Monte Lupo e Monte San. Daniele da Predaia.
Racconto.
la
prima neve del mese copre le alte quote dei monti, ponendo fine alle belle
giornate dal sapore primaverile. Giunge il tempo di cambiare gli itinerari,
cercando percorsi con basse quote per avvicinare l’animo del viandante a una visione
mistica. Riduco le distanze da
percorrere in auto, cerco nelle vicinanze qualcosa che ignoro, studiando sulle
mappe nuovi itinerari, per scoprire altri tesori nascosti. Il Friuli montano è
ricco di valli che possono catturare lo spirito, e una di queste sicuramente è
la Val Cellina. La valle, recinta tra i monti,
conserva al suo interno le testimonianze delle remote popolazioni, che per
secoli l’hanno popolata. Per molti escursionisti, compreso il sottoscritto,
spesso ha rappresentato un luogo di transito, per giungere in altre valli dalle
cime rinomate. Mi fermavo al mattino presto, solo per fotografare le immagini
oniriche, create dalla nebbia esalata dal lago. Stavolta, ho deciso di porre
rimedio alla mia poco lodevole distrazione, ritornando alle origini, al tempo
che iniziai le escursioni, quando percorrevo i sentieri della valle e di quelle
adiacenti.
Per
questa rinascita dei sentimenti mistici, ho scelto come meta il monte Lupo. Traccio
sulla mappa solo il punto di partenza “il borgo di Predaia”, che corrisponde anche
all’arrivo, così effettuando un percorso ad anello. Il giorno dell’escursione
si presenta bello, soleggiato, anche stavolta Magritte mi è compagno, arrivo nella
località di Barcis che trovo completamente velata dalla nebbia. Prima di
raggiungere Predaia, mi avvicino al lago, in qualsiasi stagione lo trovo
sublime, soprattutto alle prime ore del mattino, i minuti di dedicati alla sua contemplazione
sono ritempranti. Ripreso il viaggio con l’auto, seguo le indicazioni all’interno
di Barcis per Predaia, percorrendo una stradina, ripida solo all’inizio, che mi
porta alla frazione; dove sosto l’auto in uno spiazzo asfaltato e adibito a discarica
comunale. Il sentiero per il monte Lupo parte un metro dopo, segnalato da una
tabella.
Scendo dall’auto, per approntarmi, un
simpatico cagnolino meticcio, abbaiando, mi viene incontro. Mi preparo mentre
il nuovo amico a quattro zampe, continuando ad abbaiare, allerta gli amici
bipedi della mia presenza. Do un’occhiata al collare, sulla targhetta è scritto
il nome ”Sam”. Lo lascio fare, è divertente, si sta guadagnando la pagnotta,
pardon i croccantini. Dallo sguardo appare furbetto, amabilissimo, lo porterei
insieme a Magritte in vetta. Finito di prepararmi, parto con Magritte per la
nuova avventura, dando un “arrivederci a Sam. Il sentiero inizia dal piccolo
cartello posto al margine dello spiazzo (570 m.). Traccia ben battuta, solo scivolosa
per via della pioggia recente. In breve tempo percorro il boschetto di pini,
ritrovandomi alle pendici della lunghissima dorsale, che raggiungo tramite il ripido
sentiero. Guadagnata la cresta inizia il bello che durerà per quasi tutto lo
svolgimento dell’escursione, ossia, quello di percorrere la bellissima dorsale.
Mi fermo spesso a scrutare dall’alto, ammirando le meraviglie che mi circondano
tra cui cito il lago ancora coperto dalla nebbia. Le varie catene montuose,
sopra i milleseicento metri, sono totalmente innevate, dando al paesaggio un
aspetto invernale. La morbida e inerbita
cresta che percorro, ha una tinta color oro antico, essa è intervallata per
brevi tratti da sparuti faggi e le foglie cadute da essi tingono di rosso il suolo.
Mi fermo spesso, ammirando le cime: il Col Nudo, il Crep Nudo, il gruppo del
Cavallo, e il gruppo del Raut che comprende i monti, Rondellino, Castello e Resettum.
Il cielo azzurro, ornato dalle bianche nubi impreziosisce lo spettacolo.
Cammino
con ebrezza per la marcata traccia, raggiungendo la cima del monte Lupo (1053
m.), coperta parzialmente a settentrione dalle fronde dei faggi. Non trovo ometti
o croci a materializzarne la vetta, pianto nell’erba i bastoncini telescopici,
effettuando una breve pausa. Ho il vago presentimento che il luogo sia stato frequentato
sin dai tempi remoti, perché, malgrado la cresta non sia alta, è quasi
totalmente sgombra da vegetazione selvatica, come se il passaggio dell’uomo fosse
frequente. La mia sensazione è quella di percorrere una via del cielo, si
avverte la magia nel singolo passo, lo stesso Magritte è vispo, carico di
energia, contrariamente a come lo avevo osservato durante le ultime escursioni.
Lasciata
la cima seguo a oriente la china, svoltando leggermente a settentrione, prima
guadagnando e di seguito perdendo vistosamente quota. Attraverso una crestina
fino al punto più basso che è la forcella Vallata (979 m.).
Questo
percorso mi conferma di essere di origine remota, intuisco che sto peregrinando
su un vecchio cammino, la cui origine si perde nel tempo. Superata la forcella
proseguo per lo sperone inerbito di San Daniele del Monte, stretti tornanti mi
aiutano a risalire i cento e passa metri di dislivello che mi separano dalla
vetta. la traccia si incunea tra le due cimette sommitali, ci siamo! Avvisto un
esile croce costruita con rametti legati con spago.
I pochi metri che mi separano dalla vetta, li
percorro con estrema serenità, Magritte, la raggiunge per primo, mostrandomi un
evidente soddisfazione, pochi passi e arrivo anch’io, che rimango sorpreso.
Pensavo di trovare un ometto su un piano inerbito, viceversa mi ritrovo sul
pavimento di un edificio sacro ( 1085 m.). Per filosofia sono agnostico, ma talvolta,
quando mi ritrovo davanti un edificio o qualcosa di sacro, provo rispetto,
cercando di comprendere anche quello che non riconosco. In questo caso, la
visione del suolo, e il paesaggio sullo sfondo, mi hanno proiettato nel trapassato.
Ho sentito la presenza di altri umani, cacciatori con i loro segugi che
latrano, e la selvaggina posta dentro il
sacco; o i soldati romani, di vedetta, a
interrogarsi se quel luccichio tra le fronde fosse un nemico o il riflesso
della neve. Da questo pulpito si può ammirare e controllare quasi tutta la valle
del Cellino, e soprattutto sentire la presenza spirituale della natura. Ho
letto, al rientro dall’escursione, che sul suolo che ho calpestato, era
edificata nel 1240 una chiesetta, dedicata a San Daniele, e consacrata nel
secolo successivo, nel 1319. Fu oggetto di culto da parte degli abitanti di
Cellis e delle popolazioni limitrofe, che richiedevano protezione per gli
animali domestici dalle bestie selvatiche.
Successivamente,
l’edifico sacro, venne distrutto da una folgore il 14 luglio del 1806, e di
esso rimasero questi miseri ruderi. La
vetta mi cattura, volevo sostare poco, ma mi siedo, decidendo di soffermarmi e
consumare il pasto, evidentemente la magia del luogo mi ha preso. Sfamo
Magritte, mentre incuriosito mi guardo intorno, dovunque osservi è meraviglia.
Dopo aver effettuato la sosta, decido di rientrare. Sotto la cimetta, sul
versante meridionale, nella roccia, scorre un rigolo d’acqua, accanto è posta
una targa in metallo con epigrafe, dedicata da un fedele nel 1971 in segno di
devozione. Mi incammino per la forcella Vallata, poco prima di essa, mi fermo, lasciando
andare avanti Magritte, sono curioso di sapere che itinerario sceglie. Il fido,
sorprendendomi per l’ennesima volta, svolta per il sentiero 974a, confermandomi
che tra me e lui c’è simbiosi. Il nuovo sentiero è affascinante, attraversiamo
il fianco orientale del monte, per esili tracce, tagliando a mezza costa il
versante. La giornata iniziata con il bello volge allo splendido, le nuvole
sono sparite rendendo limpido il cielo. Attraverso una serie di impluvi dove
l’acqua scorre rigogliosa, e i verdi e sparuti pini sembrano di vedetta.
Cammino con il cuore stracolmo di gioia, quella di oggi è un ‘escursione che
tocca il lato mistico, sento la natura come una madre, e a essa mi abbandono.
Il lunghissimo sentiero si abbassa vistosamente di quota, divenendo prima
vecchio troi che passa tra i ruderi di uno stavolo, e successivamente
carrareccia che lambisce dall’alto le abitazioni di Roppe; per poi proseguire
fino a raggiungere una cappella votiva. Mi ritrovo sulla carreggiata, intuisco
che devo risalire la strada percorsa stamattina fino a raggiungere Predaia.
Ultimi chilometri, che percorro mal volentieri per via dell’asfalto, finché
giungo alla piccola frazione dove ho lasciato l’auto. Mentre Magritte entra
nell’abitacolo, per concedersi la meritata pennichella, mi viene incontro Sam,
il simpatico cagnetto incontrato in mattinata. Il fido continua ad abbaiare,
tenendo lo sguardo rivolto verso la vicina abitazione, ma viene ignorato. Quindi,
sempre abbaiando mi si avvicina, con un fare curioso. Io compio le mie
operazioni di rito, degnandolo di alcune attenzioni tra una mansione e l’altra.
Mentre tolgo gli scarponi, me lo ritrovo vicinissimo, si avvicina, annusa uno dei
miei scarponi, e indietreggiando, svanisce all’istante. Obiettivamente, mi è
dispiaciuto che sia andato via, mi stavo affezionando, forse nei miei scarponi
ha letto tutti i chilometri che ho percorso nella natura, e avrà pensato:
<<ho riconosciuto che sei uno spirito libero, vai con Dio,
viandante.>>
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche.
Avvicinamento: Maniago- Montereale Val Cellino- Barcis-
Località Predaia.
Località di Partenza: Predaia 570 m.
Dislivello: 623 m.
Dislivello
complessivo: 700 m.
Distanza percorsa in Km: 7,6 m.
Quota minima partenza: 570 m.
Quota massima raggiunta: 1085 m.
Tempi di percorrenza. 4 ore complessive, escluse le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Escursionistica naturalista.
Difficoltà: Escursionistica.
Segnavia: CAI 974 a.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: Si, sul San Daniele.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tab 012
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: maggio-ottobre
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.
Fonti d’acqua: Si, sul versante orientale.
Data: 08 novembre 2017.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
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