sul monte Zisilin
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 026
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: Tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: sabato 22
gennaio 2022
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Le creste che
precedono il confine sloveno sono diventate meta del mio ultimo pellegrinare. Dopo
l’escursione sul versante di Taipana, ne segue una seconda, una continuazione, con
i soli cambi del punto di partenza e del versante. Stavolta sono in compagnia
della mia consorte, ci addentriamo nella valle adiacente a quella di Taipana, scavata
dal torrente Lagna. Confesso che provo pudore a inoltrarmi nel cuore delle frazioni,
mi pare di entrare a casa d’altri senza essere invitati, ma anche l’ignorare la
presenza delle comunità è una forma di cattiva educazione. Ho studiato e
preparato un paio di percorsi alternativi, valuterò la scelta in base al tipo
di difficoltà che incontreremo.
Il sabato mattino di
buonora siamo già in marcia, abbiamo lasciato l’auto nello spazio adibito,
pochi metri dopo Casera della Rupe. Se tutto procederà secondo i calcoli, chiuderemo
l’anello escursionistico da dove siamo partiti. Con una temperatura polare,
iniziamo a mettere in moto i corpi, operazione non facile, per un motivo o un
altro mi attardo nella partenza; già sono lento di mio, e ci aggiungo tutta la
perdita di tempo della cura dei particolari (chiusura cinghie, assetto dell’abbigliamento)
che snerverebbero chiunque mi fosse vicino. Finalmente parto anch’io, nel
frattempo Giovanna si era surgelata per l’attesa. Risaliamo una rotabile,
potremmo accorciare il tratto con una serie di scorciatoie, ma siamo ancora arrugginiti,
ce la prendiamo comoda. Durante l’ascesa che precede il borgo di Nongruella,
incontriamo un allegro nativo alle prese con la passeggiata mattutina:<<Buongiorno
signori!>> <<Buongiorno Signore!>>L’escursione inizia sotto i
migliori profili, con un caldo saluto e un sorriso. Al borgo ci aspetta una
rosa scarlatta non colta, e un cartello simpatico “Orsolandia”, poco dopo
inizia il sentiero. Di guarda all’inizio del cammino vi sono due feroci randagi,
che al nostro passaggio si mettono da parte, scodinzolando uno, mentre l’altro
si allontana con la coda in mezzo alle gambe. Tra fiere selvagge basta fissarsi
negli occhi per intendersi, e loro hanno inteso. Iniziamo a percorrere una
bella carrareccia, di quelle di una volta, molto curata e con una eccellente
cartellonistica. Complimenti vivissimi a chi ha curato il sentiero. La pista
lascia il passo a una meravigliosa mulattiera, riconosco dalla fattura le sicure
origini militari dell’opera. Durante il Primo Conflitto Mondiale questo
territorio faceva parte della retrovia italiana. L’operato dei soldati genieri è
riconoscibile in tutto il Friuli, opera loro sono anche le mulattiere che ascendono
le cime più alte della regione, come il Coglians, la Cjanevate, la Creta di Collina,
il Peralba, il Volaia e il Montasio, solo per citarne alcune.
Ritornando al
racconto, proseguiamo con brio, le mulattiere rilassano, sono lunghette ma tanto
comode. Da uno squarcio di luce tra le fronde della vegetazione riesco a scorgere
la sagoma della prima cima, Monte Zisilin, tralasciato nella precedente escursione.
Noto la caratteristica forma a cono e i ripidissimi versanti del monte, ma soprattutto
una croce metallica ben visibile anche dal basso. Continuando l’ascesa,
passiamo sul versante assolato, e la luce illumina e scalda i nostri corpi e spiriti.
Una volta in sella, siamo sulla congiunzione del sentiero per esperti risalente
da Taipana, quindi, continuo da dove ho lasciato nove giorni prima, stavolta,
ambisco, anzi ambiamo alla cima adiacente. La prima sorpresa è un enorme faggio
a cui piedi è appoggiata una tabella indicatrice bilingue, italiano e sloveno. Tra
le varie informazioni leggo che il monte che ci apprestiamo a scalare è
attrezzato, sulla mappa non era segnato. Bene! Ci divertiremo e scalderemo.
Effettivamente, la cresta è ripida e i cavi sono vantaggiosi, i passaggi non
superano mai il primo grado. In breve, siamo in cima, dove scopriamo che la croce
è abnorme, così grande da fare concorrenza a quella del noto monte Cavallino sito
sulle Alpi Carniche Occidentali. La vetta è ampia e sicuramente frequentata, e la visuale spazia
sulla pianura friulana. Permaniamo sulla sommità lo stretto necessario.
Io, da artigliere consumato,
sono mezzo sordo di mio, quindi, mi diletto a scampanare la campana apposta alla
croce; Giovanna turbata non poco, mi vorrebbe in questo frangente buttare giù
dalla rupe, salvando chi non ha voglia di far niente e non sa fare niente. Sono
serio, ma non serioso, quindi continuo indomito a scampanare, finché non mi
ricordo che bisogna procedere a oriente per non fare tardi. Lasciata la
montagna chiamata Zisilin alta 957 m. sul livello del mare, iniziamo la discesa
finché ritorniamo sulla linea di cresta, continuando il cammino verso la seconda
cima, Monte Namlen.
Il breve tratto di cresta,
molto orizzontale, ci conduce alla strada forestale proveniente da Taipana, presso
un’ansa lasciamo l’arteria per continuare tramite una traccia, che da sopra il
muretto di contenimento, ci guida al prato sommitale e innevato che precede il
ripetitore posto al vertice del monte Namlen (quota 1065 m.). Riconosco sulla neve le mie impronte lasciate
in precedenza, foto ricordo e proseguiamo, lungo la dorsale per la terza cima,
ovvero Monte Iauer che con i suoi 1093 metri, è la più alta delle cime che visiteremo.
L’ascesa anche se ripida, non è mai difficile, e in vetta notiamo molti dossi
coperti da fitta vegetazione selvatica, a occhio intuiamo la quota più alta e la
raggiungiamo. Nel frattempo, un trambusto di motori annuncia l’arrivo di un
branco di Centauri. Per primo arriva lo scout, di seguito gli altri, il più
esperto e saggio chiude la fila. Si fermano tra i due dossi, ci vedono e
salutano, ricambiamo il segno di pace, dopodiché, i cavalieri del 2000,
procedono a oriente, pare che la caccia al bisonte sia ancora aperta. Noi
approfittiamo delle marcate tracce lasciate sulla neve, per seguire a ritroso il
loro tragitto. Infatti, le striature delle gomme conducono fin sopra il ripido
versante di Prati Sanna. Noi per abbreviare il sentiero, scendiamo in libera. Ci
divertiamo un mondo, la montagna ci carica. In fondo al crinale, ci districhiamo
tra gli abeti, sino a scoprire un sentiero marcato che seguiamo fiduciosi. La
pesta percorre un crinale chiamato Jof di Cergneu, finché avvistiamo la nostra
ultima fatica, la più impegnativa dell’intera escursione, Monte Nagrad, alto 984
metri.
Per un breve tratto risaliamo
il versante sud-occidentale del rilievo, che si dimostra ripido, con pareti abbastanza
articolate e terreno scivoloso. Effettuiamo dieci passi indietro, decidiamo di
calzare l’arma segreta, ovvero i notori
ramponi a sei punte.
Una volta ramponati, decidiamo
di non salire il monte, ma di proseguire dritto tramite una traccia a
settentrione, che sembra percorrere in parallelo le pendici settentrionali del
monte. La pesta si rivela infida, infatti, con passaggi esposti e arditi, conduce
in cresta al monte. La vetta, anzi, le vette, sono poco distanti, a oriente. Mi
fermo a riflettere, il desiderio di conquista prevale, e con esso mi giunge un
silente vaffa… di Giovanna. Lasciamo momentaneamente gli zaini sul nudo terreno,
in balia dei folletti del bosco, e procediamo leggeri alla conquista della
quarta cima. Poche centinaia di metri di comodo suolo e siamo sulla cima più
alta del monte Nagrad, nascosta tra i nervosi rami di alcuni faggi di vedetta. Fatta
l’ultima foto di vetta, rientriamo, e recuperiamo gli zaini. Do un’occhiata alla
mappa, a meridione, circa duecento metri di quota in basso, è segnato un
sentiero chiamato delle streghe; cerchiamo di raggiungerlo scendendo
ripidamente dentro un vallone. Nell’effettuare l’operazione, incrociamo un atro
sentiero non segnato sulla mappa, ma va in controtendenza, e risale il monte a
occidente. Cambio direzione e seguo la nuova pista. Giovanna dall’espressione
denota confusione, le faccio segno di seguirmi e di fidarsi. Infatti, la
traccia è ben marcata e segnata, scende nel tratto dirupato a occidentale del
monte, guadagnando dolcemente la cresta in basso, e di seguito la carrareccia
proveniente da Taipana. Fatta! Visto l’orario snobbiamo la cima di San Giacomo,
decidendo di provare a chiudere l’anello con un sentiero tratteggiato in nero
(opzione A) che dalla forcella dove ci troviamo ci riporta al bivio (carrareccia)
dove abbiamo lasciato l’auto. La traccia si rivela ardita e idonea a camosci
con voglia di ravanare, per molti tratti è inconsistente, e la vegetazione selvatica
con i numerosi schianti ci ostacola. Ma
la caparbietà e l’ottimo senso di orientamento hanno la meglio, quindi, ci
ritroviamo a ridosso della comoda carrareccia, che in pochi minuti ci guida al
punto di partenza. Raggiunta la località di Casera della Rupe, saluto la mia compagna
con un sorrisino compiaciuto e con il segno a V delle dita della mano destra,
in segno di vittoria. Escursione portata a termine, la fame chiede udienza, decidiamo
finalmente di desinare presso il tavolo posto a pochi metri dall’auto. Con dei
famelici morsi al panino e degli sguardi soddisfatti ha termine la bella
avventura. Abbiamo vissuto una splendida giornata e conosciuto un altro angolo
di questa splendida regione.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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