Cuel
di Livosa, Monte Stivane e Monte Sflincis da Ponte (Moggio Udinese).
Localizzazione:
Prealpi Giulie
Avvicinamento:
Lestans-Pinzano-Gemona-Pontebbana- Ponte presso Moggio Udinese quota 294 m. Lasciare l’auto presso uno degli spiazzi
adibite a soste per gli automezzi.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
Provincia
di: Udine
.
Dislivello:
800 m.
Dislivello
complessivo: 800 m
Distanza percorsa in Km: 17
Quota minima partenza: m. 294 m.
Quota
massima raggiunta: 792 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: naturale-storico-escursionistica
Difficoltà:
escursionistiche esperti per via di numerosi fuori traccia.
Tipologia sentiero o
cammino: Sentiero nel bosco- carrareccia asfaltata-
Ferrata-
Segnavia:
CAI 743
Fonti
d’acqua: lungo la carrareccia
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no,
solo tondini dell’IGM ( monte Somp Pave e monte Consavont.
Ometto di vetta: sì,
ma solo sulle due cime del monte Sflincis
Libro di vetta: solo
sul monte Sflincis
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Consigliati:
Periodo
consigliato: tutto l’anno
Da evitare da farsi
in:
Dedicata a: chi ama
scoprire nuove località
Condizioni del
sentiero: semplici tracce
N° 673-674-675.
Cartografici: IGM Friuli
– Tabacco 020
2) Bibliografici:
3) Internet:
Data dell’escursione: martedì
31 gennaio 2023
Data di pubblicazione
della relazione:
Non c’è uno senza due,
quindi, dopo cinque giorni, rieccomi all’imbocco della vallone scavato dal
Fella, per completare la serie di monti che da Tugliezzo conduce sino a
Resiutta. La cresta è percorribile anche in giornata se si va con due auto, ma
essendo in questa determinata avventura in solitaria, ho preferito dividere in
due tempi l’opera. Ancora con i ricordi vividi della precedente escursione
mi spingo più avanti come punto di partenza, esattamente nella località Ponte, e
non avrei mai immaginavo che vi fosse in
loco un punto di ascesa ai monti della sinistra orografica del Torrente Fella.
Dopo essermi beccato un posto di blocco ad opera dei simpatici carabinieri,
procedo lungo la strada Pontebbana, proprio pochi metri dopo, a destra
dell’autovia, trovo uno spiazzo dove l’asciare l’automezzo. Erroneamente mi
lascio ingannare da una galleria, chiusa al traffico, che percorro per intero
in direzione sud, per poi scoprire che non era quello l’esatto punto di
partenza, ma bensì, un cartello CAI numerato 703/A che introduce una labile
traccia che poco dopo conduce a una comoda carreggiabile. Il tempo perso
nell’errore di valutazione me lo abbuono come riscaldamento, e di seguito percorro
il sentiero che tramite una ripida rotabile mi porta in quota. Dopo pochi metri
di cammino salgo tanto con l’altimetro,
così tanto da osservare dall’alto la cittadina di Moggio Udinese ovattata dal
fumo della nota cartiera. Percorro una tediosa carreggiabile che dopo una serie
di tornanti mi conduce in un piano, al cospetto di una casera chiusa (Casera
Ravorade), dove le laboriose api che scorgo da una finestra sono ancora in letargo. Percorro il sentiero per una
decina di metri ancora, finché, nella selva oscura, scorgo una traccia
segnata che mi consiglia di seguirla.
Di buon grado colgo il consiglio, iniziando un’ascesa all’interno della pineta,
finché il sentiero non costeggia il versante orientale del Cuel di Livosa,
mostrandomi parte del tratto che percorrerò di seguito, ovvero, il versante settentrionale e dirupato del
Monte Pacol.
La traccia è ben
battuta, e in pochi minuti mi conduce quasi in vetta al Cuel De Linosa. In
prossimità della cima lascio
provvisoriamente la via, andando alla ricerca
della massima elevazione del colle ( q. 772 m.), che trovo dopo un
susseguirsi di dossi, essa è materializzata da un pino silvestre. Ripreso il cammino a ritroso, ho avuto
l’impressione che tra i dossi vi fossero le tracce di remoti trinceramenti,
tutta questa mia sensazione è dovuta alle non naturali forme di alcune fosse,
come se fossero stati dei ripari. Raggiunto il sentiero iniziale approdo nella
piana adiacente, ancora innevata, e mi dirigo ai ruderi degli Stavoli di
Verzag, percorrendo parte del sentiero 743, già battuto nella precedente escursione. Gli
stavoli serbano ancora un vissuto, persiste parte del mobilio e delle
stoviglie, la mia impressione è che l’abitato sia stato abbandonato in fretta e
furia nel noto terremoto del 1976. Fa impressione scorgere i materassi che vengono giù dal
piano superiore, e il pensiero, come in uno spaccato temporale mi riporta al fatidico maggio dell’evento sismico. Dopo la
breve visita, proseguo a oriente, percorrendo il sentiero 743, fino a
transitare lungo il tratto eroso, che da lontano pareva impraticabile. Solo la
parte finale è franata, e grazie all’ausilio del lavoro delle anime buone della
manutenzione sentieri, riesco a
continuare l’escursione; sul tratto franato
si è proceduto a creare una
traccia che scendendo di alcuni metri, e di seguito risalendo, supera il tratto
franato. Rientrato sul vecchio percorso continuo il cammino, lasciandomi sedurre
dalle affascinanti e innevate elevazioni che a nord proteggono la cittadina di
Moggio, tra cui spicca per l’aspetto imperioso il Monte Pisimoni. Continuando con
il passo lentissimo, mi inebrio di natura, e di seguito raggiungo un’abitazione che sulla
carta topografica è nominata Stavoli Stivane. L’edificio è privato, e sul retro
attrae la mia attenzione un piccolo camion, sicuramente in disuso, serbato sotto una tettoia. Trattasi dell’'OM Tigrotto, un autocarro
medio-leggero che fu prodotto dalla Officine Meccaniche (OM) dal 1957 al
1972. La sua visione mi riporta indietro nel tempo, alla mia infanzia, e
visto che abitavo in un quartiere periferico di Palermo, sovente ammiravo
codesti simpatici automezzi transitare nella
via adiacente la mia abitazione, e ogni qualvolta fantasticavo, immaginando di guidarne uno anch’io. Oggi,
che ho quasi 12 lustri di età, dimentico per un attimo la mia era geologica,
giocando con gli occhi a scrutare all’interno del mezzo, riscoprendo una
tecnologia superata e rivivendo per brevi istanti un’atmosfera e un’epoca ormai
rapita dall’oblio. Lasciato a malincuore il Tigrotto al suo divenire, proseguo
il mio cammino, risalendo a nord e in libera, proprio alle mie spalle, il monte
Stivane. Quando sono quasi in cresta scorgo il chiaro solco di una remota trincea
che percorre in tutta la sua lunghezza il crinale. Con un movimento da est a
ovest, raggiungo il vertice del monte ( q. 792 m.), anche questa vetta non fruisce
di segni artificiali che manifestano la massima quota, ma un altro pino
silvestre che adopero come fondale per la foto ricordo. Ripreso il cammino,
percorro la cresta a ritroso, sino a scendere di quota e incrociare la mulattiera
che percorrevo in precedenza (il sentiero 743) e con una repentina perdita di
quota raggiungo le pendici occidentali del Monte Sfincis, la carta mi illustra
di avere due cime, e la più alta non è la goniometrica. Lasciando il sentiero
ufficiale, miro al ripido pendio, e destreggiandomi tra la vegetazione selvatica
raggiungo la quota più alta ( q. 712 m.), stavolta materializzata da un corposo
ometto di sassi dalla forma circolare e dai resti di qualcosa in legno tinto di
rosso, sicuramente quelle che rimane di una croce in legno. Per non essere da meno dei precedenti
escursionisti, amplio l’opera aggiungendo altri sassi all’ometto, e di seguito
mi sposto sulla quota goniometrica del monte materializzata da un piedistallo in
ciottoli edificato come se fosse un
cippo commemorativo eretta in onore di un eroe, e fosse celebrativo lo fu. Non
trovo segni goniometrici sulla sommità del pilastro, effettuo le foto ricordo,
e riprendo il cammino. Le elevazioni che avevo in programma sono finite, quindi,
per completare l’anello, continuo l’escursione a oriente. Dalla vetta,
seguitando per il sentiero 743, scendo rapidamente di quota, raggiungendo la
bucolica e affascinante località fantasma di Cros, dove pare che il tempo si
sia fermato. Transito come un fantasma tra gli stavoli, carpendo con lo sguardo
più particolari, dall’architettura degli edifici agli oggetti di uso comune
appesi all’esterno, un indagare che rende ricco il mio sapere sulla vita
montana di un tempo. Superato il borgo e dopo aver lambito un’ancona, continuo
per il sentiero segnato che perde quota rapidamente, specie l’ultimo tratto che
si aggetta quasi a piombo sull’affluente del Fella proveniente dalla Val Resia.
Superato un moderno ponte sospeso sullo stesso torrente, mi ritrovo a lambire
le moderne abitazioni di Povici, scoprendo una frazione che dai piccoli segni
si rivela all’avanguardia e con un alto senso civile. Mentre cammino per
dirigermi a Resiutta, attiro l’attenzione un mercante arabo in transito con la
sua auto. Ci fermiamo a dialogare, instaurando una costruttiva conversazione,
dove vaghiamo dall’esistenzialismo al creato. Di seguito, finita la
chiacchierata, proseguiamo per la nostra
strada, e io continuo per Resiutta. Proprio alla periferia della frazione vengo
attratto da un monumento eretto un tempo dalla Repubblica Veneziana, in
un’epoca in cui il Friuli era una terra assoggettata. Sono passati secoli, ma
quel leone in marmo ruggisce ancora e brama potere, come se non volesse
liberare dalla sudditanza psicologica i locali, ed è spesso quello che
percepisco ancora quando converso con gli amici friulani. Riprendo il cammino
verso l’auto, l’ultimo tratto è parte della strada locale e il tratto della Statale
Pontebbana che mi conduce al punto di partenza. L’avventura si è conclusa, ho
completato il ciclo di elevazioni che avevo in mente in zona, scoprendo un aspetto
della montagna friulana molto affascinante e selvatico, arricchendo
ulteriormente il mio sapere su questa meravigliosa terra, di altre pietre preziose.
Malfa
Nessun commento:
Posta un commento