Monte Albignons da Sclopetins (Casiacco-Vito D’asio PN)
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi carniche Colli di Castelnovo del Friuli
Avvicinamento: Lestans-Pinzano- Casiacco: Lasciare l’automezzo
nel parcheggio del cimitero, posto presso il monumento ai caduti di Sclopetins.
Regione: Friuli-Venezia Giulia
Provincia di: PN
.
Dislivello: 220 m.
Dislivello complessivo: 220 m.
Distanza percorsa in Km: 3
Quota minima partenza: 160 m.
Quota massima raggiunta: 366 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 1, 5 ore
In: solitaria
Tipologia Escursione: selvaggio-escursionistica
Difficoltà: escursionistiche in ambiente selvaggio
Tipologia
sentiero o cammino: carrareccia e traccia remota di sentiero ormai dismesso
Ferrata-
Segnavia: CAI
Fonti d’acqua: si
Impegno fisico: basso
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: istallato
barattolino spiriti liberi
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: 20 novembre 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Speditissima escursione
per conoscere un colle segnato sulla mappa con il nome di monte Albignons. Alpe
di modesta quota, appena 366 metri al di sopra del livello del mare, sovrasta
il torrente Arzino presso il ponte che collega i due argini nella località di
Flagogna. Finora era l’unico colle della località di Castelnovo che non avevo
visitato. Così, questo sabato, dopo l’attività ludica del fare la spesa ho
adocchiato il cielo: bellissimo, limpido, e temperatura ideale. In mente mi è
venuto il punto topografico del monte Albignons, sono rientrato a casa, e dal
pc ho ulteriormente studiato la mappa. Attraverso un’acuta analisi ho valutato
dove lasciare l’auto e iniziare l’ascesa. In breve, indosso i panni da
escursionista, oltre allo zaino affardellato porto al seguito una borraccia d’acqua
e un panino preparato a volo. Dalla località di Lestans in pochi minuti mi
catapulto in direzione di Pinzano e di seguito seguo le indicazioni per Cornino,
all’altezza del ponte che porta a Flagogna vado dritto di alcune centinaia di
metri, sino al cimitero che precede il borgo di Sclopentins, munito di piccolo spiazzo
dove lascio l’auto. Zaino in spalle e sogni al seguito, parto, imboccando la
strada che porta a Casiacco. Presso il borgo Sclopetins, sul margine
occidentale della strada è posta una cappella votiva ristrutturata, poco dietro
si nota un divieto di transito e una carrareccia, è l’inizio del sentiero. Imbocco
la carrozzabile, adombrata dal medesimo monte che devo scalare. La seguo per
alcune centinaia di metri, in leggera salita, sino alla fine di un ‘ampio tornante,
dove a sinistra scorgo una traccia di sentiero che ricalca quella segnata sulla
mappa. Dopo alcuni metri sono a ridosso del crinale che da nord a sud ascende
al monte, seguo la traccia ben visibile, sicuramente un remoto sentiero di
montanari. Senza mai perdere la pista continuo per il ripido e mai faticoso
crinale, in alcuni tratti diventa affascinante per via dell’addentrarsi in una
crestina rivestita da voluminosi ciuffi d’erba; ma allo stesso tempo viene
fuori la gelida e tenebrosa oscurità del versante freddo e mai battuto dal sole.
La cresta si collega al corpo principale del monte superando su entrambi i
versanti (orientale e occidentale) canaloni impraticabili, finché, sempre per la
stessa pista marcata, malgrado qualche schianto, raggiunge il dorso della
cresta occidentale del monte. Tutta l’altura è avvolta dall’ombra della vegetazione
selvatica, non ci sono più tracce, e per la vetta mi dirigo a oriente,
districandomi tra acacie, castagni, liane e altre piante selvatiche. Miro
sempre alla quota più alta, deviando spesso direzione per superare ostacoli
naturali come impraticabili cespugli di rovo. Senza la vegetazione selvatica
sarebbe una bella dorsale con uno splendido panorama, ma lo sguardo non va
oltre i fitti arbusti. Alcuni alberi hanno vistose dimensioni, la quota più
alta del monte è nascosta tra i rovi, materializzata dalle stesse piante
cresciute in simbiosi tra diverse e svariate specie. Questa è la montagna senza
la trasformazione dovuta all’uomo: nessuna coltivazione agricola, alpeggio,
sentieristica, costruzione di opere difensive, edificazione di abitazioni. La
montagna al naturale e di bassa quota è un ambiente dove la stessa luce stenta
a filtrare. Un habitat silvestre popolato dalle stesse leggende che noi umani
abbiamo inventato per esorcizzare la paura di ciò che non è manifesto: lupi, cacciatori,
bambine rapite dagli orchi, streghe e principesse. Abbiamo descritto il bosco
popolato da personaggi immaginari, ma bastava solo guardare dentro noi stessi
per scoprire l’autentico e unico mostro, ovvero la nostra anima. Sulla vetta
lascio il segno del passaggio del viandante, non ci sono altri sentieri da
seguire, solo quello che ho fatto in precedenza e che mi riporta sulla
carrareccia. Raggiunta quest’ultima arteria procedo a ritroso, non ho altri
colli da visitare, in passato li ho esplorati. Raggiungo l’auto e decido di
consumare il panino a casa. Durante il breve viaggio del rientro penso al monte
appena scalato, rifletto sulle emozioni intense che può donare anche una
piccola elevazione. Basta vedere con gli occhi dell’anima per scoprire l’universo
che si cela anche dietro una foglia rinsecchita, una goccia d’acqua appesa a un
ramoscello, un riccio di castagno esposto ai raggi del sole; tutto questo possiede
la sconfinata bellezza dell’unico divenire, la vita.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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