Cima Sestier e Cima Val Grande.
Racconto.
Il viandante ama percorrere in equilibrio le funi prolungate
tra le regine di roccia, lasciandosi toccare dal freddo vento del nord. Queste
corde tese nell’infinito si chiamano creste, monti con altitudini secondarie, paggi
d’onore delle grandi regine. Percorrerle è straordinariamente meraviglioso, il
vento mi è compagno, e in qualsiasi modo spinge, mi è d’ostacolo. Cammino sull’abisso, liberandomi in volo con le
ali della fantasia.
Ultimamente abbisognavo di librarmi, desideravo percorrere il
confine dell’azzurro, e per questo ho scelto l’avventura sul monte Sestier.
La vetta è disposta come un gendarme a presidiare l’infinito
crinale che dalla Cima Manera porta al distante Col Nudo, un confine naturale
tra il Friuli e il Veneto. Il Sestier non figura tra le cime più alte della
zona, è poco frequentata. La notai per la prima volta un inverno di tanti anni
fa, avevo raggiunto la cima Caulana, e ne scrutai la forma. Negli ultimi anni
gli fui prossimo: dopo che raggiunsi la vetta del Pianina, il Sestier si nascose
tra le nubi, quasi si vergognasse, rinviando il giorno del nostro incontro.
Come la molteplicità dei nostri desideri, spesso scompaiono dalla memoria, per poi
riapparire, improvvisamente, diventando in pochi istanti, bramosi di essere
compiuti. La cima Sestier, è riapparsa
come aspirazione, pulsando la frenesia del desiderio. Scelgo un bel giorno per
incontrarci, stavolta mi è compagno Magritte, che ben conosce la Val Grande.
Giungo nella località di Piancavallo viaggiando sotto un cielo stellato, raggiungo
il punto di partenza, fermo l’auto, aspettando i primi brilli dell’aurora che
illumina con candore le bianche rocce del Cavallo. Mi preparo, ammirando il cielo
sgombro di nuvole, laddove i rami spogli dei faggi disegnano chine. Sono pronto,
parto! M’incammino sull’ampia carrareccia che sfiora la casera del Pian delle
More, seguo i segni bianco-rossi che conducono nella rada vegetazione. Mi fermo
presso la fonte, odo uno fruscio di foglie, Magritte accenna a un timido
ringhio. Un simpatico viandante, vestito come i montanari di una volta, giunge dal
basso, effettuerà un anello, passando dal rifugio Semenza. Ci salutiamo. Si
allontana a lunghe falcate, al seguito ha un’attrezzatura minimalista, il suo
zaino appare vuoto, noto solo i bastoncini da trekking riposti con ordine. Confronto
il mio zaino con quello del viandante e medito sulle mie insicurezze, tali, che
mi inducono a portarmi al seguito mezzo mondo. Conosco bene il sentiero fino
alla forcella Val Grande, tengo la mappa riposta nello zaino, procedo a memoria
nel ricordare i vecchi passaggi. Il primo tratto della Val Grande è ripido, si
sviluppa sulla destra orografica dell’arido torrente. Alcuni cavi mi sono d’aiuto
per risalire la paretina leggermente esposta. Il pendio con l’elevarsi della
quota si fa meno ripido. Attraverso un bosco di faggi, le foglie che coprono il
suolo sono infide, esse spesso nascondo le malfide e umide rocce. Con cautela (che
sarà maggiore al ritorno) procedo, uscendo brevemente dal boschetto, per
superare un piccolo ghiaione, per poi riprendere il cammino dentro la selva,
stavolta di aghiformi. Dal basso, ammiro alla mia destra l’enorme mole del
monte Caulana, la bella cima, percorsa anni fa, mi appare vicina e simile ad
una sfinge egizia, ma è solo un’illusione. Il cielo è leggermente velato, e
questo mantiene bassa la temperatura, l’inverno comincia a bussare alle porte.
Raggiunto un ampio piano, incrinato e detritico, lo percorro agevolmente. Le ghiaie
mi portano nel catino carsico che precede la forcella della Val Grande. Cammino
vicino alle piccole doline, il carsismo ha frantumato la valle, mi spingo in
alto, ammirando i radi larici. Sento la fredda corrente, segno che mi sto avvicinando
alla forcella, prima di giungervi mi copro bene, lasciandomi scoperti solo gli
occhi. Dalla forcella incontro le prime cime venete e la valle Sperlonga.
Ammiro il vicino monte Laste e proseguo a sinistra per la forcella Caulana, in
pochi minuti la raggiungo, e qui termina la mia remota conoscenza della zona.
Mi emoziona sbirciare oltre la forcella, non ricordo nulla, immagino di trovare
qualcosa di affilato e impervio, invece con grande sorpresa, trovo un altopiano
chiazzato di neve. La vetta del Sestier è laggiù, appare lontana, la studio,
mentre con passo timido incedo. Degli originali ometti mi danno il benvenuto,
guidandomi alla lontana crestina, procedo fuori sentiero, passando sui dorsi
per mantenermi in quota. Superata la forcella Sestier, inizio il tratto più
affascinante, cavalcare la bella cresta, a tratti esile, decorata dai verdi
mughi sul versante friulano, mentre su quello veneto la ripida roccia impera.
Il percorso alterna brevi salite a discese, non smetto di osservare la cima che
si fa sempre più vicina, cercando di carpire come dovrò ascenderla. Scorgo una
cengia sul versante orientale, che con l’avvicinarmi si rivela una placca
inclinata, sicuramente sarà percorribile. Pochi metri prima che i mughi si
separino dalla roccia, mi divido da Magritte, lasciandolo con lo zaino al
riparo. Temo di trovare, per il fido, tratti impercorribili. Uno sguardo
all’amico, gli lascio la ciotola piena d’acqua e proseguo. Percorro gli ultimi
metri della cresta per poi svoltare a sinistra, calandomi per l’inerbito pendio
su un canalone, che poi risalgo per roccette, fino alla base della rampa parzialmente
inerbita. Il percorso visto da vicino è meno insidioso, in breve raggiungo una
tacca, che nel superarla mi proietta sul versante orientale: un ripidissimo e
insidioso pendio, totalmente inerbito. Presto attenzione a percorrere l’esile traccia,
dopo pochi metri si abbassa di quota, fino ad un canalone, mi avvicino con
cautela al margine del salto, i segni dell’alta via mi guidano a incunearmi per
superarlo in basso. Con un passaggio di primo grado + in discesa, supero il
canalino, risalendo il pendio erboso (zizzago senza tracce) tra le zolle fino
al vertice della cresta, così raggiungo l’ometto di vetta. Il paesaggio è
fantastico anche se velato, noto la vicina cima, bella e frastagliata, ci sono
passato sotto, sosto brevemente effettuando delle foto. Ridiscendo con cautela,
e risalito il salto percorro brevemente l’esile traccia, mirando a delle
roccette per ascendere la cima ammirata in precedenza. Con brevi passi di arrampicata,
alcuni di primo grado inferiore, raggiungo la cima di trenta metri più bassa
della principale. Un altro ometto ne segna il vertice, nell’effettuare le
riprese, mi accorgo di non aver registrato nessuna immagine, la memoria della
scheda era mal inserita alla partenza dell’escursione. Rammaricato, mi armo di
pazienza ed effettuo la prima foto e il video. Tutto quello che ho fotografato
in precedenza rimarrà nei ricordi. Fa molto freddo, il cielo sembra chiudersi,
e il gelo non mi stimola alla permanenza sulla vetta. Il mio pensiero è a
Magritte. Mi affretto a scendere, un escursionista nel frattempo sopraggiunge,
gli chiedo del mio cane, egli aveva immaginato che io ero nei d’intorni. Ci
salutiamo, scendo, ma lentamente, l’amico è veloce, sta poco in cima,
ridiscende subito, lo faccio passare, anch’egli ha come il viandante della
mattina uno zaino minimalista; questo mi fa pensare se non sia il caso di
alleggerire il mio. Lo seguo con lo sguardo, procede velocemente, per i miei
gusti, effettuo delle foto, come se avessi ricominciato l’avventura. Raggiunto
Magritte (scodinzola), riassetto il materiale, lo accarezzo sul musetto e
riprendiamo la via del ritorno, girandomi di tanto in tanto indietro ad
ammirare il Sestier. Mi fermo, osservo
sulla mappa la cimetta vicina, non è difficile, decido dopo essere giunto sulla
forcella Caulana di lasciare lo zaino adagiato dentro una fossa, procedendo con
Magritte per la cima di Val Grande. Percorro questa breve crestina, volando
ancora in alto fino al vertice. Il vento si fa sentire, le raffiche rendono
difficile anche le riprese, effettuiamo una breve sosta e a ritroso
raggiungiamo lo zaino. Ripreso il viaggio ci incamminiamo per il ritorno, le bianche
velature nel cielo si dissolvono, svelando un bellissimo azzurro. Con Magritte
ci accovacciamo presso un masso, difendendoci dal freddo per effettuare la
breve sosta per nutrirci. Recuperiamo le forze, il freddo è pungente, divido il
panino con l’amico, se lo è meritato. Riprendiamo da subito il cammino, prima
che sopraggiunga il crepuscolo. Abbiamo ancora tre ore di luce. Durante il
tragitto del ritorno osservo il caro compagno, non si ferma un attimo,
diligente come un soldatino, è commovente la sua abnegazione, l’unica cosa che desidera
e di seguirmi in montagna. Sono passati dieci anni da quando Magritte percorse
per la prima volta questa valle, aveva ancora il musetto e parte del pelo color
terra bruciata, ora è imbiancato, e non ha più il vigore di un tempo. L’autunno
è una metafora della vita. Oggi dovrei essere felice per le cime raggiunte, per
una nuova storia da raccontare, invece sono triste. Andare in montagna in
solitaria è un viaggio interiore, spesso si sfiorano aspetti dolorosi
dell’esistenza. In compagnia delle riflessioni melanconiche, io e l’amico
raggiungiamo l’auto prima che la luce abbandoni il cielo. Nel tempo che dedico per
togliere gli scarponi (seduto sul bordo del porta bagagli) osservo i raggi solari
che tingono di purpureo il cielo, e rifletto su quanto sia bella la vita con le
sue stagioni.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Note tecniche.
Percorso in sintesi: Partenza dal Pian delle More (q.1190 m.) Sentiero 925 fino alla forcella
Val Grande ( q.1925 m.) 2, 5 ore - Procedere seguendo le indicazioni per la
forcella Sestier (Alta via n° 7, mezz’ ora) - Dalla forcella Sestier ( q.1907
m.) per affilata cresta fino a calarsi in un canalone, lo si risale per rampa
mista di roccette e zolle erbose, fino ad un intaglio. Traverso su piano
erboso, ci si cala in un secondo canale, passaggio di 1° grado +. e
successivamente si raggiunge la vetta per zolle erbose (q.2084 m. 1 ora). Per il rientro stesso sentiero dell’andata.
Localizzazione: Prealpi
Venete - Gruppo Col
Nudo Cavallo.
Avvicinamento: Maniago-Aviano-Piancavallo-Pian delle More.
Località di Partenza: Pian delle More 1190 m.
Dislivello: 900 m
Dislivello
complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 16 chilometri
Quota minima partenza: 1190 m.
Quota massima raggiunta: 2084 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Selvaggia-solitaria
Difficoltà: Escursionisti Esperti
Segnavia: CAI 925; Alta via n° 7
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tab 012
2)
Bibliografici:
3)
Internet:
Periodo consigliato: maggio-ottobre
Condizioni del sentiero: Ben segnato e battuto
Fonti d’acqua: No (terreno prevalentemente carsico)
Data: 28 ottobre 2017
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
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