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lunedì 15 novembre 2021

Monte Monfredda e Monte Nolia dalla Forca di Pani.

Monte Monfredda e Monte Nolia dalla Forca di Pani.

 

 

Localizzazione: Alpi Carniche- Alpi Tolmezzine- Monti di Sauris -Massiccio del Col Gentile

 

 

 

Avvicinamento: Lestans-Pinzano-Tolmezzo-Villa Santina- Ampezzo- Voltois- Forca di Pani- Discesa sul versante orientale (alcuni tornanti) - Trovare posteggio poco sotto gli Stavoli della Congregazione (quota 1050 m. circa).

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia.

 

Provincia di: UD

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Dislivello: 418 m.

 

Dislivello complessivo: 418 m.

 

Distanza percorsa in Km: 5, 589


Quota minima partenza: 1050 m.

 

Quota massima raggiunta: 1327 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 3 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione: Storico-panoramica

 

Difficoltà: Escursionistiche

 

Tipologia sentiero o cammino: strada campestre-sentiero non CAI- Impluvio- sentieri cacciatori

 

 

Ferrata- no

 

Segnavia: CAI

 

Fonti d’acqua: no

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: si (Monfredda)

Ometto di vetta: si

Libro di vetta: si, presso madonnina-barattolino spiriti liberi presso la cima.

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 013
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato: primavera-autunno

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Il sentiero segnato bianco azzurro merita manutenzione per via dei numerosi schianti poco sotto la vetta.


Consigliati:

 

Data: martedì 09 novembre 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 

Della serie “questa montagna non la conosco e ne ignoravo la sua esistenza”, tiro fuori dal cilindro l’ultima sconosciuta, monte Monfredda, elevazione sita presso Ampezzo. Ultimamente sono molto attratto da questa fascia di territorio, molte delle ultime uscite sono state effettuate nelle zone limitrofe. Il monte Monfredda mi era assolutamente sconosciuto, studiandone il profilo topografico mi sono fatto un’idea del percorso da effettuare. In passato ho asceso il monte Veltri con partenza dalla Forca di Pani. Ecco, mi ricordo è un modo di dire, perché durante il tragitto in compagnia di Luca, non rammento la strada di avvicinamento alla località, l’ultima volta è stato nell’ottobre del 2015, e pare che sia passato un secolo. Sicuramente non dimenticherò questa escursione che mi avvio a raccontare per molteplici motivi. In primis: di mattino dovevo sopraggiungere nella località di Villa Santina e prelevare Luca, ma a causa di mille peripezie che mi sono accadute nella località in cui abito, ho accumulato un ritardo di ben tre ore (naturalmente avevo avvertito Luca del contrattempo). Giungo nella piccola cittadina carnica dove ho l’appuntamento verso le 10:30, quindi imbarcato Luca gli comunico che sicuramente abbrevieremo il giro che avevamo progettato (il giorno prima gli avevo spedito tramite WhatsApp la mappa e gli eventuali itinerari).

 Comunque si va, e in poco tempo perveniamo ad Ampezzo, da dove iniziamo a risalire i numerosi e tortuosi tornanti e dopo il transito dentro il caratteristico borgo di Voltois raggiungiamo la località di Forca di Pani. La giornata è meravigliosa, è nella settimana novembrina nota anche come l’estate di San Martino la favorevole tradizione meteo è confermata.

 Dopo la Forcella scendiamo sul versante orientale, lasciando l’auto un centinaio di metri più in basso, presso uno spiazzo lungo la stradina che scorre sotto gli Stavoli della Congregazione. Appena pronti, zaini in spalle, partiamo per l’avventura. Cerchiamo nei prati dei sovrastanti stavoli una pista, la troviamo sopra l’ampio prato liberato dalle conifere, forse la comunità sta creando nuovi pascoli.

Il profilo del monte Monfredda, adombrato dalla fitta vegetazione, è davanti a noi, risaliamo sino agli stavoli dove scorgiamo la pista da seguire. I tetti molto inclinati degli edifici sono tipici della zona, e guardandoci intorno ne scorgiamo tanti, i piani circostanti ne sono disseminati. La stradina di campagna ci guida a meridione, presso un intaglio sul ripido crinale che dalla vetta del Monfredda conduce a oriente sino al Col Marsul. Il cammino non è faticoso e in breve siamo a ridosso della luminosa prateria che domina gli stavoli di Nolia. l’ambiente bucolico stimola la gioia di vivere, il giallo dorato dei prati dona luce interiore al viandante. Siamo estasiati da cotanta bellezza, ne avevamo bisogno. Ignoriamo e soprassediamo la visita alla casera “Baita di Monte Nolia (la faremo dopo), cercando la cima omonima. Aggiriamo un riparo, nel fitto bosco di noccioli cerchiamo una traccia, nulla! Ci spostiamo più a sud, tra i faggi scorgo dei segni bianco azzurri, e con essi troviamo la pesta che conduce alla sommità del monte Nolia, materializzata da un possente e regale faggio. Ci pare strano di aver raggiunto subito la vetta, andiamo anche oltre con la pista, essa conduce al borgo di Feltrone. Ritornati indietro, sulla piccola cima del Nolia, lasciamo il caratteristico segno del nostro passaggio. La cimetta è avvolta dalla vegetazione selvatica, quindi la visuale panoramica risulta nulla. Dopo una breve sosta ritorniamo sui nostri passi e ci dirigiamo verso i prati dorati dove spicca la bella casera tralasciata in precedenza. Stavolta ispezioniamo il riparo dall’interno, esso è sopranominato Baita di Monte Nolia. La struttura è rimasta integra come se il tempo non fosse passato. Visitando i locali possiamo intuire come vivessero i malgari in simbiosi con gli animali domestici. Al piano terra la stalla è adiacente al locale cucina, e nel piano di sopra, dove sia accede tramite una scaletta in legno, ispeziono il locale notte e il fienile. Immagini che richiamano un tempo remoto che riviviamo con una certa emozione. Lasciato lo stavolo iniziamo finalmente l’ascesa del monte Monfredda. Dallo stesso ricovero dovrebbe partire un vecchio sentiero ma non lo troviamo, quindi, andiamo sul sicuro ripercorrendo la carrareccia a ritroso, fino a imboccare una traccia sul pendio (l’avevamo notata in precedenza). Percorriamo la cresta in salita, e dopo pochi metri troviamo il sentiero che proviene dagli stavoli appena visitati, esso, ben marcato, è di remota fattura e ci guida per il ripido pendio, con dei passaggi davvero affascinanti, soprattutto quando sfioriamo i ripidi strapiombi a meridione. Davvero intenso questo tratto, una sorpresa molto gradita. Il sentiero con il salire di quota aumenta la ripidezza, a un tratto intuiamo una traccia che vira a settentrione, mentre l’ascesa continua a occidente. Dopo pochi metri si apre a sud-ovest una terrazza esposta sulla pianura come un balcone. Una statua di madonnina di bella fattura è protesa nel vuoto divenendo punto di attrazione focale. Presso un faggio è stato allestito in stile naif una specie di santuario. L’esposizione è notevole, una panca posta sotto il vetusto albero invita il viandante a fare una pausa riflessiva, noi rinviamo la visita di cortesia, mirando alla vetta che è posta poco sopra.

Seguendo la irta traccia e con più pendenza raggiungiamo l’ampia cresta sommitale. Qualcosa di luminoso, come di luce riflessa attira la nostra attenzione, ci dirigiamo a nord-ovest, zizzagando in una vegetazione prodiga di arbusti abbattuti dagli eventi naturali, finché, adocchiato l’ultimo cocuzzolo che precede la luminosa croce in metallo, la espugniamo come se fossimo i marines a Okinawa. Fatta! La cima del Monfredda è stata conquistata. Finalmente possiamo liberarci del peso degli zaini, e cambiare gli abiti sudati prima di desinare. Il paesaggio domina le montagne poste intorno ad Ampezzo, le più vicine solo le creste del monte Colmaier e l’adiacente Tinisa. Fatte le dovute operazioni di vetta, ci concediamo un lauto e meritato pasto. La giornata per il sottoscritto iniziata male, ha cambiato verso, e come ci siamo ripetuti spesso durante l’escursione: <<Oggi non si poteva rimanere a casa, sarebbe stato un delitto!>>. Il cielo pare che voglia chiudersi, decidiamo di rientrare, ma prima di rientrare al il terrazzo naturale dove è posta la statuetta in metallo della madonnina veniamo distratti da qualcosa che ci terrorizza. Posta sul ciglio del baratro una strana figura ci attira, a me pare un mostriciattolo, mi fa paura, ma allo stesso tempo mi richiama.  Chiedo a Luca se la vede anche lui questa bizzarra figura, mi risponde di sì. L’amico prova le mie stesse tensioni, ci avviciniamo con cautela, temiamo che possa fare un balzo per poi aggredirci, ha qualcosa di sinistro, pare che ci scruti con la testa voltata indietro nella nostra direzione, mentre il corpo è di spalle. Mi avvicino, poi constato che è semplicemente la base un tronco avente dal nostro punto di vista una forma bislacca. Quanta paura ci ha generato, commentiamo che solo chi dedica spazio e tempo alla visione mistica può notare e farsi sedurre da certi particolari.  Raggiunta la terrazza panoramica la visita sarà breve, anche se il luogo è provvisto di tutti i confort per l’escursionista adepto al misticismo che abbisogna di simboli: cassetta e libro di vetta, panchina, campanella, totem, piccola cappella votiva, uccellini e vasi con fiori finti, e addirittura un lumino elettrico con annesso un pannello fotovoltaico, nemmeno sul monte Amariana si trova tutto questo materiale. Tutto questo denota che la comunità locale è molto devota a questo pulpito panoramico.

Lasciato il luogo sacro locale ci dirigiamo verso la traccia segnata che abbiamo precedentemente notato in salita. Dalla mappa si legge che è un sentiero che conduce alla forca di Pani, ma dopo pochi metri siamo bloccati, la nota tempesta Vaia ha decimato i faggi di questo versante, e adesso giacciono immobili sul terreno come le sconfitte truppe di Napoleone a Waterloo.  È inutile continuare per la traccia, e di ritornare indietro non ne abbiamo voglia, quindi, assumiamo la modalità selvatica da lupi, scendiamo in basso, intuendo e seguitando una via di uscita, ossia, un canalone posto pochi metri in basso. Malgrado sia ripida la discesa ci muoviamo con passo sicuro, Luca e io siamo abituati ad andare in solitaria e in ambienti avversi, quindi, ci muoviamo con saggezza e in sicurezza. La perdita di quota costante indica che abbiamo avuto un’ottima intuizione. A volte lottiamo con qualche ramo, ma ci divertiamo, in essi immaginiamo le propaggini delle streghe, e noi, non cedendo al loro maleficio, impavidi andiamo avanti. Alla fine, abbiamo ragione, il canalone si restringe tramutandosi prima in canalino scalinato e successivamente in traccia di camoscio che ci guida fuori dal bosco sino agli Stavoli della Congregazione. Fatta anche questa, siamo super soddisfatti, abbiamo vissuto una giornata da incorniciare. È stata una bella avventura, vissuta da autentici spiriti liberi. Ci siamo divertiti come bimbi, condividendo oltre all’amicizia anche l’universo montagna, ovvero il nostro dio.

Il Forestiero Nomade.

Malfa.

 

 

 














































































 

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