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martedì 16 novembre 2021

Monte Cecon da Forno (Pradis di Sopra UD).

Monte Cecon da Forno (Pradis di Sopra UD).

 

Localizzazione: Prealpi carniche

 

Avvicinamento: Lestans- Travesio-Clauzetto-Seguire le indicazioni per Pielungo, poco sotto la frazione Forno lasciare l'auto p prima della omonima selletta (m 605, presso un comodo parcheggio accanto il monumento a Giacomo Missana).

 

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia

 

Provincia di: PN

.

Dislivello: 700 m.

 

Dislivello complessivo: 700 m.


Distanza percorsa in Km: 10


Quota minima partenza: 610 m.

 

Quota massima raggiunta: 1032 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: Escursionista in ambiente selvaggio e storico

 

Difficoltà: Escursionisti Esperti atti ad agire in ambiente privo di tracce e segni e con un eccellente senso di orientamento.

 

Tipologia sentiero o cammino: Carrareccia, crinale privo di tracce, radi segni, stradine forestali, sentiero storico.

 

 

Ferrata-

 

Segnavia: CAI

 

Fonti d’acqua: si, rare cascate e fontane

 

Impegno fisico: alto

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: Costruita croce minimalista sulla quota più alta (1032 m.) del monte Cecon

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: Istallato barattolino del viandante sulla quota più alta (1032 m.) del monte Cecon


Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato:  

3)           

4)          Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati: ramponi per erba per i ripidi pendii.

 

Data: giovedì 11 novembre 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa  

San Martino di Giosuè Carducci

La nebbia agl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale 
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.

 

La bella poesia del Carducci è la colonna sonora di questa fantastica avventura. Monte Cecon, questo sconosciuto e minor rilievo è stato l’oggetto dei miei desideri, e l’aver rinunciato di recente alla sua conquista ne ha aumentato la brama. Ho notato che il piccolo rilievo si scorge anche dalla pianura, solo chi ha un occhio fine ed esperto può notarlo, esso è protetto dalla mole del monte Taiet, del quale è la prosecuzione a oriente, e dal limitrofo monte Pala. Per quanto sia poco più alto di mille metri la sua cresta è articolata e molto affilata ed esposta; sia a nord che a sud. Oggi ricorre San Martino di Tours, il santo che tagliò il suo mantello in due per coprire un povero. Era un ex soldato dell’esercito imperiale romano, e da santo divenne il protettore dei pellegrini e dei viandanti. La leggenda narra che un giorno d’autunno, molto probabilmente proprio l’11 novembre, mentre usciva a cavallo da una delle porte della città di Amiens, in Francia, Martino si imbatté in un uomo molto povero, nudo e infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da padrone, San Martino si impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene metà. Di fronte a quel nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise di cadere, il cielo si aprì e spuntò il sole, facendo diventare la temperatura subito più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello.  La leggenda vuole che, ogni anno, ci sia un’interruzione dalla morsa del freddo per commemorare quanto aveva fatto quell'11 novembre. San Martino da militare divenne santo, per i miei recenti trascorsi questa figura spirituale la sento molto vicina, e sono sicuro che oggi conquisterò la cima. Ho dormito bene la notte, alla sveglia mi sento carico, non vedo l’ora di calzare gli scarponi e iniziare il cammino. Sono impaziente, colazione abbondante, mi lavo e poi giù in auto, più veloce della luce e alla volta di Clauzetto. Mentre raggiungo la località di Forno, durante il tragitto, ho modo di fermarmi e fotografare la meta. Raggiunto Forno, lascio l’auto presso il monumento dedicato all’alpino Giacomo Missana. Mi appronto velocemente, azzero i dati del GPS, stringo le cinghie dello zaino, e parto!  Imbocco sin da subito la strada di montagna che porta a Pielungo, al primo cartello segnaletico devio a sinistra procedendo per una carrareccia segnata sulla mappa che porta al nulla. La mia idea è quella che una volta finita la stradina che sto percorrendo devio a sinistra e risalgo il ripido canale che conduce alla vetta del monte Cecon. Non ci sono relazioni in giro, i miei propositi nascono da un’acuta osservazione delle curve di livello della mappa. Il dado è tratto, mi incammino per la carrareccia e la percorro felicemente come un viandante scanzonato. Devo ammettere che il tragitto è gradevole, la strada di campagna con una serie di tornanti guadagna quota, e spesso la visuale si apre sulle cime vicine tra cui riconosco il Fragjel e il versante dirupato del monte Piombada. Sono curioso di comprendere perché la carrareccia si interrompe sulla mappa e se potrò scalare il monte Cecon. Le risposte non tardano ad arrivare. Nel frattempo, mi godo il calpestio illuminato dal sole, che assume un aspetto dorato e luminoso. Giunto a fine corsa della carrozzabile, ispeziono l’oltre, e constato che i lavori sono stati interrotti, forse erano finiti i fondi, non so, ma stando a una logica topografica, se continuavano i lavori la strada si sarebbe congiunta al piano della casera Jovet. Sopra di me ho il ripido pendio, alla cima mancheranno all’incirca 220 metri di dislivello. Per diminuire la fatica decido di occultare lo zaino con tutto il suo peso, portando al seguito solo una piccola sacca con lo stretto indispensabile. Una volta pronto parto, risalendo il crinale, cercando di mantenermi sull’asse della cresta il più possibile. Non ci sono piste di animali, poco più sopra trovo dei segni sulle cortecce dei faggi, qualcuno è salito quassù e voleva creare un sentiero, ma non ci sono peste ma solo radi segni. Continuo il cammino lungo il ripido pendio, con la direzione da oriente a occidente, finché la pendenza si appiana leggermente in prossimità della vetta segnata sulla mappa con il triangolo trigonometrico (quota 1014 m.). Infatti, l’incedere è meno faticoso, anzi lo trovo gradevole, benché la cresta sia ingombra di vegetazione, riesco a leggere la bellezza delle forme del rilievo.

 Trovo altri segni che confermano che si voleva creare un sentiero. Finalmente ascendo a un cocuzzolo con la quota trigonometrica, non ci sono né segni e né ometti, solo una selvaggia e intralciante vegetazione. Non mi fermo, continuo l’ascesa, come la mappa mi consiglia e procedo sino alla massima quota, ossia quella numerata 1032 metri. Il cammino è sempre più lieve, dopo una breve perdita di quota inizio l’ascesa alla cresta che si ampia e biforca in più crinali, per poi restringersi sino al raggiungimento della quota 1032 metri. Due dossi sono vicini, misurando a occhio mi porto su quello più alto, non trovo nessun ometto. Sgancio lo zaino, sono soddisfatto e felice. Ora voglio erigere un simbolo, ideerò una croce con i rami che trovo sul terreno. Ad un tratto noto qualcosa, quelli che mi apparivano come sassi affioranti dal fogliame sono in realtà dei prismi in cemento e in perfetto stato, simili a quei cippi che segnano il confine. In tutto sono una decina, concentrati in un fazzoletto di terra, e coperti dal fogliame e dal terreno. Li ho dissotterrati e ho creato un ometto in stile moderno, dove al centro ho fissato l’asse più lungo della croce, e tra essi ho ricavato l’alloggiamento dove custodire il barattolino di vetta. Un lavoro un po' laborioso e soddisfacente. Anche questa è fatta!  Purtroppo, la visione è celata dalla vegetazione, dalle fronde filtra poca luce ma riesco a intuire il circondario.  Dopo una buona mezzoretta di permanenza decido di rientrare, prima ripasso dalla vetta trigonometrica, lascio un segno su un fusto posto all’incirca sulla quota più alta e inizio la discesa. Anche se discendo con molta prudenza, in breve sono al punto di partenza del crinale, dove in precedenza ho lasciato lo zaino. L’idea matta di continuare la discesa per il pendio mi stimola ancora di più, proseguendo se tutto va bene dovrei congiungermi in basso con la stradina forestale, e di seguito continuare per la stessa arteria sino al castello Cecon. Non so cosa mi aspetta, quindi per sicurezza decido di utilizzare i ramponi a sei punte. Una volta pronto, inizio la discesa, seguendo la cresta del crinale. Il primo tratto non è molto impegnativo, a volte penso di essere stato arguto, tutto scorre liscio come l’olio, addirittura trovo anche dei segni sulle cortecce degli arbusti, ma dopo aver disceso cento metri di quota la discesa diviene ardita. Continuo a scendere sul filo di cresta, molto esposta, aiutandomi con i ramponi e i rami della vegetazione. Supero alcuni salti, a volte ho l’impressione di incrodarmi, poi mi basta una traccia di camoscio a darmi luce, la seguo ed eccomi su un pendio meno ripido, rapito come da un miraggio nel deserto, la stradina tanto agognata posta poco sotto. Sono sceso all’incirca di 240 metri di dislivello, sbucando fuori presso un impluvio dove il margine dell’arteria è protetto da muri di contenimento. Fatta! Sono sulla carrareccia, mi avvicino al pilastrino posto sopra un canale di scolo, e mentre mi siedo per togliere i ramponi, passano quattro simpatici omini in mountain bike. Ci salutiamo garbatamente mentre loro sfrecciano. Una volta sistematomi inizio il cammino verso il castello Cecon. Davvero notevole la visione dall’alto, viaggio trecento metri sopra il Rio D’Agaviva, e a volte l’esposizione dall’arteria è notevole. Dopo una serie di tornanti tra le fronde sbuca la forma fiabesca del castello Cecon. È magica la sensazione che avverto, mi avvicino sempre di più, finché sono al suo cospetto. Da diversi decenni non venivo su, e ora mi appare stupefacente, come se fosse la prima volta. Continuo il mio viaggio, stavolta verso la storica frazione di Pielungo, nota soprattutto per gli avvenimenti che precedettero la nota battaglia di Pradis durante i giorni che seguono la disfatta di Caporetto. Il borgo pare abbandonato, mi reco nella piazza intitolata al conte Giacomo Cecon, noto mecenate del territorio, quasi tutto sembra stato creato da questo nobile e benefattore costruttore. Bella la sua storia, un esempio anche per le nuove generazioni. Anche il rimboschimento del monte Cecon è merito del conte, in pochi decenni fece piantare circa 1.900.000 piantine tra cui molte specie di conifere. Mi sollazzo al sole, seduto su una panchina e intento a consumare il rancio. Mi godo questa estate di San Martino, ammirando le bellezze del circondario. Una volta finito di desinare inizio il rientro a Forno per compiere felicemente l’anello. Dal centro del paese si diparte l’ampia mulattiera storica, che conduce alla frazione dove ho lasciato l’auto. La pendenza anche se lieve è costante e in ascesa, Viaggio in cresta adombrata dal fitto bosco con un passo lento. Percepisco il morbido calpestio delle foglie cadute e ne ammiro il colore rosso bruno. Tutto è poetico, merito della stagione autunnale. Anche le singole foglie esprimono poesia e bellezza. Continuo con il passo lento e leggermente stanco, finalmente raggiungo l’auto a Forno, Sono felice e soddisfatto. Mi sono regalato un giro stupendo, e come tutte le escursioni in solitaria ha un sapore speciale. Così ha termine l’esplorazione nel giorno dedicato al santo dei viandanti, e oggi ho avvertito la splendida presenza mistica del beato soldato.

Il forestiero Nomade.

Malfa.

 



















































































 

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