Monte Amarianutte (1083 m)
da Pissebus
Note tecniche.
Localizzazione:
Prealpi carniche.
Avvicinamento: Gemona
-Amaro- imboccare a destra la strada per Pissebus. Superata la galleria di
Sasso Tagliato e l’incrocio con la vecchia ferrovia sostare l’auto sulla strada
dopo un nucleo di case. A destra uno sterrato, l’inizio del sentiero segnato
con paracarri con bollo rosso, in prossimità di un ponte.
Dislivello:
700 m.
Dislivello
complessivo: 762 m.
Distanza
percorsa in Km: 5 km.
Quota minima
partenza: 302 m.
Quota
massima raggiunta: 1083
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionistica.
Segnavia:
Bolli rossi e ometti.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata: Tabacco 013.
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Ben Marcato e segnato.
Data: sabato
11 febbraio 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Inizio a
scrivere la relazione mentre osservo dalla finestra i monti illuminati dal sole,
oggi è una bella giornata e ripensando all’escursione del giorno precedente sono
convinto di aver fatto la scelta giusta. Ieri avevo voglia di silenzio, di
nebbia, di pioggia e il mio spirito desidera vagare nascosto ai raggi del sole.
Ho
programmato da tempo un’escursione su un monte che domina la parte più alta
della val Aupa. La sveglia è programmata insolitamente presto per un’escursione
invernale. Decido di lasciare il fido (Magritte) a casa, scendendo le scale
sento il suo pianto, mi irrigidisco nell’animo cercando di rimanere
impassibile, non mi va di affaticarlo oltre le sue possibilità. Viaggio nella
notte come un lupo a caccia di prede, con calma arrivo nel moggese percorrendo
la Val Aupa fino in fondo. Scorgo le pendici del monte che ho in programma,
sono innevate e impraticabili. Decido di rinviare l’impresa e di passare a un
piano B, che presto diventa un piano C. Ripercorro
a ritroso la strada imboccando la diramazione per Tolmezzo (da sempre luogo di
caccia per un lupo che non vuol faticare, tante prede di non difficile
approccio) e in mente mi viene l’Amarianutte, sorrido! Questa bella Cimetta me
l’ero riservata per la vecchiaia, per i giorni in cui dovessi deambulare con
più difficoltà. Oggi ho voglia di raggiungere il pulpito di un monte, quindi
sacrifico l’Amarianutte al falò della mia vanità. Se non ricordo male dopo il
borgo di Amaro c’è una indicazione, ricorro alla tecnologia adoperando lo
smart-phone in possesso per acquisire informazioni sulla cima. Digito
Amarianutte e mille informazioni mi giungono. Ecco, ci sono! Mi trovo proprio
davanti l’inizio del sentiero, spengo tutto quello che mi collega alla civiltà
mediatica e tecnologica (auto e cellulare) e mi appronto alla fuga. Non ho letto
le varie relazioni. Ricordo che tempo fa un volontario ci ha lavorato per
collegare il sentiero dalla cresta dell’Amarianutte all’Amariana. L’emozione
del tutto nuovo e del sconosciuto mi prende, adoro queste sensazioni. Inizio il
sentiero percorrendo una carrareccia di evidente matrice militare, il primo
tratto dell’escursione è il percorrere la strada di ingresso al poligono militare
sito alle falde del massiccio dell’Amariana. L’ampio sterrato risale il pendio
erboso attraversando il bosco di pino nero fino a superare il reticolato (una breccia
nella rete) che porta dentro l’ex poligono. Tra i resti di manufatti in cemento
armato noto una serie di ometti di pietra ben allineati, come in parata. Sono antichi
cavalieri trasformati in pietra dal sortilegio di una strega? Eviterò se incontro la megera di farmi
stregare dalle sue magie. La carrareccia fin ora segnata da bolli rossi e
ometti si biforca, un cartello appeso ad un faggio con le indicazioni per il “il
troi di martin” mi invita a svoltare a destra abbandonando il comodo percorso.
Inizio a salire l’erto pendio tra i pini neri che come soldati di vedetta mi
incitano ad affrontare la nebbia e non aver paura. << Cari amici non ho
paura, anzi la cerco la paura, l’adrenalina, sono a caccia di prede, assetato
di libertà.>>
La nebbia è bassa e avvolge tutto, svelando
poco e io mi crogiolo e in essa, dissolvendo i miei pensieri. Un’interminabile sentiero
come un serpente zizzagando risale lo scosceso pendio, affiancando la verticale
parete. Sento caldo, mi fermo, tolgo il pile lasciandomi la giacca a vento. Sento
dei rumori provenire alle mie spalle, dei passi, mi giro mentre sopraggiunge un
escursionista. La sua dotazione individuale è minimalista, solo due bastoncini
da trekking. Ci salutiamo, proseguo sono al ridosso del piccolo bel vedere che raggiungo
presto. Un cartello (quota 768 m.) mi indica che il bel vedere è a destra.
Rinvio al ritorno la visita al punto panoramico, e proseguo a sinistra per la
cima. Il paesaggio cambia, sempre avvolto nelle nebbie assume un aspetto invernale
con il suo bianco candore, dove gli unici colori sono le imbrunite foglie
secche delle piccole querce. Percorro un breve tratto quasi in piano per la
cima dell’Amarianutte. Gli scarponi passano sulla morbida neve, seguendo le
impronte dell’omino che mi precede. Immerso nel bianco trovo tutto soave,
riprendo a salire per tornanti stando attento a non scivolare. Alcuni passaggi
a causa del suolo inumidito sono scivolosi, li supero senza patemi tra faggi e
pino nero. Raggiungo la cresta ammirando la disarmante bellezza del paesaggio:
il bianco della nebbia si fonde con quello della neve tingendo di scuro la vegetazione
in formidabili chine, solo i bolli rossi spiccano per colore, dando
all’ambiente un aspetto irreale. Il mio procedere è lento, cammino tra i
tronchi d’albero come un vecchio generale che passa in rassegna le truppe.
Questi alberi sono vissuti, molti di loro sono scheletriti e in essi leggo la nascita,
i giorni felici e il sopraggiungere della morte. Attraverso questo campo di battaglia rendendo
onore agli eroi caduti (alberi) e mi avvio lungo l’esile cresta finale. Nel
frattempo sento altri passi, un escursionista è sopraggiunto. È amico di quello
che mi ha superato prima, conversiamo per pochi minuti. Dalla sua domanda di
dove sei, comprendo che ha intuito che il mio accento non è della zona. Ci
presentiamo, osservo i suoi lineamenti: moro, molto robusto, occhi scuri,
carnico, rivedo in lui il nobile popolo, che gli antichi romani ricacciarono
all’interno delle Alpi. Lo lascio passare e allontanare per poi immortalarlo in
uno scatto fotografico. Una presenza solitaria che cavalca la cresta come un
viandante esplora i sogni. Che nobile figura quello del viandante, viaggia e fa
sognare. Pochi minuti dopo con cautela percorro gli ultimi metri che mi
separano dalla vetta. Scorgo sulla cima le sagome dei due guerrieri, li trovo
ben coperti per via dell’umidità, mangiano dei mandarini. Saluto, mi presento e
ammiro il vuoto, si il nulla, non si vede altro. Mi dicono che è un peccato che
ci sia nebbia, perché da questo pulpito si ammira la cresta che porta su all’Amariania
attraverso il sentiero alpinistico” Della Marta”. Rimangono sorpresi della mia
risposta:<< Io cerco questo, solo un paio di sassi come cima e nessuna
croce o madonnina. Desidero il silenzio, il vuoto, trovare me stesso. Non
vedere un’entità fisica come l’Amariana non mi spiace, anzi, rende più nobile
questa piccola montagna che ho sempre, immeritatamente snobbato.>>
I due
conosciuti mi danno delle dritte sul sentiero alpinistico, sicuramente lo farò
entro l’anno solare. Rimango dopo la loro discesa per alcuni minuti in cima
(quota 1083 m.), apportando la firma sul libro di vetta. Non è stata
impegnativa la salita, riprendo il cammino per la stessa strada del ritorno
riattraversando il tratto che mi ricorda sempre di più Waterloo. Scendendo per l’erto
pendio raggiungo il pulpito panoramico posto a quota 768 m. Mi fermo presso la
piccola panca, sgancio lo zaino e lo adagio sull’erba, estraggo da esso la
borsa viveri per rifocillarmi. Mentre consumo un frutto mi avvicino sull’orlo
del precipizio per poter ammirare meglio il paesaggio. Osservo dall’alto Tolmezzo, mentre le sirene provenienti
dalle fabbriche squarciano il silenzio. Tolmezzo è una piccola Milano,
intensamente industrializzata, le sue ciminiere colorano di bianco il
paesaggio. Oggi la piccola capitale della Carnia è avvolta dalle varie tonalità
di bianco, dall’alto si percepisce la laboriosità dell’’antico popolo. Ripreso
il cammino raggiungo i prati solcati dagli sterrati costruiti dai militi. Gli
ometti incontrati in precedenza al mio passaggio si animano, assumendo forme
umane. Mi salutano, stringo loro le mani, ricevo pacche sulle spalle. Tra essi
riconosco molti personaggi: i vecchi guerrieri carnici, i legionari romani, i
cacciatori, i montanari e per ultimi i soldati alpini che si esercitano alla
guerra. Tutti armati: archi, frecce, lance, asce e mitragliatrici. Ma ora sono
solo spiriti, fantasmi trasformati dalla strega in ometti, che guidano il
forestiero dalla pianura fino alla cima e viceversa. Passando attraverso la
pineta annuso l’aria inebriata dall’essenza degli alberi. Così raggiungo la statale, dando un ultimo sguardo
alla cima avvolta dalle nuvole che ho appena conosciuto. L’Amarianutte il piano
B anzi C, ammetto non è male, anzi!
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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