Monte
Monfredda e Monte Nolia dalla Forca di Pani.
Localizzazione: Alpi Carniche- Alpi
Tolmezzine- Monti di Sauris -Massiccio del Col Gentile
Avvicinamento:
Lestans-Pinzano-Tolmezzo-Villa Santina- Ampezzo- Voltois- Forca di Pani- Discesa
sul versante orientale (alcuni tornanti) - Trovare posteggio poco sotto gli
Stavoli della Congregazione (quota 1050 m. circa).
Regione:
Friuli-Venezia Giulia.
Provincia
di: UD
.
Dislivello:
418 m.
Dislivello
complessivo: 418 m.
Distanza
percorsa in Km: 5, 589
Quota minima partenza: 1050 m.
Quota
massima raggiunta: 1327 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: Storico-panoramica
Difficoltà:
Escursionistiche
Tipologia sentiero o
cammino: strada campestre-sentiero non CAI- Impluvio- sentieri cacciatori
Ferrata- no
Segnavia:
CAI
Fonti
d’acqua: no
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: si (Monfredda)
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si,
presso madonnina-barattolino spiriti liberi presso la cima.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 013
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: primavera-autunno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: Il sentiero segnato bianco azzurro merita manutenzione per via dei
numerosi schianti poco sotto la vetta.
Consigliati:
Data: martedì 09
novembre 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Della serie “questa
montagna non la conosco e ne ignoravo la sua esistenza”, tiro fuori dal
cilindro l’ultima sconosciuta, monte Monfredda, elevazione sita presso Ampezzo.
Ultimamente sono molto attratto da questa fascia di territorio, molte delle
ultime uscite sono state effettuate nelle zone limitrofe. Il monte Monfredda mi
era assolutamente sconosciuto, studiandone il profilo topografico mi sono fatto
un’idea del percorso da effettuare. In passato ho asceso il monte Veltri con
partenza dalla Forca di Pani. Ecco, mi ricordo è un modo di dire, perché
durante il tragitto in compagnia di Luca, non rammento la strada di
avvicinamento alla località, l’ultima volta è stato nell’ottobre del 2015, e
pare che sia passato un secolo. Sicuramente non dimenticherò questa escursione
che mi avvio a raccontare per molteplici motivi. In primis: di mattino dovevo
sopraggiungere nella località di Villa Santina e prelevare Luca, ma a causa di
mille peripezie che mi sono accadute nella località in cui abito, ho accumulato
un ritardo di ben tre ore (naturalmente avevo avvertito Luca del contrattempo).
Giungo nella piccola cittadina carnica dove ho l’appuntamento verso le 10:30,
quindi imbarcato Luca gli comunico che sicuramente abbrevieremo il giro che
avevamo progettato (il giorno prima gli avevo spedito tramite WhatsApp la mappa
e gli eventuali itinerari).
Comunque si va, e in poco tempo perveniamo ad
Ampezzo, da dove iniziamo a risalire i numerosi e tortuosi tornanti e dopo il
transito dentro il caratteristico borgo di Voltois raggiungiamo la località di
Forca di Pani. La giornata è meravigliosa, è nella settimana novembrina nota
anche come l’estate di San Martino la favorevole tradizione meteo è confermata.
Dopo la Forcella scendiamo sul versante
orientale, lasciando l’auto un centinaio di metri più in basso, presso uno
spiazzo lungo la stradina che scorre sotto gli Stavoli della Congregazione.
Appena pronti, zaini in spalle, partiamo per l’avventura. Cerchiamo nei prati
dei sovrastanti stavoli una pista, la troviamo sopra l’ampio prato liberato
dalle conifere, forse la comunità sta creando nuovi pascoli.
Il profilo del monte
Monfredda, adombrato dalla fitta vegetazione, è davanti a noi, risaliamo sino
agli stavoli dove scorgiamo la pista da seguire. I tetti molto inclinati degli
edifici sono tipici della zona, e guardandoci intorno ne scorgiamo tanti, i
piani circostanti ne sono disseminati. La stradina di campagna ci guida a
meridione, presso un intaglio sul ripido crinale che dalla vetta del Monfredda
conduce a oriente sino al Col Marsul. Il cammino non è faticoso e in breve
siamo a ridosso della luminosa prateria che domina gli stavoli di Nolia.
l’ambiente bucolico stimola la gioia di vivere, il giallo dorato dei prati dona
luce interiore al viandante. Siamo estasiati da cotanta bellezza, ne avevamo
bisogno. Ignoriamo e soprassediamo la visita alla casera “Baita di Monte Nolia
(la faremo dopo), cercando la cima omonima. Aggiriamo un riparo, nel fitto
bosco di noccioli cerchiamo una traccia, nulla! Ci spostiamo più a sud, tra i
faggi scorgo dei segni bianco azzurri, e con essi troviamo la pesta che conduce
alla sommità del monte Nolia, materializzata da un possente e regale faggio. Ci
pare strano di aver raggiunto subito la vetta, andiamo anche oltre con la
pista, essa conduce al borgo di Feltrone. Ritornati indietro, sulla piccola
cima del Nolia, lasciamo il caratteristico segno del nostro passaggio. La
cimetta è avvolta dalla vegetazione selvatica, quindi la visuale panoramica
risulta nulla. Dopo una breve sosta ritorniamo sui nostri passi e ci dirigiamo
verso i prati dorati dove spicca la bella casera tralasciata in precedenza.
Stavolta ispezioniamo il riparo dall’interno, esso è sopranominato Baita di
Monte Nolia. La struttura è rimasta integra come se il tempo non fosse passato.
Visitando i locali possiamo intuire come vivessero i malgari in simbiosi con
gli animali domestici. Al piano terra la stalla è adiacente al locale cucina, e
nel piano di sopra, dove sia accede tramite una scaletta in legno, ispeziono il
locale notte e il fienile. Immagini che richiamano un tempo remoto che
riviviamo con una certa emozione. Lasciato lo stavolo iniziamo finalmente
l’ascesa del monte Monfredda. Dallo stesso ricovero dovrebbe partire un vecchio
sentiero ma non lo troviamo, quindi, andiamo sul sicuro ripercorrendo la
carrareccia a ritroso, fino a imboccare una traccia sul pendio (l’avevamo
notata in precedenza). Percorriamo la cresta in salita, e dopo pochi metri
troviamo il sentiero che proviene dagli stavoli appena visitati, esso, ben marcato,
è di remota fattura e ci guida per il ripido pendio, con dei passaggi davvero
affascinanti, soprattutto quando sfioriamo i ripidi strapiombi a meridione.
Davvero intenso questo tratto, una sorpresa molto gradita. Il sentiero con il
salire di quota aumenta la ripidezza, a un tratto intuiamo una traccia che vira
a settentrione, mentre l’ascesa continua a occidente. Dopo pochi metri si apre
a sud-ovest una terrazza esposta sulla pianura come un balcone. Una statua di
madonnina di bella fattura è protesa nel vuoto divenendo punto di attrazione
focale. Presso un faggio è stato allestito in stile naif una specie di
santuario. L’esposizione è notevole, una panca posta sotto il vetusto albero
invita il viandante a fare una pausa riflessiva, noi rinviamo la visita di
cortesia, mirando alla vetta che è posta poco sopra.
Seguendo la irta
traccia e con più pendenza raggiungiamo l’ampia cresta sommitale. Qualcosa di
luminoso, come di luce riflessa attira la nostra attenzione, ci dirigiamo a
nord-ovest, zizzagando in una vegetazione prodiga di arbusti abbattuti dagli
eventi naturali, finché, adocchiato l’ultimo cocuzzolo che precede la luminosa
croce in metallo, la espugniamo come se fossimo i marines a Okinawa. Fatta! La
cima del Monfredda è stata conquistata. Finalmente possiamo liberarci del peso
degli zaini, e cambiare gli abiti sudati prima di desinare. Il paesaggio domina
le montagne poste intorno ad Ampezzo, le più vicine solo le creste del monte
Colmaier e l’adiacente Tinisa. Fatte le dovute operazioni di vetta, ci
concediamo un lauto e meritato pasto. La giornata per il sottoscritto iniziata
male, ha cambiato verso, e come ci siamo ripetuti spesso durante l’escursione:
<<Oggi non si poteva rimanere a casa, sarebbe stato un delitto!>>.
Il cielo pare che voglia chiudersi, decidiamo di rientrare, ma prima di
rientrare al il terrazzo naturale dove è posta la statuetta in metallo della
madonnina veniamo distratti da qualcosa che ci terrorizza. Posta sul ciglio del
baratro una strana figura ci attira, a me pare un mostriciattolo, mi fa paura,
ma allo stesso tempo mi richiama. Chiedo
a Luca se la vede anche lui questa bizzarra figura, mi risponde di sì. L’amico
prova le mie stesse tensioni, ci avviciniamo con cautela, temiamo che possa
fare un balzo per poi aggredirci, ha qualcosa di sinistro, pare che ci scruti
con la testa voltata indietro nella nostra direzione, mentre il corpo è di
spalle. Mi avvicino, poi constato che è semplicemente la base un tronco avente
dal nostro punto di vista una forma bislacca. Quanta paura ci ha generato,
commentiamo che solo chi dedica spazio e tempo alla visione mistica può notare
e farsi sedurre da certi particolari.
Raggiunta la terrazza panoramica la visita sarà breve, anche se il luogo
è provvisto di tutti i confort per l’escursionista adepto al misticismo che
abbisogna di simboli: cassetta e libro di vetta, panchina, campanella, totem,
piccola cappella votiva, uccellini e vasi con fiori finti, e addirittura un
lumino elettrico con annesso un pannello fotovoltaico, nemmeno sul monte
Amariana si trova tutto questo materiale. Tutto questo denota che la comunità
locale è molto devota a questo pulpito panoramico.
Lasciato il luogo
sacro locale ci dirigiamo verso la traccia segnata che abbiamo precedentemente
notato in salita. Dalla mappa si legge che è un sentiero che conduce alla forca
di Pani, ma dopo pochi metri siamo bloccati, la nota tempesta Vaia ha decimato
i faggi di questo versante, e adesso giacciono immobili sul terreno come le
sconfitte truppe di Napoleone a Waterloo.
È inutile continuare per la traccia, e di ritornare indietro non ne
abbiamo voglia, quindi, assumiamo la modalità selvatica da lupi, scendiamo in
basso, intuendo e seguitando una via di uscita, ossia, un canalone posto pochi
metri in basso. Malgrado sia ripida la discesa ci muoviamo con passo sicuro,
Luca e io siamo abituati ad andare in solitaria e in ambienti avversi, quindi,
ci muoviamo con saggezza e in sicurezza. La perdita di quota costante indica
che abbiamo avuto un’ottima intuizione. A volte lottiamo con qualche ramo, ma
ci divertiamo, in essi immaginiamo le propaggini delle streghe, e noi, non
cedendo al loro maleficio, impavidi andiamo avanti. Alla fine, abbiamo ragione,
il canalone si restringe tramutandosi prima in canalino scalinato e successivamente
in traccia di camoscio che ci guida fuori dal bosco sino agli Stavoli della
Congregazione. Fatta anche questa, siamo super soddisfatti, abbiamo vissuto una
giornata da incorniciare. È stata una bella avventura, vissuta da autentici
spiriti liberi. Ci siamo divertiti come bimbi, condividendo oltre all’amicizia
anche l’universo montagna, ovvero il nostro dio.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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