Anello del Monte Laura dal lago di Barcis.
Racconto.
L’ultima giornata prevista all’insegna del bello (di questo
splendido autunno), mi suggerisce di continuare a bramare avventure nella valle
del Cellino. Studio i rilievi della zona sulle mappe, cercando qualcosa che
soddisfi la mia curiosità. Scorro il dito indice sulla carta topografica, sfiorando
il lago di Barcis e successivamente la cresta che partendo dagli stavoli di Armasio,
con un lungo anello mi porta alla casera Bitter, per poi ritornare al punto di partenza. Il percorso è lungo, il dislivello non appare
eccessivo, e dalla morfologia del percorso intuisco che il paesaggio sarà
strabiliante. Rivelo che la massima elevazione da cui passerò non ha un nome,
ma solo la quota (1260 m.) mentre quella che la precede è più bassa di trenta
metri è ha un bel nome di donna “Laura”. Fatta la scelta dell’itinerario,
completo lo zaino con le dotazioni previste. Pronto per la prossima avventura,
anche questa volta mi avvarrò della compagnia del fedele scudiero Magritte. In
previsione del chilometrico percorso, pervengo nelle prime ore del mattino a Barcis,
che trovo come sempre avvolta dalla nebbia esalata dal lago. Imbocco la
stradina che porta a Piancavallo, passando sulla diga, per poi risalire
l’argine occidentale. Ricordo che dovrei trovare sosta all’inizio della Val
Pentina, presso un ponticello. Erroneamente, mi fermo un chilometro dopo il
punto previsto, presso il secondo ponticello. Accortomi dell’errore, non mi
preoccupo più di tanto, chiudo l’auto, pensando che al ritorno percorrerò meno
metri sull’asfalto. L’ambiente è avvolto dalla nebbia, son ben coperto,
l’umidità si fa sentire. A piedi percorro a ritroso la stradina, fino alla piccola
passerella che devo attraversare (sentiero CAI 995). Il ponticello mi ricorda quelli tibetani,
codesto che attraversa il torrente Pentina è sospeso sui sogni, oltrepassandolo
inizio il viaggio onirico. Al di là dell’argine
mi lascio catturare dalle belle immagini, la vegetazione come fantasma si
dissipa nella nebbia, percorro un breve tratto aereo (cavi come passamano). La traccia si biforca, seguo quella CAI (sentiero
995) risalendo il boschetto di aceri e faggi. Seguo la vecchia mulattiera,
gradonata ad intervalli, in essa scorrono i segni del tempo. La fitta nebbia
rende l’atmosfera talmente irreale, che quando raggiungo il prato sommitale non
ne percepisco la profondità, perdendomi in esso come un fantasma. Riesco successivamente
a intuire il percorso da seguire percependo l’erba calpestata sotto gli
scarponi. Ammiro le singole figure degli alberi spogli, essi creano sculture danzanti
che volteggiano nel grigio luminoso. Accarezzo con lo sguardo i remoti stavoli
di Armasio, giro intorno ad essi, sperando che dalla bruma appaia il volto della
fanciulla “Laura”. Sogno invano, tra i ruderi scorgo solamente quello che
rimane di una cucina rustica, corrosa dal tempo. I camini non fumano, gli
edifici sono vuoti, l’energia pulsante della vita, da tempi remoti, non alberga
più in queste case. Seguo un’ampia carrareccia, volgendo le spalle al borgo,
per poi lasciarlo per il ben marcato sentiero (segni CAI, sul muretto in
cemento e sulle cortecce di alcuni alberi, q.660 m.). Inizio a percorrere la
lunga cresta, sin dai primi metri è ripida, ma comoda, battuta e ben segnata. È
impossibile errare, chi l’ha curata si è evidentemente preoccupato anche dei
neofiti. Salendo per il ripido crinale, per l’impegno comincio a sentire caldo,
mi alleggerisco del pile, e mentre compio questa operazione, la natura mi dona
uno spettacolo eccezionale: la nebbia si abbassa vistosamente, svelando
l’azzurro cielo e i monti carichi di neve. Rimango affascinato, è uno
spettacolo che sto vivendo di persona, i sentimenti che mi scaturiscono da tale
visione sono intensi. Mi giro e rigiro intorno, ammirando tutto quanto si sta
rivelando. La bella e selvaggia cresta del monte Laura si manifesta, dandomi
gioia e timore nel medesimo istante. Vivo le contradizioni della natura che si palesano
nel batter di ciglia. I limiti che creano gli agenti atmosferici e i rilievi
sono corde e vie che devo percorrere, lasciandomi andare, poiché, io sono, soltanto
uno spettatore fortunato, a cui è elargito questo dono. La nebbia avvolge il
mondo terreno, celando i monti a chi non sa volare. Gratificato da questo presente,
proseguo per la bella cresta, timoroso e allo stesso tempo impaziente per ciò
che non conosco ma che vedrò. Tra i fili
d’erba intravedo qualcosa di nero, luccicante e con macchioline gialle, è la
mia amica Salamandra. Ci rincontriamo! Magritte distrattamente, con una
zampetta l’ha pestata, mi fermo un attimo a conversare. <<Ciao saggia Salamandra,
come stai? Come mai ti ritrovo su questa cresta, non mi dire che anche tu ami fare
il funambolo? Ti chiedo scusa per il mio amico, ma come vedi, mentre
conversiamo, esso non si è accorto della tua presenza.>> Il piccolo anfibio,
con un pizzico di disappunto mi risponde: <<Caro Malfa, noto, scusa
l’espressione poco anglosassone, che ultimamente non fai un ca..o, e stai in
giro per i monti, almeno, visto che hai tempo, potresti insegnare le buone
creanze a quell’essere a quattro zampe?>> Con toni meno adirati e con
leggera ironia, continua. << Comunque, non mi soffermo oltre sul canide,
sto rientrando dalla cima, non ti dico i tempi che ho impiegato per
raggiungerla per non umiliarti, stai solo attento perché le condizioni del
sentiero sono idonee a noi salamandre, a presto, spero di rivederti, ma senza
Magritte.>> Il piccolo anfibio si congeda dal sottoscritto, con un
discorre tra il serio e il faceto, lasciandomi intuire le difficoltà che avrei
trovato lungo la cresta. Ripresa l’escursione, mi diletto a camminare, si
proprio diletto. Adoro percorrere la cresta, e questa che sto percorrendo è
sublime, non molla un attimo, alternando svariati saliscendi, ora comodi, ora
esposti e delicati. C’è poco da scrivere o descrivere, ma solo da percorrere
per comprendere meglio. Non conto le sellette che ho superato, mi fermo spesso a
fotografare, sono più impegnato nella contemplazione che nel rilevare, come ho
scritto in precedenza mi sto divertendo, e non è poco. Poco prima della cima
vera e propria (preceduta da due ante-cime), per precauzione indosso i
ramponcini da erba. Ho trovato pochi tratti esposti e su terreno umido, tali da
renderli insidiosi. La vegetazione a
nord nasconde l’esposizione, sto percorrendo una cresta affilata in alcuni passaggi,
ma mai pericolosa. Affrontarla con cautela, si rivela piacevole. Raggiunta la
prima ante-cima (dove è posto un ripetitore) affronto la seconda e finalmente
il ripido pendio finale che mi porta alla vetta. Ricordando i consigli della salamandra,
percorro con cautela l’insidioso pendio per via del terreno scivoloso. Pochi
metri ancora, ed eccomi in vetta (Cima laura 1230 m.). Non trovo nessuna croce,
ne ometto e né libro di vetta. Ne santi e obelischi, ne madonne dilaniate dai
fulmini o catafalchi con una lunga serie di ex voto, ma solo un generico palo
con una tabella dov’è scritta: la quota, il nome del monte e il tempo che mi
rimane per raggiungere casera Bitter. Sorrido, perché il leggere il nome della
casera è un chiaro ed esplicito invito a proseguire, come se la vetta fosse
solo una tappa di passaggio per raggiungere la casera. Mi fermo in vetta una
buona mezz’ora, c’è tanto da vedere, e in previsione delle nevicate future,
sicuramente questa è una delle ultime cime di quest’anno che farò senza l’ausilio
dei ramponi. Riesco ad adocchiare il lontano Duranno e la Cima dei Preti. La
catena montuosa Cavallo-Col Nudo è totalmente imbiancata, tale da confondere l’individuazione
delle cime. Ripreso lo zaino, si continua a occidente, stavolta per facile cresta,
il tratto non è esposto o scivoloso. Raggiungo la massima elevazione della
cresta (quota 1260) percorrendola dentro un boschetto di faggi, per poi calarmi
sul versante meridionale fino alla piccola forcella con cartello e le varie
diramazioni. Il mio itinerario prosegue a meridione, seguendo gli evidenti
segni CAI e le indicazioni per la casera Bitter (CAI 978). Abbandonata la
cresta, percorro l’evidente sentiero immerso dentro la bellissima faggeta, il
tappeto di foglie color bruno scende ripido fino a intravvedere il tetto bianco
della casera, insolito colore per una baita. Magritte mi precede, ha intuito
che finalmente si mangia. Raggiunto il bivacco (casera Bitter, 1139 m.), prima
di predisporre all’esterno un tavolo per due, ispeziono il locale. La casera è
piccola, confortevole e munita di tutti i confort. Prendo il libro dei
visitatori e lo porto all’esterno, gli darò un ‘occhiata durante il pasto.
Raramente leggo oltre la pagina, dove appongo il segno del passaggio, stavolta
faccio un’eccezione. Molti scritti sono divertenti, tranne uno che ho trovato
letteralmente e palesemente redatto da un demente, ma purtroppo in montagna non
c’è divieto di accesso per gli idioti. Finito di pranzare, richiuso e riposto
il libro, ci prepariamo per l’ultimo tratto dell’escursione, il meno faticoso e
sicuramente il meno coinvolgente. Dalla casera il sentiero procede ben marcato
sotto forma di mulattiera, continuando la sua discesa nel versante meridionale,
prima per il bosco di faggi e successivamente per il ripido versante che si
aggetta sulla Val Pentina. Una lunga serie di tornanti, ben visibili dall’alto,
porta a perdere velocemente quota, mi fermo presso una fonte a rifornirmi
d’acqua, per poi riprendere il cammino fino a sbucare sui prati che ospitano l’agriturismo
Pian dei Tass. Vorrei scrivere fatta! Ma rimangono da percorrere ancora
chilometri. Seguendo la stradina a oriente, attraverso di essa, dopo un
centinaio di metri, guado il torrente Pentina, transitando sulla stradina che
mi porta al punto di partenza. Con pazienza, io e il fido percorriamo l’asfaltato
e noioso cammino, fino a raggiungere l’auto. La nebbia comincia ad alzarsi,
presto la valle ne sarà avvolta. Mentre mi preparo per il rientro, osservo
sulla sponda opposta del torrente, degli operai lavorare alla costruzione di una
nuova abitazione. Tutto scorre, tutto è un continuo divenire. Intanto che
l’universale legge di Eraclito scandisce il tempo della valle, io rientro a
casa con una montagna in più da raccontare.
Il “Forestiero Nomade”.
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi carniche.
Avvicinamento: Maniago-Montereale-Barcis- Imbocco Val Pentina-
Località di Partenza: Poco dopo il ponticello che Barcis
porta alla Val Pentina lasciare l’auto presso uno spiazzo (quota 403 m.)
Dislivello: 1000 metri
Dislivello
complessivo: 1000 metri complessivi.
Distanza percorsa in Km: 12
Quota minima partenza: 403 m.
Quota massima raggiunta: 1260 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Solitaria
Tipologia Escursione:
Selvaggio-panoramica.
Difficoltà: Escursionisti Esperti nel tratto di cresta, il
rsto per escursionisti.
Segnavia: CAI 972-978-995;
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No, un semplice cartello.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tab 012
2)
Bibliografici:
3)
Internet: Blog “Ritorno alle origini”
Periodo consigliato: maggio-ottobre.
Condizioni del sentiero: Ben marcato e ottimamente segnato.
Fonti d’acqua: Solo in partenza, e poco prima dell’arrivo
presso una fonte.
Consigliati: Ramponcini per erba.
Data 10 novembre 2017
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Complimenti per la descrizione accurata e utile per me che vorrei andarci ( da San Donà di Piave ) con gli amici prima che arrivi la neve. Complimenti anche per il simpatico cagnolino. Buona montagna. Stefano O.
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