Powered By Blogger

domenica 22 gennaio 2017

Monte Pisimoni da Ovedasso


                                               Monte Pisimoni 1880 m.

 

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche- Gruppo Zuc della Bor.

 

Avvicinamento: Gemona-Moggio Udinese-Rotabile che porta a Ovedasso- Seguire i segni per l’Alta Via Moggio.

Dislivello: 1500 m.

Dislivello complessivo: 1527 m.

Distanza percorsa in Km: 12 km.

Quota minima partenza: 392 m.

Quota massima raggiunta: 1880 m.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Selvaggia

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI Sentiero 423; 424;450. Segni dell’’Alta Via di Moggio e ometti.

Tempo percorrenza totale: 7,5 ore.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco 018.

Periodo consigliato: giugno-ottobre

Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.

Data: 23 maggio 2009

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 


Relazione.

L’escursione sul Monte Pisimoni è stata in assoluto la mia prima nella zona di Moggio Udinese. In quel periodo frequentavo il corso di roccia presso la sede CAI di Spilimbergo, e durante il fine settimana mi concedevo un’attività che non fosse molto impegnativa. Studio sulla carta l’escursione, decidendo di percorrere un anello partendo da Ovedasso.

Giungo alle prime ore del mattino nei pressi di Moggio Udinese, la portentosa mole rocciosa del Pisimoni domina il paesaggio e il suo aspetto incute riverenza. Seguo le indicazioni per il centro di Moggio, varcando il ponte sul Fella. Mi addentro nella cittadina e seguo le indicazioni per Ovedasso che raggiungo per carregiabile, lascio l’auto presso un grande edificio (indicazioni per l’Alta Via di Moggio). Zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito, si parte. Il sentiero sin da subito è molto ripido, esso risale l’erto pendio fino ai ruderi dello stavolo Uerc, gli edifici rustici invasi dalla vegetazione selvaggia creano un ambiente singolare, proiettando l’immaginazione in un passato remoto.   Presso un crocifisso in ferro battuto riparte la traccia che ben marcata e segnata sfiora in alcuni tratti il baratro esposto a occidente, fino a raggiungere la base di un canalone sovrastata dagli speroni rocciosi che aggiro per esile cengia. Rasentando La base delle pareti rocciose, passo presso un antro, e proseguo a settentrione, solcando il pendio erboso fino a invertire la direzione a meridione e successivamente risalgo un ripido canalino fino al pendio sommitale chiamato “La Plagna”. Quest’ultima è un ampio prato, scosceso è ripido, lo risalgo tra balze erbose, seguendo i radi segni e alcuni paletti messi come segnavia. La vegetazione circostante risente dei fenomeni atmosferici, i tronchi dei faggi sono piegati in forme surreali. Tra le rocce ricompare il sentiero che risale il pendio, attraversando fantastiche forme di roccia, come un viaggio magico nel mondo onirico. Attraverso una piccola sella raggiungo l’ante-cima, e successivamente l’ampia e inerbita cupola sommitale della vetta. Niente croce, solo una cassetta in metallo porta libro di vetta. Il Pisimoni è la prima cima della meravigliosa Alta Via di Moggio se percorsa da oriente a occidente. Effettuo una breve sosta, la giornata non è splendida, scorgo delle nuvole all’orizzonte che non promettono nulla di buono, la vocina interiore mi consiglia di affrettare il rientro. Ingenuamente ho pensato che il più sia passato, ma non ho ancora fatto i conti con gli imprevisti. Ripreso lo zaino, e Magritte al seguito, procedo per l’alta Via, seguendo i segni. Poco dopo la cima, osservo delle rocce alla mia destra, i segni scompaiono sotto un manto ghiacciato di neve. Mi porto con Magritte a guinzaglio, un paio di metri sopra al sentiero, per avvicinarmi il più possibile al gruppo di rocce e mughi. L’intuito si rivela provvidenziale, appena metto il primo scarpone sul nevaio, scivolo, non ho il tempo di rendermi conto dell’accaduto che mi ritrovo addosso ai mughi che afferro prontamente (Magritte è stato trascinato da me). Tenendomi ben saldo ai mughi mi riprendo dallo spavento, bastava che fossi un metro più basso e volavo giù dalla rupe per centinaia di metri. Il nevaio è staccato dalla roccia, con prudenza ci passo in mezzo, tendendomi sempre ai mughi che adopero come corde. Dall’alto avvisto il sentiero, è molto basso, con peripezia trovo il modo di abbassarmi con passaggi su roccia di primo grado, fino a raggiungere i segni dell’alta Via. Osservando dal basso il nevaio mi rendo conto dello scampato pericolo. Il sentiero prosegue per cresta affilata in direzione della forcella di Vidus, con passaggi delicati. Osservo da lontano la mole del Zuc della Bor circondato da nuvoloni neri, confesso che tale visione mi incute timore. Tra rocce e cenge esposte raggiungo uno spuntone, mi calo con cautela, superato l’ostacolo per segni CAI incrocio il sentiero 450 che taglia il versante orientale del monte. Scendo rapidamente tramite balze erbose, perdendo rapidamente quota. Attraverso un paio di nevai residui, proseguo a meridione in direzione della frazione Roveredo, percorrendo il sentiero fino a raggiungere la forca Diame (pinnacolo di roccia). Il paesaggio che segue si presenta spettrale: alberi scheletriti, colli desolati e ruderi di stavoli abitati da fantasmi. Attraverso l’ambiente fantastico, mentre da lontano i primi tuoni annunciano la tempesta che sta per sopraggiungere. Con passo veloce e Magritte spaventato, affrontiamo l’ultimo tratto, sfruttando le ultime ore di luce. Attraversiamo in successione gli stavoli di Bereisi, Costalunga, Stracout e Rauni. I tuoni sempre più vicini, le prime gocce di pioggia accompagnano l’ultimo tratto dell’escursione. La pioggia aumenta la sua intensità, io ed il fido siamo inzuppati d’acqua, i fulmini illuminano il cielo mentre guado il Rio Brezzi, sperando di non beccare una scarica che sarebbe fatale. Raggiunta la strada asfaltata, rapidamente mi avvio sotto la copiosa pioggia a Ovedasso.  Raggiunta l’auto mentre mi asciugo constato che il cellulare essendo impregnato d’acqua è fuori uso. L’indomani mattina mi ritrovo con i compagni del corso e gli istruttori nella palestra di roccia presso il monte Glemina. Raggiunta la piccola cima in cordata, rientro con il gruppo in palestra, affrontando la parte finale del corso” La falesa”. Raggiungo il vertice della piccola e facile via sulla parete, assistito dall’istruttore mi tiene da giù la corda. Ripenso all’avventura del giorno precedente, rendendomi conto di averla vista brutta. Pensando agli attimi di pericolo sul Pisimoni, me ne sto appeso alla corda in sicurezza. Osservo nella cavità della parete, accanto al chiodo, un piccolo fiorellino, una sensazione di beatitudine mi avvolge. Dal basso l’istruttore mi incita a calarmi, lo ignoro. Devo rispondergli? Calarmi? Penso al giorno prima e osservo il piccolo fiore e con calma, serafico, esclamo:<<Perché dovrei scendere, qui sto bene! Tanto bene.>>

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 













































































Nessun commento:

Posta un commento