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mercoledì 1 novembre 2017

Monte Sestier


Cima Sestier e Cima Val Grande.



Racconto.

Il viandante ama percorrere in equilibrio le funi prolungate tra le regine di roccia, lasciandosi toccare dal freddo vento del nord. Queste corde tese nell’infinito si chiamano creste, monti con altitudini secondarie, paggi d’onore delle grandi regine. Percorrerle è straordinariamente meraviglioso, il vento mi è compagno, e in qualsiasi modo spinge, mi è d’ostacolo.  Cammino sull’abisso, liberandomi in volo con le ali della fantasia.

Ultimamente abbisognavo di librarmi, desideravo percorrere il confine dell’azzurro, e per questo ho scelto l’avventura sul monte Sestier.

La vetta è disposta come un gendarme a presidiare l’infinito crinale che dalla Cima Manera porta al distante Col Nudo, un confine naturale tra il Friuli e il Veneto. Il Sestier non figura tra le cime più alte della zona, è poco frequentata. La notai per la prima volta un inverno di tanti anni fa, avevo raggiunto la cima Caulana, e ne scrutai la forma. Negli ultimi anni gli fui prossimo: dopo che raggiunsi la vetta del Pianina, il Sestier si nascose tra le nubi, quasi si vergognasse, rinviando il giorno del nostro incontro. Come la molteplicità dei nostri desideri, spesso scompaiono dalla memoria, per poi riapparire, improvvisamente, diventando in pochi istanti, bramosi di essere compiuti.  La cima Sestier, è riapparsa come aspirazione, pulsando la frenesia del desiderio. Scelgo un bel giorno per incontrarci, stavolta mi è compagno Magritte, che ben conosce la Val Grande. Giungo nella località di Piancavallo viaggiando sotto un cielo stellato, raggiungo il punto di partenza, fermo l’auto, aspettando i primi brilli dell’aurora che illumina con candore le bianche rocce del Cavallo. Mi preparo, ammirando il cielo sgombro di nuvole, laddove i rami spogli dei faggi disegnano chine. Sono pronto, parto! M’incammino sull’ampia carrareccia che sfiora la casera del Pian delle More, seguo i segni bianco-rossi che conducono nella rada vegetazione. Mi fermo presso la fonte, odo uno fruscio di foglie, Magritte accenna a un timido ringhio. Un simpatico viandante, vestito come i montanari di una volta, giunge dal basso, effettuerà un anello, passando dal rifugio Semenza. Ci salutiamo. Si allontana a lunghe falcate, al seguito ha un’attrezzatura minimalista, il suo zaino appare vuoto, noto solo i bastoncini da trekking riposti con ordine. Confronto il mio zaino con quello del viandante e medito sulle mie insicurezze, tali, che mi inducono a portarmi al seguito mezzo mondo. Conosco bene il sentiero fino alla forcella Val Grande, tengo la mappa riposta nello zaino, procedo a memoria nel ricordare i vecchi passaggi. Il primo tratto della Val Grande è ripido, si sviluppa sulla destra orografica dell’arido torrente. Alcuni cavi mi sono d’aiuto per risalire la paretina leggermente esposta. Il pendio con l’elevarsi della quota si fa meno ripido. Attraverso un bosco di faggi, le foglie che coprono il suolo sono infide, esse spesso nascondo le malfide e umide rocce. Con cautela (che sarà maggiore al ritorno) procedo, uscendo brevemente dal boschetto, per superare un piccolo ghiaione, per poi riprendere il cammino dentro la selva, stavolta di aghiformi. Dal basso, ammiro alla mia destra l’enorme mole del monte Caulana, la bella cima, percorsa anni fa, mi appare vicina e simile ad una sfinge egizia, ma è solo un’illusione. Il cielo è leggermente velato, e questo mantiene bassa la temperatura, l’inverno comincia a bussare alle porte. Raggiunto un ampio piano, incrinato e detritico, lo percorro agevolmente. Le ghiaie mi portano nel catino carsico che precede la forcella della Val Grande. Cammino vicino alle piccole doline, il carsismo ha frantumato la valle, mi spingo in alto, ammirando i radi larici. Sento la fredda corrente, segno che mi sto avvicinando alla forcella, prima di giungervi mi copro bene, lasciandomi scoperti solo gli occhi. Dalla forcella incontro le prime cime venete e la valle Sperlonga. Ammiro il vicino monte Laste e proseguo a sinistra per la forcella Caulana, in pochi minuti la raggiungo, e qui termina la mia remota conoscenza della zona. Mi emoziona sbirciare oltre la forcella, non ricordo nulla, immagino di trovare qualcosa di affilato e impervio, invece con grande sorpresa, trovo un altopiano chiazzato di neve. La vetta del Sestier è laggiù, appare lontana, la studio, mentre con passo timido incedo. Degli originali ometti mi danno il benvenuto, guidandomi alla lontana crestina, procedo fuori sentiero, passando sui dorsi per mantenermi in quota. Superata la forcella Sestier, inizio il tratto più affascinante, cavalcare la bella cresta, a tratti esile, decorata dai verdi mughi sul versante friulano, mentre su quello veneto la ripida roccia impera. Il percorso alterna brevi salite a discese, non smetto di osservare la cima che si fa sempre più vicina, cercando di carpire come dovrò ascenderla. Scorgo una cengia sul versante orientale, che con l’avvicinarmi si rivela una placca inclinata, sicuramente sarà percorribile. Pochi metri prima che i mughi si separino dalla roccia, mi divido da Magritte, lasciandolo con lo zaino al riparo. Temo di trovare, per il fido, tratti impercorribili. Uno sguardo all’amico, gli lascio la ciotola piena d’acqua e proseguo. Percorro gli ultimi metri della cresta per poi svoltare a sinistra, calandomi per l’inerbito pendio su un canalone, che poi risalgo per roccette, fino alla base della rampa parzialmente inerbita. Il percorso visto da vicino è meno insidioso, in breve raggiungo una tacca, che nel superarla mi proietta sul versante orientale: un ripidissimo e insidioso pendio, totalmente inerbito. Presto attenzione a percorrere l’esile traccia, dopo pochi metri si abbassa di quota, fino ad un canalone, mi avvicino con cautela al margine del salto, i segni dell’alta via mi guidano a incunearmi per superarlo in basso. Con un passaggio di primo grado + in discesa, supero il canalino, risalendo il pendio erboso (zizzago senza tracce) tra le zolle fino al vertice della cresta, così raggiungo l’ometto di vetta. Il paesaggio è fantastico anche se velato, noto la vicina cima, bella e frastagliata, ci sono passato sotto, sosto brevemente effettuando delle foto. Ridiscendo con cautela, e risalito il salto percorro brevemente l’esile traccia, mirando a delle roccette per ascendere la cima ammirata in precedenza. Con brevi passi di arrampicata, alcuni di primo grado inferiore, raggiungo la cima di trenta metri più bassa della principale. Un altro ometto ne segna il vertice, nell’effettuare le riprese, mi accorgo di non aver registrato nessuna immagine, la memoria della scheda era mal inserita alla partenza dell’escursione. Rammaricato, mi armo di pazienza ed effettuo la prima foto e il video. Tutto quello che ho fotografato in precedenza rimarrà nei ricordi. Fa molto freddo, il cielo sembra chiudersi, e il gelo non mi stimola alla permanenza sulla vetta. Il mio pensiero è a Magritte. Mi affretto a scendere, un escursionista nel frattempo sopraggiunge, gli chiedo del mio cane, egli aveva immaginato che io ero nei d’intorni. Ci salutiamo, scendo, ma lentamente, l’amico è veloce, sta poco in cima, ridiscende subito, lo faccio passare, anch’egli ha come il viandante della mattina uno zaino minimalista; questo mi fa pensare se non sia il caso di alleggerire il mio. Lo seguo con lo sguardo, procede velocemente, per i miei gusti, effettuo delle foto, come se avessi ricominciato l’avventura. Raggiunto Magritte (scodinzola), riassetto il materiale, lo accarezzo sul musetto e riprendiamo la via del ritorno, girandomi di tanto in tanto indietro ad ammirare il Sestier.  Mi fermo, osservo sulla mappa la cimetta vicina, non è difficile, decido dopo essere giunto sulla forcella Caulana di lasciare lo zaino adagiato dentro una fossa, procedendo con Magritte per la cima di Val Grande. Percorro questa breve crestina, volando ancora in alto fino al vertice. Il vento si fa sentire, le raffiche rendono difficile anche le riprese, effettuiamo una breve sosta e a ritroso raggiungiamo lo zaino. Ripreso il viaggio ci incamminiamo per il ritorno, le bianche velature nel cielo si dissolvono, svelando un bellissimo azzurro. Con Magritte ci accovacciamo presso un masso, difendendoci dal freddo per effettuare la breve sosta per nutrirci. Recuperiamo le forze, il freddo è pungente, divido il panino con l’amico, se lo è meritato. Riprendiamo da subito il cammino, prima che sopraggiunga il crepuscolo. Abbiamo ancora tre ore di luce. Durante il tragitto del ritorno osservo il caro compagno, non si ferma un attimo, diligente come un soldatino, è commovente la sua abnegazione, l’unica cosa che desidera e di seguirmi in montagna. Sono passati dieci anni da quando Magritte percorse per la prima volta questa valle, aveva ancora il musetto e parte del pelo color terra bruciata, ora è imbiancato, e non ha più il vigore di un tempo. L’autunno è una metafora della vita. Oggi dovrei essere felice per le cime raggiunte, per una nuova storia da raccontare, invece sono triste. Andare in montagna in solitaria è un viaggio interiore, spesso si sfiorano aspetti dolorosi dell’esistenza. In compagnia delle riflessioni melanconiche, io e l’amico raggiungiamo l’auto prima che la luce abbandoni il cielo. Nel tempo che dedico per togliere gli scarponi (seduto sul bordo del porta bagagli) osservo i raggi solari che tingono di purpureo il cielo, e rifletto su quanto sia bella la vita con le sue stagioni.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.



Note tecniche.
Percorso in sintesi: Partenza dal Pian delle More  (q.1190 m.) Sentiero 925 fino alla forcella Val Grande ( q.1925 m.) 2, 5 ore - Procedere seguendo le indicazioni per la forcella Sestier (Alta via n° 7, mezz’ ora) - Dalla forcella Sestier ( q.1907 m.) per affilata cresta fino a calarsi in un canalone, lo si risale per rampa mista di roccette e zolle erbose, fino ad un intaglio. Traverso su piano erboso, ci si cala in un secondo canale, passaggio di 1° grado +. e successivamente si raggiunge la vetta per zolle erbose (q.2084 m.  1 ora). Per il rientro stesso sentiero dell’andata.
Avvicinamento: Maniago-Aviano-Piancavallo-Pian delle More.
Località di Partenza: Pian delle More 1190 m.
Dislivello: 900 m
 Dislivello complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 16 chilometri
Quota minima partenza: 1190 m.
Quota massima raggiunta: 2084 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Solitaria.
 Tipologia Escursione: Selvaggia-solitaria
Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionisti Esperti
Segnavia: CAI 925; Alta via n° 7
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)                  Cartografici: Tab 012
2)                  Bibliografici:
3)                  Internet:
Periodo consigliato: maggio-ottobre
Condizioni del sentiero: Ben segnato e battuto
Fonti d’acqua: No (terreno prevalentemente carsico)
Data: 28 ottobre 2017

Il “Forestiero Nomade”
Malfa






















































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