Monte Porgeit 1864 m. da Erto
Note tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti Orientali: Gruppo Duranno-Cima dei PRETI.
Avvicinamento:
Barcis-Val Cellina-Cimolais-Passo di Sant’Osvaldo. Poco prima Erto sostare nei pressi della cappella di San Remedio, il
sentiero parte poco prima dalla statale , i primi metri sono protetti da una
balaustra in metallo .
Dislivello: 1080
m.
Dislivello
complessivo: 1080 m.
Distanza
percorsa in Km: 8 km.
Quota minima
partenza: 784 m.
Quota
massima raggiunta: 1864 m.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggio
Difficoltà: Escursionistico.
Segnavia: Solo
radi Ometti, traccia solo nella parte inziale, il tratto finale si procede in
libera.
Tempo
percorrenza totale: 5, 5 ore.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco 021.
Periodo
consigliato: Maggio-Ottobre.
Condizioni
del sentiero: Selvaggio.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Ogni volta
che il mio spirito desidera libertà devo fuggire dalla quotidianità e il
pensiero vola ai luoghi selvaggi delle valli del Vajont e dello Zemola. Le
montagne che circondano queste meravigliose valli sono tra le più belle del
Friuli, e ogni escursione è una magia per lo spirito libero che vuole vivere la
montagna nella sua totalità. Monte Porgeit è una di queste magie messa in
programma per l’estate. Il perdurare dell’assenza di neve in questo inverno
straordinario ha anticipato la data dell’escursione. Preparo lo zaino essendo
sicuro di non trovare neve sul percorso. Il giorno della partenza la sveglia
interrompe un dolce sogno, come uno zombie mi avvio in cucina per preparare la
colazione. Magritte è già desto e mi guarda cercando un assenso per la sua
probabile partecipazione all’escursione, abbasso la testa sorridendogli,
colazione anche per lui e si parte per l’ennesima avventura. Vista la vicinanza
della meta, me la prendo comoda, esco da casa sempre al buio ma non più in
piena notte. La statale che porta alla val del Vajont passa da Barcis e dalla
valle del Cellino, che trovo ancora innevate, lastre di ghiaccio galleggiano
sul lago, fontane di ghiaccio scolpiscono strane sculture ai margini della
strada. La sensazione nell’osservare il paesaggio e di vivere un altro inverno,
molto simile a quelli scandinavi. Tutte le località che attraverso sono
imbiancate, ma non dispero, percepisco che nella valle del Vajont troverò il
sole e un paesaggio molto più rassicurante. Passo da Cimolais, ammirando gli
spettacolari Duranno e Cima dei Preti. Supero il piccolo paesino e il passo di
Sant’Osvaldo, scendo per la valle del Vajont, le nebbie mattutine ovattano
l’atmosfera, dandogli quel tocco magico. Supero la cappella di San Remedio
posta a destra della statale, pochi metri dopo scorgo uno spiazzo accanto ad
una fontanella costruita su un tronco d’albero dove lascio l’auto. Zaino in
spalle e Magritte e sogni al seguito parto. Tornando a ritroso dopo la
cappella, percorro la statale per alcuni metri dando un’occhiata all’orrido che
si aggetta sul sottostante torrente Zemola.
Dopo alcuni metri una balaustra a sinistra dell’asfalto delimita la
salita del primo tratto del sentiero, nessun cartello o segno è posto come
indicazione. Il primo tratto è imbiancato di neve, ma dopo pochi metri mi
aspetta il sentiero ben marcato che con andamento ripidissimo traccia una
diagonale sul versante meridionale del monte, portandosi da occidente a
oriente. Il primo tratto di sentiero è sgombro da vegetazione, ma con il
guadagnare di quota compaiono i primi sparuti faggi e la numerosa colonia di
noccioli. Verso quota 1091 m. il sentiero cambia direzione, da oriente a
occidente, mantenendo sempre l’andatura ripida. La traccia è ben marcata dentro
il bosco di noccioli che sono fittissimi. Nessun segno e nessuna costruzione
che faccia pensare alla presenza dell’uomo, solo questa traccia e radi ometti.
La solitudine e l’assenza di visuale sul mondo circostante rende claustrofobica
l’escursione, sembra un labirinto, vedo solo il cielo azzurro sopra di me. La
vegetazione è così fitta che i noccioli si divertono a catturare il mio
berretto di lana. Raggiungo un faggio dove è appesa una piccola ancona con
immagine sacra, un’altra è posta per terra con dei rami secchi sopra. Il sentiero
continua sempre per bosco fino a raggiungere la quota di 1550 m. dove esce allo
scoperto su una bellissima prateria ingiallita dal gelo. Dal basso noto la
cresta soprastante del monte Porgeit, l’inganno ottico me la fa sembrare più
vicina di com’è nella realtà. Proseguo lungo il sentiero diventato un esile e
quasi impercettibile traccia che prosegue in piano da oriente a occidente,
sovrastando il dirupo che si aggetta sui prati inferiori. È bellissima la
sensazione che si avverte, come di camminare sul vuoto, dall’alto lo sguardo si
aggetta sul piccolo centro di Erto, che posso raggiungere solo lanciandomi in
volo. La traccia proseguendo raggiunge alcuni faggi, posti come custodi della
prateria. Poco prima di essi mi fermo, studio la mappa, intuisco che l’esile
traccia mi porterà sul filo di cresta, ma molto più avanti. Decido di tagliare
In diagonale, non essendoci tracce da seguire e ne ometti, proseguo a intuito,
bellissimo, nulla tra me e la cresta a parte la sconfinata prateria. Cercavo
questo” la libertà d’azione”, e l’ho trovata, un mare d’erba da risalire in
completa libertà, per toccare il confine tra il giallo della prateria e
l’azzurro del cielo. Vai Malfa! Vai Magritte, si sale, il vento ondeggia
l’erba, seguo delle diagonali immaginarie, la cresta è sempre più vicina e la
fatica si fa sentire. A volte ho l’impressione di percepire una traccia, è come
nel deserto, sono solo miraggi, raggiunto un punto mi rendo conto che ne ce n’è
un altro più avanti. Zolla dopo zolla, mi avvicino ai bastioni che stanno a
destra della meta. Ultimi metri, erba ed azzurro, ed eccomi in cresta, la
fatica d’incanto svanisce alleviata dallo splendido paesaggio che mi si
prospetta. La Val Zemola, Re Duranno e tutte le cime regine mi danno il
benvenuto. A sinistra della cresta una traccia leggermente marcata porta alla
cima che appare vicina. La percorro, noto che Magritte si è sfilato il
maglioncino, mi fermo sul dorso della cresta che si aggetta sulle due valli.
Gli rimetto il capo protettivo con cura, ne approfitto per recuperare le
energie. Do uno sguardo all’ora, è presto, la cima è a pochi metri e l’emozione
è dietro l’angolo, quindi nessuna fretta. Diamoci un contegno signori! La vetta
è sempre una signora, non ci si presenta scomposti, ma con decoro. Ripreso il
cammino gli ultimi metri sono sempre quelli che mi danno più emozioni, le
fatiche volgono al termine. Ultimi metri
ed eccomi in cima, mi aspettano un cumulo di sassi e dei rami. Zaino a terra,
mi guardo in giro, tira vento. Quindi prima che congeli mi copro, indosso un
pile sotto la giacca a vento, passamontagna e copri collo. Nutro Magritte e lo
copro con una sciarpa, brontola, ringhia, ma fa freddo, e quindi in questo caso
deve obbedire. Finalmente (ben coperto) mi concedo al paesaggio. A valle, Erto
è ancora innevata, mentre le cime circostanti ne sono quasi prive, solo sul
versante occidentale noto una certa persistenza. Ammiro il Re Duranno, le
lontane dolomiti d’oltre Piave, e le reginette tra cui Monte Borgà, la Palazza,
Monte Cita, le Centenere, e per ultima un sogno che prima o poi realizzerò,
Monte Fortezza. A occidente in controluce oltre al monte Cornetto, ammiro il
Certen, il monte Toc, dietro di loro il Col Nudo, e lontano a meridione il
monte Schiara. Queste divinità di roccia appena citate mi inebriano, qualcuno
direbbe che si diventa aquile sui monti. Io mi sento lupo, selvaggio, puzzante
dalla fatica, con dolori alle zampe per la strada percorsa, pesante per lo
zaino trasportato. Mi sento un lupo che raggiunge le cime, un lupo che vola con
la fantasia, essendo anello di unione tra cielo e terra. Non ululo, ma urlo,
urlo la mia gioia ai quattro venti, ringraziando la natura di avermi anche
stamane donato la salute, indispensabile per raggiungere qualsiasi meta. Mi
concedo un piccolo riposo, sdraiandomi sull’erba, poggiando il capo sullo
zaino, accanto al mio fedele amico. Baciato dal sole, non penso, e non è poco,
non desidero! Per brevi istanti non esisto, lasciando i pensieri arditi e
peccaminosi, banali e normali al tempo che fu o che sarà; ora sono un tutt’uno
con quell’entità astratta che i credenti chiamano Dio, e che io chiamo Natura.
Il cattivo pensiero rompe l’idilliaca atmosfera, esso si chiama realtà, e
addentrandosi nella mente mi riporta al presente. Oggi, per una seconda volta mi
sveglio da un sogno, stavolta per ritornare a valle: tra sognatori o
millantatori, tra puri e bastardi, tra lupi di ogni specie, che volente o
nolente sono sempre miei fratelli. Zaino in spalle e Magritte al seguito si
scende, mi volto indietro, un sorriso, e giù per la prateria. Vorrei correre,
ma cammino, vorrei volare ma ammiro, cosi raggiungo la base del pendio fino ai
faggi di sentinella. Mi concedo un breve istante di riflessione, mi sento come
quegli amanti che da poco si sono lasciati, avverto la sensazione di
gioia-dolore, che mi fa stare bene e male nel medesimo istante, ma devo
scendere, purtroppo. Ripercorrendo il sentiero dell’andata raggiungo l’auto.
L’acqua scorre dalla fontanella incidendo una lastra di ghiaccio a forma
palmata, tutto scorre, e anche questo sogno è volato via nel mondo dei ricordi,
il mio sguardo ora è attratto da un monte dalla forma a punta “Monte Cornetto,
non ci sono mai stato. Sarà un prossimo sogno?
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa
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