Monte Cecon da Forno (Pradis di Sopra UD).
Localizzazione: Prealpi carniche
Avvicinamento: Lestans- Travesio-Clauzetto-Seguire le
indicazioni per Pielungo, poco sotto la frazione Forno lasciare l'auto p prima
della omonima selletta (m 605, presso un comodo parcheggio accanto il monumento
a Giacomo Missana).
Regione: Friuli-Venezia Giulia
Provincia di: PN
.
Dislivello: 700 m.
Dislivello complessivo: 700 m.
Distanza percorsa in Km: 10
Quota minima partenza: 610 m.
Quota massima raggiunta: 1032 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In: solitaria
Tipologia Escursione: Escursionista in ambiente selvaggio e
storico
Difficoltà: Escursionisti Esperti atti ad agire in ambiente
privo di tracce e segni e con un eccellente senso di orientamento.
Tipologia
sentiero o cammino: Carrareccia, crinale privo di tracce, radi segni, stradine
forestali, sentiero storico.
Ferrata-
Segnavia: CAI
Fonti d’acqua: si, rare cascate e fontane
Impegno fisico: alto
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: Costruita
croce minimalista sulla quota più alta (1032 m.) del monte Cecon
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: Istallato
barattolino del viandante sulla quota più alta (1032 m.) del monte Cecon
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati: ramponi per erba per i ripidi pendii.
Data: giovedì 11
novembre 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
San Martino di
Giosuè Carducci
La nebbia agl’irti
colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del
borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
La bella poesia del Carducci è la
colonna sonora di questa fantastica avventura. Monte Cecon, questo sconosciuto
e minor rilievo è stato l’oggetto dei miei desideri, e l’aver rinunciato di
recente alla sua conquista ne ha aumentato la brama. Ho notato che il piccolo
rilievo si scorge anche dalla pianura, solo chi ha un occhio fine ed esperto può
notarlo, esso è protetto dalla mole del monte Taiet, del quale è la
prosecuzione a oriente, e dal limitrofo monte Pala. Per quanto sia poco più
alto di mille metri la sua cresta è articolata e molto affilata ed esposta; sia
a nord che a sud. Oggi ricorre San Martino di Tours, il santo che tagliò il suo
mantello in due per coprire un povero. Era un ex soldato dell’esercito
imperiale romano, e da santo divenne il protettore dei pellegrini e dei
viandanti. La leggenda narra che un giorno d’autunno, molto probabilmente
proprio l’11 novembre, mentre usciva a cavallo da una delle porte della città
di Amiens, in Francia, Martino si imbatté in un uomo molto povero, nudo e
infreddolito. In quel giorno, in cui era proprio il maltempo a farla da
padrone, San Martino si impietosì e decise di aiutare il povero. Senza pensarci
due volte tagliò il suo mantello di lana per donargliene
metà. Di fronte a quel nobile gesto, la pioggia dopo pochi istanti smise
di cadere, il cielo si aprì e spuntò il sole, facendo diventare la
temperatura subito più mite. Martino quella notte sognò Gesù che gli
rivelò di essere lui il mendicante al quale aveva donato il mantello. La leggenda
vuole che, ogni anno, ci sia un’interruzione dalla morsa del freddo per
commemorare quanto aveva fatto quell'11 novembre. San Martino da militare divenne santo,
per i miei recenti trascorsi questa figura spirituale la sento molto vicina,
e sono sicuro che oggi conquisterò la cima. Ho dormito bene la notte, alla
sveglia mi sento carico, non vedo l’ora di calzare gli scarponi e iniziare il
cammino. Sono impaziente, colazione abbondante, mi lavo e poi giù in auto, più
veloce della luce e alla volta di Clauzetto. Mentre raggiungo la località di
Forno, durante il tragitto, ho modo di fermarmi e fotografare la meta.
Raggiunto Forno, lascio l’auto presso il monumento dedicato all’alpino Giacomo Missana.
Mi appronto velocemente, azzero i dati del GPS, stringo le cinghie dello zaino,
e parto! Imbocco sin da subito la strada
di montagna che porta a Pielungo, al primo cartello segnaletico devio a sinistra
procedendo per una carrareccia segnata sulla mappa che porta al nulla. La mia
idea è quella che una volta finita la stradina che sto percorrendo devio a
sinistra e risalgo il ripido canale che conduce alla vetta del monte Cecon. Non
ci sono relazioni in giro, i miei propositi nascono da un’acuta osservazione
delle curve di livello della mappa. Il dado è tratto, mi incammino per la
carrareccia e la percorro felicemente come un viandante scanzonato. Devo
ammettere che il tragitto è gradevole, la strada di campagna con una serie di
tornanti guadagna quota, e spesso la visuale si apre sulle cime vicine tra cui
riconosco il Fragjel e il versante dirupato del monte Piombada. Sono curioso di
comprendere perché la carrareccia si interrompe sulla mappa e se potrò scalare
il monte Cecon. Le risposte non tardano ad arrivare. Nel frattempo, mi godo il
calpestio illuminato dal sole, che assume un aspetto dorato e luminoso. Giunto
a fine corsa della carrozzabile, ispeziono l’oltre, e constato che i lavori
sono stati interrotti, forse erano finiti i fondi, non so, ma stando a una
logica topografica, se continuavano i lavori la strada si sarebbe congiunta al
piano della casera Jovet. Sopra di me ho il ripido pendio, alla cima
mancheranno all’incirca 220 metri di dislivello. Per diminuire la fatica decido
di occultare lo zaino con tutto il suo peso, portando al seguito solo una
piccola sacca con lo stretto indispensabile. Una volta pronto parto, risalendo
il crinale, cercando di mantenermi sull’asse della cresta il più possibile. Non
ci sono piste di animali, poco più sopra trovo dei segni sulle cortecce dei
faggi, qualcuno è salito quassù e voleva creare un sentiero, ma non ci sono peste
ma solo radi segni. Continuo il cammino lungo il ripido pendio, con la
direzione da oriente a occidente, finché la pendenza si appiana leggermente in
prossimità della vetta segnata sulla mappa con il triangolo trigonometrico
(quota 1014 m.). Infatti, l’incedere è meno faticoso, anzi lo trovo gradevole,
benché la cresta sia ingombra di vegetazione, riesco a leggere la bellezza
delle forme del rilievo.
Trovo altri segni che confermano che si voleva
creare un sentiero. Finalmente ascendo a un cocuzzolo con la quota trigonometrica,
non ci sono né segni e né ometti, solo una selvaggia e intralciante vegetazione.
Non mi fermo, continuo l’ascesa, come la mappa mi consiglia e procedo sino alla
massima quota, ossia quella numerata 1032 metri. Il cammino è sempre più lieve,
dopo una breve perdita di quota inizio l’ascesa alla cresta che si ampia e
biforca in più crinali, per poi restringersi sino al raggiungimento della quota
1032 metri. Due dossi sono vicini, misurando a occhio mi porto su quello più
alto, non trovo nessun ometto. Sgancio lo zaino, sono soddisfatto e felice. Ora
voglio erigere un simbolo, ideerò una croce con i rami che trovo sul terreno.
Ad un tratto noto qualcosa, quelli che mi apparivano come sassi affioranti dal
fogliame sono in realtà dei prismi in cemento e in perfetto stato, simili a quei
cippi che segnano il confine. In tutto sono una decina, concentrati in un
fazzoletto di terra, e coperti dal fogliame e dal terreno. Li ho dissotterrati
e ho creato un ometto in stile moderno, dove al centro ho fissato l’asse più
lungo della croce, e tra essi ho ricavato l’alloggiamento dove custodire il
barattolino di vetta. Un lavoro un po' laborioso e soddisfacente. Anche questa
è fatta! Purtroppo, la visione è celata
dalla vegetazione, dalle fronde filtra poca luce ma riesco a intuire il
circondario. Dopo una buona mezzoretta
di permanenza decido di rientrare, prima ripasso dalla vetta trigonometrica,
lascio un segno su un fusto posto all’incirca sulla quota più alta e inizio la
discesa. Anche se discendo con molta prudenza, in breve sono al punto di
partenza del crinale, dove in precedenza ho lasciato lo zaino. L’idea matta di continuare
la discesa per il pendio mi stimola ancora di più, proseguendo se tutto va bene
dovrei congiungermi in basso con la stradina forestale, e di seguito continuare
per la stessa arteria sino al castello Cecon. Non so cosa mi aspetta, quindi per
sicurezza decido di utilizzare i ramponi a sei punte. Una volta pronto, inizio
la discesa, seguendo la cresta del crinale. Il primo tratto non è molto
impegnativo, a volte penso di essere stato arguto, tutto scorre liscio come
l’olio, addirittura trovo anche dei segni sulle cortecce degli arbusti, ma dopo
aver disceso cento metri di quota la discesa diviene ardita. Continuo a
scendere sul filo di cresta, molto esposta, aiutandomi con i ramponi e i rami
della vegetazione. Supero alcuni salti, a volte ho l’impressione di incrodarmi,
poi mi basta una traccia di camoscio a darmi luce, la seguo ed eccomi su un
pendio meno ripido, rapito come da un miraggio nel deserto, la stradina tanto
agognata posta poco sotto. Sono sceso all’incirca di 240 metri di dislivello, sbucando
fuori presso un impluvio dove il margine dell’arteria è protetto da muri di
contenimento. Fatta! Sono sulla carrareccia, mi avvicino al pilastrino posto sopra
un canale di scolo, e mentre mi siedo per togliere i ramponi, passano quattro
simpatici omini in mountain bike. Ci salutiamo garbatamente mentre loro
sfrecciano. Una volta sistematomi inizio il cammino verso il castello Cecon.
Davvero notevole la visione dall’alto, viaggio trecento metri sopra il Rio
D’Agaviva, e a volte l’esposizione dall’arteria è notevole. Dopo una serie di
tornanti tra le fronde sbuca la forma fiabesca del castello Cecon. È magica la
sensazione che avverto, mi avvicino sempre di più, finché sono al suo cospetto.
Da diversi decenni non venivo su, e ora mi appare stupefacente, come se fosse
la prima volta. Continuo il mio viaggio, stavolta verso la storica frazione di
Pielungo, nota soprattutto per gli avvenimenti che precedettero la nota battaglia
di Pradis durante i giorni che seguono la disfatta di Caporetto. Il borgo pare
abbandonato, mi reco nella piazza intitolata al conte Giacomo Cecon, noto
mecenate del territorio, quasi tutto sembra stato creato da questo nobile e
benefattore costruttore. Bella la sua storia, un esempio anche per le nuove
generazioni. Anche il rimboschimento del monte Cecon è merito del conte, in
pochi decenni fece piantare circa 1.900.000 piantine tra cui molte specie di
conifere. Mi sollazzo al sole, seduto su una panchina e intento a consumare il
rancio. Mi godo questa estate di San Martino, ammirando le bellezze del
circondario. Una volta finito di desinare inizio il rientro a Forno per compiere
felicemente l’anello. Dal centro del paese si diparte l’ampia mulattiera
storica, che conduce alla frazione dove ho lasciato l’auto. La pendenza anche
se lieve è costante e in ascesa, Viaggio in cresta adombrata dal fitto bosco
con un passo lento. Percepisco il morbido calpestio delle foglie cadute e ne
ammiro il colore rosso bruno. Tutto è poetico, merito della stagione autunnale.
Anche le singole foglie esprimono poesia e bellezza. Continuo con il passo
lento e leggermente stanco, finalmente raggiungo l’auto a Forno, Sono felice e
soddisfatto. Mi sono regalato un giro stupendo, e come tutte le escursioni in solitaria
ha un sapore speciale. Così ha termine l’esplorazione nel giorno dedicato al
santo dei viandanti, e oggi ho avvertito la splendida presenza mistica del beato
soldato.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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