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giovedì 30 marzo 2023

Col Vaita 367 m.; Col di Mezzo 357 m.; Col Cravest 406 m.

Colli morenici tra Usago e Sequals

Col Vaita 367 m.; Col di Mezzo 357 m.; Col Cravest 406 m. da Usago ( Travesio PN)

 

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Colline moreniche che Si estendono nella zona nord-orientale della provincia di Pordenone, ai piedi delle Prealpi Carniche, tra il fiume Meduna e il torrente Cosa.

 

Avvicinamento: Lestans-parcheggio  presso il cimitero di Travesio, ampio parcheggio.

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

.

Dislivello: 400 m.

 


Dislivello complessivo: 400 m.


Distanza percorsa in Km: 5,5


Quota minima partenza: 200 m.

 

Quota massima raggiunta: 406 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 3 ore

In:coppia

 

Tipologia Escursione: Selvaggia panoramica

 

Difficoltà: escursionisti esperti abili a operare in ambiente selvaggio e dotati di altissimo senso di orientamento.

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: Bolli rossi o blu di cacciatori

 

Fonti d’acqua: nessuna

 

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: alta

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: no

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

Cartografici: IGM Friuli –
2) Bibliografici:
3) Internet: 

 

 

 

 

 

Periodo consigliato:  tutto l’anno

 

Da evitare da farsi in:

 

Dedicata a: chi ama i sentieri selvatici

 

Condizioni del sentiero:

 

N° 456; 457; 458; - 201; 202; 203;



Cartografici: IGM Friuli – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet: 

Data dell’escursione: lunedì 27 febbraio 2023

 

Data di pubblicazione della relazione: giovedì 30 marzo 2023

 

 

Consigliati: abiti idonei a proteggere il corpo dalla fitta vegetazione  



Malfa

Dopo il consueto e girovagare per la campagna che circonda la nostra frazione, decidiamo di dedicare delle ore a un escursionismo selvatico, e la meta è vicino casa e sono i colli morenici che dominano la frazione di Usago.

Raggiunta in auto la piccola frazione di Usago, lasciamo l’auto presso il posteggio antistante il cimitero di Travesio. La temperatura  esterna è primaverile e il cielo è terso e di un azzurro che più cobalto non si può. Zaino in spalle e sogni al seguito, si parte. Non abbiamo sentieri conosciuti da seguire, iniziamo a camminare, mirando al bosco dirimpetto, dove scorgiamo una vecchia carrareccia, la percorriamo, intuendo dalle fronde che qualcosa ci porterà nel cuore dei colli.

La nostra figura si trasforma da uomini in lupi-cinghiali, lupo perché selvaggio e libero, e cinghiale perché osiamo sfidare la selva più astrusa. Non badiamo alle piante spinose che lacerano le carni. Lasciamo la carrareccia per seguire una traccia di cacciatori, e poi una seconda e una terza ancora, che ci fanno guadagnare quota, passiamo tra le liane che soffocano i giovani aceri, e ci districhiamo tra i cespugli di pungitopo che ammaliano con il loro occhio fiammante di rosso.

Dalla cresta non vediamo nulla all’orizzonte, solo tracce di animali da seguire con religioso rispetto, e solo di loro osiamo fidarci.

Come vetusti cacciatori vaghiamo in caccia di prede, ma la nostra si chiama paesaggio, cielo e libertà. Il Col Vaita (367 m.) è vicino, eccolo, raggiunta la prima elevazione di questa lunga cresta, da essa scorgiamo il paesaggio a oriente: dai colli di Castelnuovo alle Prealpi Giulie. Infiniti colli che sorgono dalla pianura e che vogliono divenire monti e di seguito i principi di roccia. Le alture sono intensamente tinte di un verde oscuro, e nascondo nelle loro ombre millenni di storia, sia di cavalieri che di contadini, e noi da quassù sogniamo, sfiorando con lo sguardo  tutto intorno, sotto la vigile protezione del falco errante.

Continuiamo per la cresta, ci abbassiamo e poi risaliamo, ci abbassiamo e risaliamo ancora, fin a raggiungere uno spuntone di roccia, che ha sicuramente i natali  nell’ultima era glaciale. Chissà da qual monte circostante si è staccato il monolite, esso si innalza tra le fronde e sembra cercare la sua matrigna origine all’orizzonte; osiamo salirgli sopra, è davvero strana l’emozione che ti dà il domare il vento. Dal Col di Mezzo (357 m.) perdiamo ancora quota, questi colli paiono montagne russe, sono davvero stupendi, poco alti ma assai impegnativi e per prestazioni  sono performanti, una vera palestra per l’orientamento topografico e un buon allenamento per il fisico.

Raggiunto in basso l’insellamento, lo percorriamo ammirando a sinistra la pianura che sfugge sino ai colli di Lestans. Osserviamo dall’alto la depressione che durante la preistoria fu un lago, e che oggi consideriamo un autentico luogo di culto; in un passato remoto vi abitarono le prime popolazione in terra di Friuli, e successivamente fu bonificato e coltivato dagli schiavi al servizio delle domus che i centurioni romani avevano eretto in loco, come luogo di fine vita dopo un lungo combattere ai confini dell’impero.

Natura, storia e cultura, questa è la montagna che amiamo, e noi, come i più diligenti degli scolari, prendiamo appunti, mai e poi mai paghi di imparare e di sapere. Stavolta miriamo alla quota più alta dell’intera cresta morenica. Raggiunta l’ennesima altura, dove dei bolli azzurri si perdono tra il verde, ne seguiamo altri di color rosso, non so cosa rappresentino, immagino dei segni di cacciatori. Dalla quota 390 m. lasciamo la cresta che continua a occidente, per seguire quella a nord. Una lieve traccia conduce prima su cresta spoglia di vegetazione alta (eccellente visione sulle Prealpi carniche) e inerbita, prima di perdersi nel folto bosco. Percorriamo il crinale che conduce al Colle Cravest, stranamente abbiamo trovato delle indicazioni su una tabella. È un seguire di su e giù, di passare tra le fronde, ruscelli e brevi passaggi facili sulla roccia coperta dalla fitta edera.

La massima quota (406 m.) è un cocuzzolo dove gli alberi (aceri, faggi e noccioli) si contendono il podio. Ci arrampichiamo sulla quota più alta,  tenendoci in bilico eleggiamo un faggio vincitore della contesa, e ad esso apponiamo come trofeo il simbolo del gruppo. Dalla vetta  a causa della fitta vegetazione non si scorge nulla, solo fronde che non hanno nessuna voglia di denudarsi al nostro cospetto, anche questa è la montagna, non è detto che la quota più alta sia la più panoramica. Lasciata la vetta seguiamo una traccia con dei bolli rossi, e anche codesta si perderà nel fitto verde. Con coraggio e sentimento ardito, decidiamo di scendere dalla cima sul versante orientale, seguendo le tracce di cinghiale. Numerose sono le scivolate sul fangoso terreno, ma non demordiamo, e stavolta come salvatori della patria adoperiamo i cespugli di pungitopo che rispetto al pericolo ci paiono comodi cuscini su cui adagiarsi. Dall’alto scorgiamo sempre più vicini i verdi prati primaverili dove giungeremo. Ultime tribolazioni tra i rovi ed eccoci fuori, su un piano inerbito e fiorito, un autentico inno alla gioia per la felice conclusione per l’avventurosa discesa. Fatta una breve pausa, riprendiamo il cammino, stavolta verso l’auto, circumnavigando il versante settentrionale dei colli con direzione  est. Ultimi metri da percorrere per gli antichi sentieri che hanno in memoria nei ciottoli che li ornano il lungo lavoro dell’uomo per rendere meno impervia la natura.

Malfa.

    
















































 

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