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martedì 14 febbraio 2017

Monte Amarianutte (1083 m) da Pissebus

 
                     Monte Amarianutte (1083 m) da Pissebus

                                                        

 Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi carniche.

Avvicinamento: Gemona -Amaro- imboccare a destra la strada per Pissebus. Superata la galleria di Sasso Tagliato e l’incrocio con la vecchia ferrovia sostare l’auto sulla strada dopo un nucleo di case. A destra uno sterrato, l’inizio del sentiero segnato con paracarri con bollo rosso, in prossimità di un ponte.

 

Dislivello: 700 m.

Dislivello complessivo: 762 m.

Distanza percorsa in Km: 5 km.

Quota minima partenza: 302 m.

Quota massima raggiunta: 1083

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: Escursionistica.

Segnavia: Bolli rossi e ometti.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata: Tabacco 013.

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Condizioni del sentiero: Ben Marcato e segnato.

Data: sabato 11 febbraio 2017.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

 

Inizio a scrivere la relazione mentre osservo dalla finestra i monti illuminati dal sole, oggi è una bella giornata e ripensando all’escursione del giorno precedente sono convinto di aver fatto la scelta giusta. Ieri avevo voglia di silenzio, di nebbia, di pioggia e il mio spirito desidera vagare nascosto ai raggi del sole.

Ho programmato da tempo un’escursione su un monte che domina la parte più alta della val Aupa. La sveglia è programmata insolitamente presto per un’escursione invernale. Decido di lasciare il fido (Magritte) a casa, scendendo le scale sento il suo pianto, mi irrigidisco nell’animo cercando di rimanere impassibile, non mi va di affaticarlo oltre le sue possibilità. Viaggio nella notte come un lupo a caccia di prede, con calma arrivo nel moggese percorrendo la Val Aupa fino in fondo. Scorgo le pendici del monte che ho in programma, sono innevate e impraticabili. Decido di rinviare l’impresa e di passare a un piano B, che presto diventa un piano C.  Ripercorro a ritroso la strada imboccando la diramazione per Tolmezzo (da sempre luogo di caccia per un lupo che non vuol faticare, tante prede di non difficile approccio) e in mente mi viene l’Amarianutte, sorrido! Questa bella Cimetta me l’ero riservata per la vecchiaia, per i giorni in cui dovessi deambulare con più difficoltà. Oggi ho voglia di raggiungere il pulpito di un monte, quindi sacrifico l’Amarianutte al falò della mia vanità. Se non ricordo male dopo il borgo di Amaro c’è una indicazione, ricorro alla tecnologia adoperando lo smart-phone in possesso per acquisire informazioni sulla cima. Digito Amarianutte e mille informazioni mi giungono. Ecco, ci sono! Mi trovo proprio davanti l’inizio del sentiero, spengo tutto quello che mi collega alla civiltà mediatica e tecnologica (auto e cellulare) e mi appronto alla fuga. Non ho letto le varie relazioni. Ricordo che tempo fa un volontario ci ha lavorato per collegare il sentiero dalla cresta dell’Amarianutte all’Amariana. L’emozione del tutto nuovo e del sconosciuto mi prende, adoro queste sensazioni. Inizio il sentiero percorrendo una carrareccia di evidente matrice militare, il primo tratto dell’escursione è il percorrere la strada di ingresso al poligono militare sito alle falde del massiccio dell’Amariana. L’ampio sterrato risale il pendio erboso attraversando il bosco di pino nero fino a superare il reticolato (una breccia nella rete) che porta dentro l’ex poligono. Tra i resti di manufatti in cemento armato noto una serie di ometti di pietra ben allineati, come in parata. Sono antichi cavalieri trasformati in pietra dal sortilegio di una strega?  Eviterò se incontro la megera di farmi stregare dalle sue magie. La carrareccia fin ora segnata da bolli rossi e ometti si biforca, un cartello appeso ad un faggio con le indicazioni per il “il troi di martin” mi invita a svoltare a destra abbandonando il comodo percorso. Inizio a salire l’erto pendio tra i pini neri che come soldati di vedetta mi incitano ad affrontare la nebbia e non aver paura. << Cari amici non ho paura, anzi la cerco la paura, l’adrenalina, sono a caccia di prede, assetato di libertà.>>

 La nebbia è bassa e avvolge tutto, svelando poco e io mi crogiolo e in essa, dissolvendo i miei pensieri. Un’interminabile sentiero come un serpente zizzagando risale lo scosceso pendio, affiancando la verticale parete. Sento caldo, mi fermo, tolgo il pile lasciandomi la giacca a vento. Sento dei rumori provenire alle mie spalle, dei passi, mi giro mentre sopraggiunge un escursionista. La sua dotazione individuale è minimalista, solo due bastoncini da trekking. Ci salutiamo, proseguo sono al ridosso del piccolo bel vedere che raggiungo presto. Un cartello (quota 768 m.) mi indica che il bel vedere è a destra. Rinvio al ritorno la visita al punto panoramico, e proseguo a sinistra per la cima. Il paesaggio cambia, sempre avvolto nelle nebbie assume un aspetto invernale con il suo bianco candore, dove gli unici colori sono le imbrunite foglie secche delle piccole querce. Percorro un breve tratto quasi in piano per la cima dell’Amarianutte. Gli scarponi passano sulla morbida neve, seguendo le impronte dell’omino che mi precede. Immerso nel bianco trovo tutto soave, riprendo a salire per tornanti stando attento a non scivolare. Alcuni passaggi a causa del suolo inumidito sono scivolosi, li supero senza patemi tra faggi e pino nero. Raggiungo la cresta ammirando la disarmante bellezza del paesaggio: il bianco della nebbia si fonde con quello della neve tingendo di scuro la vegetazione in formidabili chine, solo i bolli rossi spiccano per colore, dando all’ambiente un aspetto irreale. Il mio procedere è lento, cammino tra i tronchi d’albero come un vecchio generale che passa in rassegna le truppe. Questi alberi sono vissuti, molti di loro sono scheletriti e in essi leggo la nascita, i giorni felici e il sopraggiungere della morte.  Attraverso questo campo di battaglia rendendo onore agli eroi caduti (alberi) e mi avvio lungo l’esile cresta finale. Nel frattempo sento altri passi, un escursionista è sopraggiunto. È amico di quello che mi ha superato prima, conversiamo per pochi minuti. Dalla sua domanda di dove sei, comprendo che ha intuito che il mio accento non è della zona. Ci presentiamo, osservo i suoi lineamenti: moro, molto robusto, occhi scuri, carnico, rivedo in lui il nobile popolo, che gli antichi romani ricacciarono all’interno delle Alpi. Lo lascio passare e allontanare per poi immortalarlo in uno scatto fotografico. Una presenza solitaria che cavalca la cresta come un viandante esplora i sogni. Che nobile figura quello del viandante, viaggia e fa sognare. Pochi minuti dopo con cautela percorro gli ultimi metri che mi separano dalla vetta. Scorgo sulla cima le sagome dei due guerrieri, li trovo ben coperti per via dell’umidità, mangiano dei mandarini. Saluto, mi presento e ammiro il vuoto, si il nulla, non si vede altro. Mi dicono che è un peccato che ci sia nebbia, perché da questo pulpito si ammira la cresta che porta su all’Amariania attraverso il sentiero alpinistico” Della Marta”. Rimangono sorpresi della mia risposta:<< Io cerco questo, solo un paio di sassi come cima e nessuna croce o madonnina. Desidero il silenzio, il vuoto, trovare me stesso. Non vedere un’entità fisica come l’Amariana non mi spiace, anzi, rende più nobile questa piccola montagna che ho sempre, immeritatamente snobbato.>>

I due conosciuti mi danno delle dritte sul sentiero alpinistico, sicuramente lo farò entro l’anno solare. Rimango dopo la loro discesa per alcuni minuti in cima (quota 1083 m.), apportando la firma sul libro di vetta. Non è stata impegnativa la salita, riprendo il cammino per la stessa strada del ritorno riattraversando il tratto che mi ricorda sempre di più Waterloo. Scendendo per l’erto pendio raggiungo il pulpito panoramico posto a quota 768 m. Mi fermo presso la piccola panca, sgancio lo zaino e lo adagio sull’erba, estraggo da esso la borsa viveri per rifocillarmi. Mentre consumo un frutto mi avvicino sull’orlo del precipizio per poter ammirare meglio il paesaggio.  Osservo dall’alto Tolmezzo, mentre le sirene provenienti dalle fabbriche squarciano il silenzio. Tolmezzo è una piccola Milano, intensamente industrializzata, le sue ciminiere colorano di bianco il paesaggio. Oggi la piccola capitale della Carnia è avvolta dalle varie tonalità di bianco, dall’alto si percepisce la laboriosità dell’’antico popolo. Ripreso il cammino raggiungo i prati solcati dagli sterrati costruiti dai militi. Gli ometti incontrati in precedenza al mio passaggio si animano, assumendo forme umane. Mi salutano, stringo loro le mani, ricevo pacche sulle spalle. Tra essi riconosco molti personaggi: i vecchi guerrieri carnici, i legionari romani, i cacciatori, i montanari e per ultimi i soldati alpini che si esercitano alla guerra. Tutti armati: archi, frecce, lance, asce e mitragliatrici. Ma ora sono solo spiriti, fantasmi trasformati dalla strega in ometti, che guidano il forestiero dalla pianura fino alla cima e viceversa. Passando attraverso la pineta annuso l’aria inebriata dall’essenza degli alberi.  Così raggiungo la statale, dando un ultimo sguardo alla cima avvolta dalle nuvole che ho appena conosciuto. L’Amarianutte il piano B anzi C, ammetto non è male, anzi!

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 






















































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