Pala di Laris, Crete di Palasecca, 1914 m.
Racconto.
L’inverno scorso, dalla cima del Palavierte, detti uno
sguardo alla cresta che procedeva a settentrione, fino a incontrare il Re dei monti
friulani “Il Sernio”. Rientrato a casa, studiai la cresta che prende il nome di
Crete di Palasecca. Cercai notizie utili sul web, trovando materiale valido nel
noto blog del mitico “Ravanatore”. La cima è chiaramente inserita in un
ambiente selvaggio, non facilmente raggiungibile per sentieri comuni come
quelli segnati dal CAI, lo stesso Ravanatore ha faticato non poco, arrivandoci
al terzo tentativo. Cima che attira la mia curiosità, sicuramente perché amo le
creste. Negli ultimi tempi ho notato una cospicua frequenza di “spiriti liberi”
nella zona. Hanno dato inizio alle danze Il Prof, l’apache e lo scoiattolo,
ascendendo il Sernio dallo spigolo nord, riproponendo l’impresa pochi giorni
dopo l’alpinista volante (Fabiana Cemulini) che sempre in zona, di recente ha
scalato la torre del Nurvienulis. Dopo aver effettuato l’escursione sulla Creta
di Mezzodì (avevo ambizioni maggiori, rinviate a causa della neve), progetto
l’assalto alla cima di Gjai, in compagnia dello scoiattolo Roberto, quasi in
contemporanea con l’ascesa del mitico Stefano “l’apache” sulla Pala di Laris. Lo
stesso Stefano ci sprona (Roberto e il
sottoscritto) a visitare quest’ultima cima per instaurare un nuovo libro di
vetta, visto che quello che si trova in cima è logoro e inutilizzabile. L’intento
di mettere un nuovo libro di vetta è diventato per il sottoscritto una sincera missione,
la cresta Palasecca, giorno dopo giorno si è addentra nei pensieri, tanto da
farmi cambiare l’itinerario che avevo progettato. Dopo un proficuo scambio di
informazioni con Stefano, mi appronto per la Pala di Laris, l’ambiente
selvaggio e solare richiede anche la presenza del fido Magritte.
Il giorno dell’escursione si presenta splendido come i
giorni del mese precedente. Si parte per la Carnia, raggiugendola alle prime
ore dell’alba. l’Aurora tinge di rosa l’Amariana, regina di Tolmezzo. Percorro
la Valle del But, la neve è assente sui rilievi, il cielo ha una leggera
velatura che nel dì sparirà. Stavolta conosco bene la strada, supero il borgo
di Lovea, e successivamente gli stavoli di Chiampees, proseguendo lungo la
carrareccia fino a pochi metri prima del torrente. Lascio l’auto in un piccolo
spiazzo. Uscendo dall’abitacolo accolgo favorevolmente la temperatura mite,
puntando lo sguardo alla cresta di Palasecca, che sovrasta la vegetazione. Pronti!
Con l’amico si parte, direzione? Semplice! Mappa in tasca, seguo i bolli rossi
che mi porteranno a incrociare in alto il sentiero CAI 455, che dalla località
Pra di Lunge, attraversando le pendici occidentali della Palasecca porta fino al
rifugio Sernio. Guadato il torrente, mi
porto a di là dell’argine, dove inizia l’ascesa. Il primo tratto di sentiero è
ripido, con una lunghissima serie di serpentine risalgo trecento metri di
dislivello, percorrendo il costone boschivo popolato da splendidi faggi.
Trovandomi sul versante occidentale, il cammino è adombrato dalle cime. Per un breve
tratto, pochi metri, mi immetto sul sentiero CAI 455, seguendo i segni bianco
rossi, la traccia procede verso Illegio, dall’alto ammiro la propaggine meridionale
della Creta di Palasecca, mi sembra di riconoscere tra le cime quella del
Palavierte. Abbandono il sentiero ufficiale per continuare per bolli rossi,
ascendendo il ripido crinale, la traccia passa tra due file di faggi allineati
come soldatini. Percorro con facilità il
tratto, sento che mi sto avvicinando alle pareti settentrionali della Palasecca,
le intravedo tra le fronde spoglie degli alberi. Il sentiero cambia direzione,
eseguendo un lungo traverso sul ripido versante, il cammino è fugace, infido, e
coperto dalle foglie. Ancora pochi passi e mi abbasso tra i mughi, entrando
nell’ampio canale detritico che percorro orizzontalmente, giungendo alla
sinistra orografica di esso. Mi porto sotto le verticali pareti occidentali
della Cima del Laris, seguendo gli evidenti bolli rossi. Inizio il tratto più
divertente dell’escursione, ovvero, risalire il canale fino alla forcella “Pra
Daneit”. Altri trecento metri di dislivello, da rimontare tra enormi massi,
ghiaie e mughi. La traccia o quella che dovrebbe somigliarle, si mantiene a destra
del canale, alcuni passaggi sono leggermente esposti ma facilmente aggirabili,
ed è quello che faccio. Il canale che mi porta alla cima lo troverò sulla
destra, ne supero uno inerbito, vado avanti. Un secondo canale (sempre a
destra) è stretto, angusto e anche bollato, lo ignoro, proseguo percorrendo a
sinistra del canale un breve tratto tra i mughi, per poi rientrare, poco sotto
la forcella Pra Daneit (immersa tra i mughi). Intravedo poco prima di quest’ultima
un canalino incassato, lascio la traccia con bolli rossi che continua per il
Sernio, entrando nel canalino. Scorgo degli ometti all’imbocco, riconosco in
alto a destra la torre di roccia, vista nelle immagini pubblicate da Stefano. Avanzo
di pochi metri, lasciando lo zaino dietro un grande masso. Al seguito porto
solo la mini sacca, con all’interno un cordino di trenta metri e un pile. Magritte
stavolta mi segue. Lo stretto canale non è difficile da risalire, bisogna stare
solo attento alle ghiaie, a sinistra è più abbordabile; raggiunto il suo
culmine, tra balze erbose, mi si presenta davanti un muro di mughi, lo percorro
da sinistra a destra fino a scorgere un varco (tagli recenti). Oltre i mughi,
riesco a distinguere le due cime della Pala di Laris. Percorro il passaggio tra
i mughi del versante orientale del monte, fino a raggiungere uno stretto ghiaino
che risale fino alle balze erbose sommitali, lo seguo, confortato dalla
presenza di radi ometti. Dal piano inerbito il cammino è libero, bisogna mirare
alla piccola forcella tra le due cime,
zizzagando e trovando i passaggi migliori. Raggiunta la piccola sella, sosto
presso di essa, affacciandomi sull’assolato e vertiginoso versante occidentale.
Un ripido e impraticabile canalone scende vorticosamente dalla forcella. Alzo
il volto al cielo, lasciandomi baciare dal sole, finalmente ne sento il calore.
Il cielo si è liberato dalle velature, la temperatura è primaverile, non mi
rimane che salire in vetta. Stefano, ha omesso quale delle due cime è la più
alta, lasciandomi il privilegio di errare. La quota più alta, a occhio appare
quella a destra (avendo il Sernio alle spalle), roccia ricoperta di mughi,
mentre quella sinistra mi sembra più bassa. Convinto di farle entrambe, ascendo
per prima la meno alta, per breve canalino e detriti. In pochi minuti sono in
vetta, dove mi aspetta uno sparuto ometto, girandomi osservo l’altra cima, più
distante e più alta, ne intravedo l’ometto di vetta con un ramo messo come segno.
Mi godo questa cima, di quasi venti metri più bassa, per poi scendere ed elevarmi
sull’altra. L’approccio con la cima principale è meno facile, seguo un canalino
con passaggi di primo grado inferiore, che mi porta sulla crestina, da questa,
con alcuni passaggi sui mughi trovo un varco che mi porta sulla comoda vetta.
Magritte, conferma in questo frangente le sue qualità di alpinista provetto, mi
ha seguito in entrambe le cime, e ora si abbandona al classico e meritato
pisolino. La visuale, come nella precedente cima è spettacolare, dall’alto
riesco a spaziare su tutto l’arco alpino friulano e oltre, naturalmente il
Sernio e la Grauzaria la fanno da padroni. La giornata è splendida, ho tante
ore di luce, quindi me la prendo comoda, iniziando con il sostituire il libro
di vetta, riposto dentro un contenitore giallo.
Dentro la scatola rilevo dei sacchetti, e un piccolo libretto inzuppato d’acqua,
è inutilizzabile; la scatola è pure sprovvista di penne. Riutilizzando lo
stesso contenitore, lo doto di un nuovo libretto, penna e svariate buste di plastica,
più il logo del nostro gruppo. Fatta la buona azione, mi dedico alla
contemplazione del paesaggio, descrivere la bellezza di questa meraviglia è impresa
ardua, mi limito a fare delle foto, sperando di trasmettere le emozioni che
provo. Trascorso il tempo sulla cima (trascorso velocemente), con l’amico
Magritte ci allestiamo per il rientro. Sceso dalla parete della vetta
principale (alta ventiquattro metri), discendiamo per zolle, finché intravedo
una figura umana risalire dal basso. Strano, per una cima frequentata da pochi,
e per giunta di feriale. Le sorprese non finiscono qui, il solitario
escursionista abita a due chilometri dalla frazione dove vivo io, il mondo a
volte è piccolo. Mi congedo dallo spirito libero, dandoci appuntamento su altre
cime. Guadagnato il canalino in basso, recupero lo zaino, e ripreso il cammino rientro.
Il percorso in discesa appare breve, addirittura penso di aver saltato dei passaggi,
rapidamente mi ritrovo sul sentiero orizzontale del canale, prossimo a entrare
nel bosco. Decido, di fare pausa, imbandendo una tavola per due. Mentre mi
sfamo, penso al motivo per cui, durante le pose per la foto di vetta, saluto con
l’indice e il medio della mano rivolto verso l’alto a segno di V. I ricordi
volano lontano nel tempo, e con la mente mi ritrovo a quando avevo otto anni, nel
settembre del 1971. Mio padre era trapassato da poche settimane, mia madre,
aveva deciso (mal consigliata dalle mie zie), di rinchiudermi in un collegio gestito
da gesuiti; per darmi, secondo il loro parere, un futuro migliore. Mi ritrovai
in un monastero Benedettino, sperduto tra i monti in località San Martino delle
Scale, a pochi chilometri da Palermo. Non mi rassegnai alla prigione, progettando
un piano di evasione, naturalmente con l’ausilio di compari. Avevo scoperto una
porta, sbarrata con un chiavistello, bastava svitare una vite ed essa si sarebbe
aperta, in un attimo sarei stato fuori dal portone del collegio. Libero! Tutto era
pronto per la fuga, ero convintissimo della scelta, e l’aver saputo dagli altri
ragazzi che mai nessuno era riuscito a evedere da quel luogo mi eccitava ancora
di più. La mattina della fuga, i due compari si ritirano, adducendomi scuse
banali, erano stati soggiogati sicuramente dai genitori. Finsi di rinunciare
alla fuga, temendo che potessero fare la spia agli ecclesiali. Il pomeriggio
dello stesso giorno attuai il piano, temendo di essere scoperto venni preso da
forti palpitazioni, svitai la vite, aprii la porta e scesi velocemente per le
scale. Una volta fuori dal monastero corsi in fondo al viale, l’istinto mi portò
a Palermo. Durante la fuga evitai di vagare per la strada principale (per non
incorrere nelle forze dell’ordine attivate dai preti) preferendo i colli e i
monti. Arrivai alla periferia della
città. Percorsi ben quindici chilometri. Presso un’edicola, dove erano in sosta
gli autobus, chiesi a un adulto se i pullman portassero al centro della città, acconsentì,
ma aveva un’aria sospetta. Stranamente mi donò del denaro per il biglietto, e mi
disse di aspettarlo. Acconsentii, ma appena scomparve dalla mia visuale, andai
dall’edicolante, con le monetine comprai un fumetto (Topolino) e mentre questi
mi dava il resto, notai una rivista musicale “Music” esposta insieme alle altre. Sulla
copertina era raffigurato un tipo stravagante, dai capelli lunghi, occhialuto,
sguardo da sognatore, e con le dita della mano destra a fare il gesto di V, ne
rimasi colpito. Anni dopo scoprii che il tipo strano era John Lennon, e la
rivista annunciava l’uscita del suo immortale singolo” Imagine”. Presi la
rimanenza, e avendo il presentimento che il tizio delle monetine chiamasse i
carabinieri, fuggii lesto da quella
periferia, dritto per una grande strada che mi portò al centro di Palermo.
Raggiunsi il parco, non avevo il coraggio di rientrare a casa, recuperai un
cartone cercai di dormirci dentro, ma sentivo freddo, quindi decisi di
rientrare a casa. Ho sempre avuto un ottimo senso dell’orientamento. Arrivato
sotto casa, aprii il portone del palazzo (bastava dare una spinta), decidendo
di dormire nel pianerottolo sopra casa. Il mattino dopo, approfittando dell’abitudine
di mia madre di lasciare la porta aperta, per alcuni istanti, prima che andasse
al lavoro, mi intrufolai all’interno, nascondendomi sotto il tavolo. Scoperta
la mia fuga, fui rinchiuso altre due volte in collegio, con altrettante fughe;
finché mia madre si rassegnò e mi riscrisse a scuola, dove potetti
riabbracciare i miei compagni e la mia maestra. Ricordo bene il rientro in
classe, salutai i miei compagni con la mano alzata in segno di vittoria, con le
due dita in segno di V. Avevo vinto la mia prima battaglia per la libertà, fuggendo
dalla prigionia attraversando i monti. La montagna, da allora per me è sinonimo
di Libertà.
Ripresomi dai
ricordi, rimetto lo zaino, percorrendo il sentiero dall’andata, in breve
raggiungo l’auto. Mi spoglio degli abiti sudati, tolgo gli scarponi, e prima di
partire rivolgo lo sguardo alla Creta di Palasecca, salutandola con il braccio
alzato e l’indice e il medio rivolte verso l’alto con il segno di V.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Note tecniche.
Localizzazione: Alpi Carniche Gruppo, Gruppo
Sernio-Grauzaria. Sottogruppo, Dorsale Sernio-Palasecca.
Avvicinamento: Tolmezzo- Percorrere la statale per il Passo
di Monte Croce Carnico. Svoltare poco dopo Cadunea per Paularo, pochi
chilometri dopo imboccare le indicazioni per Lovea. Percorrere la stretta
carreggiabile fino a pochi metri della piccola frazione di Lovea- Seguire una
stretta strada forestale a sinistra, fino agli stavoli di Chiampees, proseguire
per la stradina fino a pochi metri prima del ponte sul torrente. Piccolo spazio
per la sosta (quota 816 m.).
Località di Partenza: Torrente presso gli stavoli di
Chiampees (q. 816 m).
Dislivello: 1100 m.
Dislivello
complessivo: 1100 m.
Distanza percorsa in Km: 10 chilometri.
Quota minima partenza: 816 m.
Quota massima raggiunta: 1914 m.
Tempi di percorrenza. 5,5 ore escluse le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione:
Selvaggio estremo.
Difficoltà: Escursionisti Esperti, brevi passaggi di primo
grado.
Segnavia: CAI 455 per pochi metri, bolli rossi e radi
ometti.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: Si, sostituito dal sottoscritto, quello
vecchio che era inzuppato d’acqua.
Timbro di vetta: No
Riferimenti:
1)
Cartografici: Tab 09
2)
Bibliografici:
3)
Internet: ilravanatore.wordpress.com
Periodo consigliato: maggio- ottobre
Condizioni del sentiero: Aspro e selvaggio.
Fonti d’acqua: Solo alla partenza.
Data: 03 novembre 2017.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
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