Monte Arghena da Arcola
Racconto.
Sono trascorsi pochi giorni e rieccomi a ripercorrere la
valle del Prescudin, non nascondo che questo luogo mi ha stregato.
Raggiunta la località di Arcola, inizio la nuova avventura
con l’inseparabile fido. Ripercorriamo
la strada forestale che avanza nella bella valle, anche oggi il meteo mi è favorevole.
L’emozione per l’escursione non manca, la temperatura si mantiene piuttosto bassa,
cammino avviluppato nella giacca tecnica, con l’ausilio di una morbida sciarpa.
Malgrado proceda velocemente non riesco a scaldarmi, deduco da ciò che la
temperatura deve essere ampliamente sotto lo zero.
Percorro velocemente la strada asfaltata e passo agevolmente
nel breve tratto di bosco, puntando lo sguardo alle mete di oggi. Ne ho
programmate due e devo sceglierne una. Nell’ultima escursione sulla cima del
Medol, lessi su un cartello il nome di Arghena, a casa mi sono documentato su
di essa, è la montagna che spicca al di là del torrente. Chiedendo notizie agli
amici, nelle conversazioni è venuto fuori il nome della cima Formica. Quindi,
sono partito da casa con un dubbio, che scioglierò soltanto al bivio che divide
i due sentieri per le cime. Percorrendo la strada asfaltata, osservo entrambe le
mete, i dubbi sembrano chiarirsi, la scelta privilegia l’Arghena, essa mi appare
solare, e inoltre è munita di un sentiero che sicuramente mi porterà in cima.
Mentre sull’altra elevazione, la cima Formica, ho trovato poco o niente.
Raggiunta la località di Villa Emma, seguo il sentiero a
destra, continuando a percorrere la strada forestale, che mi porta a superare
un primo guado, fino a interrompersi sul secondo più ampio greto. La
temperatura è artica, lo deduco dalla brina gelata, in questa vallata non batte
mai il sole e oggi particolarmente ha un aspetto grigio e severo. La
cartellonistica CAI mi invita a sciogliere gli ultimi dubbi: a sinistra si
procede per il bivacco Zea e l’eventuale monte Formica, a destra si ritorna ad
Arcola, e con lo stesso tempo si può raggiungere la vetta del monte Arghena. Scelgo,
senza remore, L’Arghena e il suo versante assolato.
Il sentiero si dirige a oriente percorrendo la destra
orografica del torrente. Mi muovo dentro la vegetazione, i segni sono copiosi,
guado un torrentello attraverso un arcaico ponticello, ed eccomi all’interno di
una stupenda faggeta. Scorgo un cartello CAI che mi indica la direzione per la
cima Archena e il tempo di percorrenza. La traccia accompagnata da segni CAI devia
a settentrione iniziando a risalire il ripido costone meridionale del monte.
Il viottolo è stretto e ricoperto d’erba, manterrà questa
caratteristica fino alla cresta. Sin dai primi metri si inerpica sul ripido
versante, con una serie infinite e strette svolte, spesso passando sopra esposti
dirupi. Sono conscio che non devo sottovalutare la salita, tenendo alta la
concentrazione. Gli arbusti, composti prevalentemente da pini, faggi e aceri, sembrano
rassicurare con la loro presenza, soprattutto se volgo lo sguardo in basso.
Il sole scalda il cammino, donandomi quella sensazione di
benessere, l’autunno vestito da primavera fa il resto. I fili d’erba sono
dorati e verde smeraldo e diffondono la luce che mi scalda il cuore. Non posso fare
a meno di arrestare il cammino, concedendomi alla contemplazione degli
intrepidi pini sospesi nel vuoto, impegnati nell’eterna lotta contro la forza
di gravità. Salgo il pendio senza
fatica, passando più di una volta vicino a dei tronchi inceneriti dai fulmini.
Questa cima è per “spiriti liberi”, prova ne sia il sentiero che sembra tracciato
da un camoscio. Alcuni tratti del percorso sono erosi e sospesi nel vuoto,
altri sono meno impegnativi; ignoro cosa troverò in cresta, ma sicuramente scenderò
con i ramponi da erba. È un percorso assolutamente da non farsi in condizioni
di bagnato, o peggio ancora di gelate. Procedo nel rado bosco, sporadicamente
ho il privilegio di vedere il percorso che mi attende. Sono nelle vicinanze
della cresta, lo percepisco dalla vicinanza dell’azzurro, e dalla traccia non
più distinguibile. Procedo con l’intuito, così pervengo alla bella cresta.
Il crinale non è spazioso, puntellato da radi pini. Mi fermo
un attimo ad ammirare a sud-est la val del Cellina con il lago di Barcis e la
catena montuosa del gruppo Raut-Resettum. Sono sotto la vetta, mi separa da
essa la ripida cresta erbosa, seguo le chiare tracce di passaggio, cavalcando
il crinale fino a raggiungerla. Mi trovo sulla quota (1779 m.) che è la cima
per i comuni mortali non dotati di corda e della nobile arte dell’alpinismo. La
massima elevazione, di ottanta metri più alta, mi è dinnanzi, essa mostra la sua
bellezza spartana. Un pilastro di roccia misto a mughi fa da impedimento,
selezionando i comuni escursionisti dagli eroici alpinisti. Presso la cima più
bassa (dove sosto), trovo un piccolo ometto con un paio di scarponi, sapevo di
trovarli ed eccoli, quasi rassicuranti per chi temesse di non essere sulla cima
quota 1179 m. Il paesaggio a settentrione è velato da rami di faggi e betulle, oltre
di essi riesco a intravedere il monte Provagna.
A occidente la visuale è coperta dalla cima più elevata, lasciando cogliere
la bianca e luminosa roccia del Crep Nudo; infine a sud-est la visuale è
totalmente sgombra da ostacoli.
La bellezza selvaggia del luogo e la temperatura mite mi
invitano a effettuare una lunga sosta. Nel frattempo che Magritte si apparta in
angolino per appisolarsi, procedo a collocare il barattolo con il libro di
vetta. Il contenitore è voluminoso, quindi decido di fare spazio tra i sassi
dell’ometto, scoprendo tra essi un vecchio barattolino di vetro con all’interno
alcuni fogli di carta. Ripongo tutto il contenuto nel nuovo contenitore,
aggiungendo materiale con cui scrivere e una penna.
Nel frattempo che sistemo i vecchi scarponi, leggo la misura
all’interno di uno di essi. <<Cavolo è la mia! >> Esclamo. Nello
sfiorare lo scarpone percepisco un fremito, e simultaneamente mi incarno nell’escursionista
a cui appartenevano. Non mi trovo più sulla cima dell’Arghena, ma su
un’infinita e sconosciuta cresta battuta dal vento. Ora i miei capelli sono lunghi,
neri, e alzati dal vento. Porto un cappellaccio, indosso una giacca scamosciata
con frange, tengo in mano un bastone ricavato da un nocciolo, e alle spalle uno
zaino di canapa. Ho sempre vagato e lo
farò per l’eternità, non ho mai dormito nello stesso giaciglio, e sono sicuro
di aver amato unicamente la libertà. Ho vissuto, amando il sole che si eleva all’orizzonte,
errando per sentieri mai tracciati e mi addormentavo sotto le stelle. Ho
scritto i miei racconti con le suole degli scarponi, e in essi ho riposto la
parola fine della mia esistenza. Un giorno, uno sconosciuto trovò il mio corpo
privo di vita adagiato a un vecchio larice, mi seppellì sotto di esso, ma senza
gli scarponi. Egli li tolse delicatamente e con cura li ha riposti dentro una
borsa portandoli con sé. Un dì (non ricordo quanti ne passarono dalla mia
morte), il tizio vide l’aurora che tingeva di rosso fuoco il cielo, prese la
borsa con gli scarponi, è salii su quest’anonima cima e rivolgendone le punte a
oriente, li adagiò al suolo, erigendo intorno a essi un tempio con i semplici
sassi. Anch’egli, lo sconosciuto, è uno spirito libero, e quando morrà toccherà
a un altro viandante portare i suoi scarponi su una cima…
Inavvertitamente, mentre sono preso dalla storia, stacco la
mano dallo scarpone, rientrando bruscamente nel mio corpo. Ripresomi, ho notato
lo sguardo smarrito e inquieto di Magritte, come se avesse visto in me un
fantasma. La temperatura si è improvvisamente abbassata, mi copro meglio,
decidendo di porre fine alla visita della cima. Estraggo dallo zaino i mini
ramponi per erba, calzandoli, così scendo dal pendio con tranquillità.
Raggiunta villa Emma, effettuo una breve sosta per il
pranzo, Magritte è infreddolito, lo munisco del suo maglioncino, per poi
riprendere il cammino del rientro. Il fido ora si è ringalluzzito, vivacemente scorrazza
su e giù, divertito lo osservo.
Per un istante volgo
lo sguardo alla cima Arghena, ho l’impressione di scorgere qualcosa che si
muove e saluta, qualcosa con cappellaccio, capelli lunghi e zaino, qualcosa o
qualcuno che non morirà mai e che vive in eterno dentro di noi.
Il vostro “Forestiero Nomade!
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti Friulane
Avvicinamento: Maniago-Montereale-Val
Cellina-Barcis-Arcola-Parcheggio segnalato.
Località di Partenza: Arcola, ampio parcheggio segnalato.
Dislivello: 800 m.
Dislivello
complessivo: 800 m.
Distanza percorsa in Km: 14,5.
Quota minima partenza: 442 m.
Quota massima raggiunta: 1179 m.
Tempi di percorrenza. 5,5 ore escludendo le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti Esperti
Segnavia: CAI 978.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: Si (barattolo).
Timbro di vetta:
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tab 012
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: maggio-ottobre
Da evitare da farsi in: Con terreno bagnato, o ghiacciato o
neve.
Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato
Fonti d’acqua: Molteplici intorno alla villa Emma.
Consigliati: Ramponcini da Erba
Data 20 novembre 2017.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
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