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martedì 17 gennaio 2017

 
Monte Chiavals (Cjavals) dalla Val Alba.

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche-Gruppo Zuc della Bor

Avvicinamento: San Daniele-Gemona-Moggio Udinese- Rotabile per Val Aupa-Pradis-Borghi di Drentus-Virgulins-Imboccare forestale per Val Alba- Parcheggio presso spiazzo con Indicazioni CAI, Quota 1016.

Dislivello: 1000 m.

Dislivello complessivo: 1170 m.

Distanza percorsa in Km: 15 km

Quota minima partenza: 1053 m.

Quota massima raggiunta: 2098 m.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Storico -Escursionistica.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI: 425; 428; 450.

Tempo percorrenza totale: 5,5 ore escluse le soste.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tab 018.

Periodo consigliato: GIUGNO- ottobre

Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.

Data: 07 giugno 2013- 14 giugno 2013.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

La prima escursione all’interno della Val Alba avvenne nel giugno del 2013, volevo salire sul monte Chiavals (Cjavals) con il mio fedele compagno Magritte. Partiamo alla volta di Moggio Udinese, arrivati nella piccola cittadina friulana, troviamo il meteo poco invitante, malgrado tutto si procede. E’ la prima volta che mi addentro nella piccola valle del torrente Alba, me la gusterò metro per metro, albero per albero. Così dalla piccola frazione di Pradis tramite una serie di tornanti procedo per la strada forestale, raggiugendo il piccolo spiazzo (quota 1053 metri), utilizzato come parcheggio. Lascio l’auto nella sosta, zaino in spalle, Magritte e sogni al seguito si parte per la nuova avventura. Alla destra dello spiazzo parte il sentiero numerato 450, ben marcato che sfiora grossi macigni, addentrandosi in una faggeta, per poi scendere all’interno del greto del Rio Alba. Seguendo gli ometti lo guado, portandomi sulla sponda opposta e di seguito supero  anche il rio Pecol, risalendo il ripido pendio boschivo fino a portarmi sotto la parete rocciosa. Sono un po’ intimidito dall’ardita mulattiera di guerra scavata nella roccia, l’attraverso con cautela, è molto esposta, benché l’ampiezza del percorso non desta preoccupazioni. Superato l’ostacolo mi ritrovo alla base di una conca prativa che raggiungo con una serie di piccoli e brevi tornanti.  Mi fermo ad ammirare lo spettacolo: un’ampia e scoscesa radura mi accoglie, dominata dalle ripide pareti del Zuc della Bor (Cuc dal Bor) ancora innevate. Seguo il sentiero tra zolle erbose e macchie di mugo, raggiungendo il caratteristico bivacco Bianchi di color rosso, entro all’interno, firmando il libro dei visitatori. La struttura con otto posti letto, è fornita del necessario per bivaccare. Esco fuori, ammirando le cime circostanti.  Volgendo lo sguardo a oriente, osservo la mole dolomitica del Zuc della Bor, a destra poco distante Il monte Crostis, a sinistra i ripidi prati del Chiavals. Riprendo il Cammino in direzione di quest’ultimo, seguendo dapprima il sentiero 425 che ripercorre la vecchia mulattiera bellica fino alla triplice diramazione: a sinistra prosegue con la stessa numerazione percorrendo il fianco occidentale del monte, a destra porta alla forcella Chiavals. Per la mia meta procedo a nord per i ripidi prati del versante meridionale del monte, seguendo i segni dell’Alta Via CAI di Moggio. Il pendio si presenta faticoso fin da subito, la traccia si inerpica tra zolle d’erba e ghiaia e superando alcuni passaggi delicati raggiunge la bellissima cresta. Quest’ultima si presenta articolata ed esposta in alcuni tratti, con cautela l’aggiro a sinistra, con passaggi su roccia. Sono quasi arrivato, noto delle macchie di neve in alto e mi blocco. Strano! Avverto sensazione di paura, la voce della montagna mi invita a ritornare sui miei passi, così abbandono l’impresa. Rientrato a casa controllo la traccia GPS, proiettandola sulla mappa, e con stupore constato che mi sono fermato ad appena 30 metri dalla cima. Non ci dormirò tutta la settimana, l’autostima è al minimo. Non ho mai affrontato i tratti esposti e innevati, avevo chiesto ad un ex amico (Topo-Gigio) dei consigli su come affrontare i nevai, mi rispose che mi sarebbe stato utile un corso di alpinismo su ghiaccio. Ci rimasi male, mesi dopo lo stesso personaggio mi chiese un consiglio come disegnare un oggetto, gli risposi di iscriversi all’accademia di belle Arti. Naturalmente, non ho fatto nessun corso, pazientemente negli anni a seguire ho ravanato con piccozza e ramponi facendo esperienza. Come mi è solito fare, non dormo né sugli allori né sulle sconfitte. Indomito,  cosciente di dove ho sbagliato ritorno all’attacco la settimana dopo, sempre in compagnia del fido Magritte e ripartendo dallo stesso luogo, lo spiazzo posto alla quota 1053 m. Stavolta, raggiunto il Bianchi ho evitato la cresta (fatta quasi tutta nella sua interezza) seguendo il 425. Percorro il versante occidentale e incappo in un canalone coperto di neve durissima, do un’occhiata, studio come aggirarlo: da sopra è lunga da superare, da sotto è esposto, allora con santa pazienza con gli scarponi scavo degli incavi sul nevaio e passo dopo passo creo un varco profondo. Superato l’ostacolo raggiungo una forcella posta tra un bellissimo sperone roccioso e il fianco occidentale del monte, la mulattiera prosegue a nord, dove ammiro le cime di Gleris. Seguo le tracce che mi portano con una diagonale a risalire il ripido pendio di zolle d’erba e detriti, portandomi sotto le rocce sommitali. Sto attento a non scivolare, seguendo i radi bolli raggiungo la vetta del Chiavals (Cjavals). Nel frattempo sopraggiungono un paio di escursionisti solitari: uno di loro si porta alla punta estrema meridionale della cima, il secondo mi si avvicina, ci presentiamo, è Michele Bassa, presidente del CAI di moggio. Facciamo immediatamente amicizia, mi chiede se è la prima volta che salgo sul monte. Ha notato la pista scavata sul nevaio in basso, pensava di trovare una comitiva in cima. Un po’ arrossendo, gli confesso che sono stato io e non un reggimento di alpini a creare quel passaggio sul nevaio. Ridiamo, mi confessa che è stato più di cinquanta volte sul Chiavals. <<Orpo!>> Esclamo, ti dovrebbero dedicare almeno un cippo! Mi godo il paesaggio, spettacolare, dall’alto domina le cime più belle del Friuli. Istauriamo una lunga conversazione, Michele mi invita a procedere per il rientro con lui per la mulattiera di guerra che passa sotto le cime di Gleris, accetto di buon grado l’invito. Ripresa la discesa, delicata per via del ghiaino raggiungiamo la forcella e proseguiamo a nord. Per chi volesse andare sul Chiavals, consiglio questo anello da sogno. Con Michele, entrambi a passo lento d’alpino proseguiamo lungo la vecchia mulattiera di guerra. Egli, da buon padrone di casa mi illustra meglio di una guida le cime che incontriamo. Cammino, rapito, con gli occhi fissi sulle crete. Superando, (io, con peripezia per la mia scarsa esperienza) i canaloni di neve e soffermandomi sui vecchi manufatti bellici. Michele è prodigo di dati e nomi, mi parla di cima della Pecora, della Vacca, della creta dei Rusei. Mentalmente prendo appunti, è una enciclopedia. Mi parla di Ignazio Piussi, di Ernesto Lomasti, delle loro imprese alpinistiche. Ha l’entusiasmo di un bimbo che vuol condividere con gli amichetti i propri giocattoli. Il sentiero è ben tracciato, servirebbe solo un po’ di manutenzione, ma questo è dovuto alla friabilità del monte. Con il compagno di viaggio, dopo la forcella della Vacca raggiungiamo la casermetta posta subito dopo. Come due vecchi commilitoni ci fermiamo ad osservare il paesaggio, immagino che siamo di vedetta. Attraverso la fantasia viaggio indietro nel tempo di un secolo, quando il canto del vento era interrotto dal tuonare dei cannoni. Conversiamo, Magritte è la nostra mascotte e si gode il sole. Indossiamo una divisa grigio verde, l’elmetto, per quanto inutile a proteggere dal piombo del nemico, è ben calzato. Michele è del luogo, la sua morosa abita qui vicino, io vengo da terre lontane. Gli si illuminano gli occhi, quando mi descrive e decanta i monti. << Beppe, vedi quella crestina, è il Vualt, quel sentiero l’ho percorso con mio padre prima della guerra, e quella cima più bassa, è il Masereit! Con un amico della valle, una volta finita la guerra, abbiamo intenzione di salire su in cima e poi segnarlo.>> È innamorato dei suoi monti e condivide con me la sua felicità. Il sogno svanisce, e il Michele di oggi è intento ad osservare come il suo avo, fantasticando, la val Alba.  Mi invoglia a salire sulla cima della Vacca, gli rispondo che per oggi mi ritengo soddisfatto. Così percorriamo la bella mulattiera che scende giù a valle, passando per i ruderi del casermone che un tempo fu adibito ad ospedale militare. Ci fermiamo fuori dall’edificio, avvertiamo delle strane presenze. Ai margini del prato sotto un larice scorgo un panno bianco e qualcosa che si muove, fisso meglio l’albero alla sua base. Il panno bianco avvolge un corpo femminile, aggraziato, che amoreggia con un corpo maschile avvolto da un panno grigioverde. Stanno attenti a non farsi beccare dai rispettivi superiori. A chi fa la guerra non è negato di fare l’amore. La val Alba è magica, ti riporta continuamente nel passato, è reale, irreale e surreale nel medesimo tempo. Proseguiamo riprendendo il percorso verso le auto, seguendo la lunga strada forestale che ci porta passando sotto il rifugio Vualt, fino al parcheggio. Il sole caldo preludio di quello estivo illumina i nostri ultimi passi. Con Michele ci salutiamo, un forte abbraccio è un arrivederci.

Rientrando a casa, intuisco perché la settimana precedente non raggiunsi la cima. Era destino che dovessi incontrare sul Chiavals un vero amico.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 

 

 














































































































1 commento:

  1. Mi affascina tantissimo questo percorso,in un ambiente naturale così immacolato, solitario e selvaggio. Chissà, Giugno deve essere già un buon mese per provarci, sperando che nel frattempo i sentieri non si siano ulteriormente rovinati. Complimenti anche per le sue opere d'arte! Buone camminate! gofvg

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