Monte
Pisimoni 1880 m.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche- Gruppo Zuc della Bor.
Avvicinamento:
Gemona-Moggio Udinese-Rotabile che porta a Ovedasso- Seguire i segni per l’Alta
Via Moggio.
Dislivello: 1500
m.
Dislivello
complessivo: 1527 m.
Distanza
percorsa in Km: 12 km.
Quota minima
partenza: 392 m.
Quota
massima raggiunta: 1880 m.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia
Difficoltà:
Escursionisti Esperti.
Segnavia: CAI
Sentiero 423; 424;450. Segni dell’’Alta Via di Moggio e ometti.
Tempo
percorrenza totale: 7,5 ore.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco 018.
Periodo
consigliato: giugno-ottobre
Condizioni
del sentiero: Ben marcato e segnato.
Data: 23
maggio 2009
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione.
L’escursione
sul Monte Pisimoni è stata in assoluto la mia prima nella zona di Moggio
Udinese. In quel periodo frequentavo il corso di roccia presso la sede CAI di
Spilimbergo, e durante il fine settimana mi concedevo un’attività che non fosse
molto impegnativa. Studio sulla carta l’escursione, decidendo di percorrere un
anello partendo da Ovedasso.
Giungo alle
prime ore del mattino nei pressi di Moggio Udinese, la portentosa mole rocciosa
del Pisimoni domina il paesaggio e il suo aspetto incute riverenza. Seguo le
indicazioni per il centro di Moggio, varcando il ponte sul Fella. Mi addentro
nella cittadina e seguo le indicazioni per Ovedasso che raggiungo per carregiabile,
lascio l’auto presso un grande edificio (indicazioni per l’Alta Via di Moggio).
Zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito, si parte. Il sentiero sin da
subito è molto ripido, esso risale l’erto pendio fino ai ruderi dello stavolo
Uerc, gli edifici rustici invasi dalla vegetazione selvaggia creano un ambiente
singolare, proiettando l’immaginazione in un passato remoto. Presso un crocifisso in ferro battuto riparte
la traccia che ben marcata e segnata sfiora in alcuni tratti il baratro esposto
a occidente, fino a raggiungere la base di un canalone sovrastata dagli speroni
rocciosi che aggiro per esile cengia. Rasentando La base delle pareti rocciose,
passo presso un antro, e proseguo a settentrione, solcando il pendio erboso
fino a invertire la direzione a meridione e successivamente risalgo un ripido
canalino fino al pendio sommitale chiamato “La Plagna”. Quest’ultima è un ampio
prato, scosceso è ripido, lo risalgo tra balze erbose, seguendo i radi segni e
alcuni paletti messi come segnavia. La vegetazione circostante risente dei
fenomeni atmosferici, i tronchi dei faggi sono piegati in forme surreali. Tra
le rocce ricompare il sentiero che risale il pendio, attraversando fantastiche forme
di roccia, come un viaggio magico nel mondo onirico. Attraverso una piccola
sella raggiungo l’ante-cima, e successivamente l’ampia e inerbita cupola sommitale
della vetta. Niente croce, solo una cassetta in metallo porta libro di vetta.
Il Pisimoni è la prima cima della meravigliosa Alta Via di Moggio se percorsa
da oriente a occidente. Effettuo una breve sosta, la giornata non è splendida,
scorgo delle nuvole all’orizzonte che non promettono nulla di buono, la vocina
interiore mi consiglia di affrettare il rientro. Ingenuamente ho pensato che il
più sia passato, ma non ho ancora fatto i conti con gli imprevisti. Ripreso lo
zaino, e Magritte al seguito, procedo per l’alta Via, seguendo i segni. Poco
dopo la cima, osservo delle rocce alla mia destra, i segni scompaiono sotto un
manto ghiacciato di neve. Mi porto con Magritte a guinzaglio, un paio di metri sopra
al sentiero, per avvicinarmi il più possibile al gruppo di rocce e mughi. L’intuito
si rivela provvidenziale, appena metto il primo scarpone sul nevaio, scivolo, non
ho il tempo di rendermi conto dell’accaduto che mi ritrovo addosso ai mughi che
afferro prontamente (Magritte è stato trascinato da me). Tenendomi ben saldo ai
mughi mi riprendo dallo spavento, bastava che fossi un metro più basso e volavo
giù dalla rupe per centinaia di metri. Il nevaio è staccato dalla roccia, con prudenza
ci passo in mezzo, tendendomi sempre ai mughi che adopero come corde. Dall’alto
avvisto il sentiero, è molto basso, con peripezia trovo il modo di abbassarmi
con passaggi su roccia di primo grado, fino a raggiungere i segni dell’alta
Via. Osservando dal basso il nevaio mi rendo conto dello scampato pericolo. Il sentiero
prosegue per cresta affilata in direzione della forcella di Vidus, con passaggi
delicati. Osservo da lontano la mole del Zuc della Bor circondato da nuvoloni
neri, confesso che tale visione mi incute timore. Tra rocce e cenge esposte
raggiungo uno spuntone, mi calo con cautela, superato l’ostacolo per segni CAI incrocio
il sentiero 450 che taglia il versante orientale del monte. Scendo rapidamente
tramite balze erbose, perdendo rapidamente quota. Attraverso un paio di nevai
residui, proseguo a meridione in direzione della frazione Roveredo, percorrendo
il sentiero fino a raggiungere la forca Diame (pinnacolo di roccia). Il
paesaggio che segue si presenta spettrale: alberi scheletriti, colli desolati e
ruderi di stavoli abitati da fantasmi. Attraverso l’ambiente fantastico, mentre
da lontano i primi tuoni annunciano la tempesta che sta per sopraggiungere. Con
passo veloce e Magritte spaventato, affrontiamo l’ultimo tratto, sfruttando le
ultime ore di luce. Attraversiamo in successione gli stavoli di Bereisi,
Costalunga, Stracout e Rauni. I tuoni sempre più vicini, le prime gocce di
pioggia accompagnano l’ultimo tratto dell’escursione. La pioggia aumenta la sua
intensità, io ed il fido siamo inzuppati d’acqua, i fulmini illuminano il cielo
mentre guado il Rio Brezzi, sperando di non beccare una scarica che sarebbe
fatale. Raggiunta la strada asfaltata, rapidamente mi avvio sotto la copiosa
pioggia a Ovedasso. Raggiunta l’auto
mentre mi asciugo constato che il cellulare essendo impregnato d’acqua è fuori
uso. L’indomani mattina mi ritrovo con i compagni del corso e gli istruttori nella
palestra di roccia presso il monte Glemina. Raggiunta la piccola cima in
cordata, rientro con il gruppo in palestra, affrontando la parte finale del corso”
La falesa”. Raggiungo il vertice della piccola e facile via sulla parete, assistito
dall’istruttore mi tiene da giù la corda. Ripenso all’avventura del giorno precedente,
rendendomi conto di averla vista brutta. Pensando agli attimi di pericolo sul
Pisimoni, me ne sto appeso alla corda in sicurezza. Osservo nella cavità della parete,
accanto al chiodo, un piccolo fiorellino, una sensazione di beatitudine mi
avvolge. Dal basso l’istruttore mi incita a calarmi, lo ignoro. Devo rispondergli?
Calarmi? Penso al giorno prima e osservo il piccolo fiore e con calma,
serafico, esclamo:<<Perché dovrei scendere, qui sto bene! Tanto bene.>>
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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