Colli
morenici tra Usago e Sequals
Col Vaita 367 m.; Col di Mezzo 357 m.; Col Cravest 406 m. da Usago ( Travesio PN)
Note
tecniche.
Localizzazione:
Colline moreniche che Si estendono nella zona nord-orientale della provincia di
Pordenone, ai piedi delle Prealpi Carniche, tra il fiume Meduna e il torrente
Cosa.
Avvicinamento: Lestans-parcheggio presso il cimitero di Travesio, ampio
parcheggio.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
.
Dislivello:
400 m.
Dislivello complessivo: 400 m.
Distanza percorsa in Km: 5,5
Quota minima partenza: 200 m.
Quota
massima raggiunta: 406 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:coppia
Tipologia
Escursione: Selvaggia panoramica
Difficoltà:
escursionisti esperti abili a operare in ambiente selvaggio e dotati di
altissimo senso di orientamento.
Ferrata- valutazione
difficoltà:
Segnavia:
Bolli rossi o blu di cacciatori
Fonti
d’acqua: nessuna
Impegno
fisico: alto
Preparazione
tecnica: alta
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: IGM Friuli
–
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo
consigliato: tutto l’anno
Da evitare da farsi
in:
Dedicata a: chi ama i
sentieri selvatici
Condizioni del
sentiero:
N° 456; 457; 458; -
201; 202; 203;
Cartografici: IGM
Friuli – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet:
Data dell’escursione:
lunedì 27 febbraio 2023
Data di pubblicazione
della relazione: giovedì 30 marzo 2023
Consigliati: abiti
idonei a proteggere il corpo dalla fitta vegetazione
Malfa
Dopo il consueto e
girovagare per la campagna che circonda la nostra frazione, decidiamo di
dedicare delle ore a un escursionismo selvatico, e la meta è vicino casa e sono
i colli morenici che dominano la frazione di Usago.
Raggiunta in auto la
piccola frazione di Usago, lasciamo l’auto presso il posteggio antistante il
cimitero di Travesio. La temperatura esterna è primaverile e il cielo è terso e di un
azzurro che più cobalto non si può. Zaino in spalle e sogni al seguito, si
parte. Non abbiamo sentieri conosciuti da seguire, iniziamo a camminare,
mirando al bosco dirimpetto, dove scorgiamo una vecchia carrareccia, la percorriamo,
intuendo dalle fronde che qualcosa ci porterà nel cuore dei colli.
La nostra figura si
trasforma da uomini in lupi-cinghiali, lupo perché selvaggio e libero, e
cinghiale perché osiamo sfidare la selva più astrusa. Non badiamo alle piante
spinose che lacerano le carni. Lasciamo la carrareccia per seguire una traccia
di cacciatori, e poi una seconda e una terza ancora, che ci fanno guadagnare
quota, passiamo tra le liane che soffocano i giovani aceri, e ci districhiamo
tra i cespugli di pungitopo che ammaliano con il loro occhio fiammante di
rosso.
Dalla cresta non vediamo
nulla all’orizzonte, solo tracce di animali da seguire con religioso rispetto,
e solo di loro osiamo fidarci.
Come vetusti cacciatori
vaghiamo in caccia di prede, ma la nostra si chiama paesaggio, cielo e libertà.
Il Col Vaita (367 m.) è vicino, eccolo, raggiunta la prima elevazione di questa
lunga cresta, da essa scorgiamo il paesaggio a oriente: dai colli di
Castelnuovo alle Prealpi Giulie. Infiniti colli che sorgono dalla pianura e che
vogliono divenire monti e di seguito i principi di roccia. Le alture sono
intensamente tinte di un verde oscuro, e nascondo nelle loro ombre millenni di
storia, sia di cavalieri che di contadini, e noi da quassù sogniamo, sfiorando
con lo sguardo tutto intorno, sotto la
vigile protezione del falco errante.
Continuiamo per la
cresta, ci abbassiamo e poi risaliamo, ci abbassiamo e risaliamo ancora, fin a
raggiungere uno spuntone di roccia, che ha sicuramente i natali nell’ultima era glaciale. Chissà da qual monte
circostante si è staccato il monolite, esso si innalza tra le fronde e sembra cercare
la sua matrigna origine all’orizzonte; osiamo salirgli sopra, è davvero strana
l’emozione che ti dà il domare il vento. Dal Col di Mezzo (357 m.) perdiamo ancora
quota, questi colli paiono montagne russe, sono davvero stupendi, poco alti ma assai
impegnativi e per prestazioni sono performanti,
una vera palestra per l’orientamento topografico e un buon allenamento per il fisico.
Raggiunto in basso
l’insellamento, lo percorriamo ammirando a sinistra la pianura che sfugge sino
ai colli di Lestans. Osserviamo dall’alto la depressione che durante la
preistoria fu un lago, e che oggi consideriamo un autentico luogo di culto; in
un passato remoto vi abitarono le prime popolazione in terra di Friuli, e
successivamente fu bonificato e coltivato dagli schiavi al servizio delle domus
che i centurioni romani avevano eretto in loco, come luogo di fine vita dopo un
lungo combattere ai confini dell’impero.
Natura, storia e
cultura, questa è la montagna che amiamo, e noi, come i più diligenti degli
scolari, prendiamo appunti, mai e poi mai paghi di imparare e di sapere.
Stavolta miriamo alla quota più alta dell’intera cresta morenica. Raggiunta
l’ennesima altura, dove dei bolli azzurri si perdono tra il verde, ne seguiamo
altri di color rosso, non so cosa rappresentino, immagino dei segni di
cacciatori. Dalla quota 390 m. lasciamo la cresta che continua a occidente, per
seguire quella a nord. Una lieve traccia conduce prima su cresta spoglia di
vegetazione alta (eccellente visione sulle Prealpi carniche) e inerbita, prima
di perdersi nel folto bosco. Percorriamo il crinale che conduce al Colle
Cravest, stranamente abbiamo trovato delle indicazioni su una tabella. È un
seguire di su e giù, di passare tra le fronde, ruscelli e brevi passaggi facili
sulla roccia coperta dalla fitta edera.
La massima quota (406
m.) è un cocuzzolo dove gli alberi (aceri, faggi e noccioli) si contendono il
podio. Ci arrampichiamo sulla quota più alta, tenendoci in bilico eleggiamo un faggio
vincitore della contesa, e ad esso apponiamo come trofeo il simbolo del gruppo.
Dalla vetta a causa della fitta
vegetazione non si scorge nulla, solo fronde che non hanno nessuna voglia di
denudarsi al nostro cospetto, anche questa è la montagna, non è detto che la
quota più alta sia la più panoramica. Lasciata la vetta seguiamo una traccia
con dei bolli rossi, e anche codesta si perderà nel fitto verde. Con coraggio e
sentimento ardito, decidiamo di scendere dalla cima sul versante orientale,
seguendo le tracce di cinghiale. Numerose sono le scivolate sul fangoso
terreno, ma non demordiamo, e stavolta come salvatori della patria adoperiamo i
cespugli di pungitopo che rispetto al pericolo ci paiono comodi cuscini su cui
adagiarsi. Dall’alto scorgiamo sempre più vicini i verdi prati primaverili dove
giungeremo. Ultime tribolazioni tra i rovi ed eccoci fuori, su un piano
inerbito e fiorito, un autentico inno alla gioia per la felice conclusione per
l’avventurosa discesa. Fatta una breve pausa, riprendiamo il cammino, stavolta
verso l’auto, circumnavigando il versante settentrionale dei colli con
direzione est. Ultimi metri da
percorrere per gli antichi sentieri che hanno in memoria nei ciottoli che li
ornano il lungo lavoro dell’uomo per rendere meno impervia la natura.
Malfa.
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