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domenica 17 gennaio 2021

Montagna: Cima Pala da Somp Cornino

Note tecniche.

 

Localizzazione: Prealpi Carniche

 

Avvicinamento: Lestans- Pinzano-Somp Cornino- Parcheggio in Via della Resistenza, Cartello CAI.

 

Dislivello: 700 metri.


Dislivello complessivo: 730 metri.


Distanza percorsa in Km: 10 chilometri.


Quota minima partenza: 180 m.

 

Quota massima raggiunta: 901 metri.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore

In: Solitaria.

 

Tipologia Escursione: Naturalistica

 

Difficoltà: Escursionistica.

Segnavia: CAI 817

 

Impegno fisico: medio basso.

Preparazione tecnica: bassa.

Attrezzature: nessuna.

 

Croce di vetta: si.

Ometto di vetta: si.

Libro di vetta: si, messo un contenitore.

Timbro di vetta: no.

Riferimenti:

1)          Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 020.
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)          Periodo consigliato: tutto l’anno.

3)          Da evitare da farsi in:

 

Condizioni del sentiero: ben segnato e marcato.

 

Fonti d’acqua: fontanelle

Consigliati:

Data: giovedì 13 gennaio 2021.

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

La melanconia mi spinge a prendere lo zaino e volare per sentieri a caccia di sogni mai vissuti e ricordi cancellati dal tempo. Cieli che si tingono di primavera in questo freddo inverno. Guido per queste strade che conoscono i miei stati d’animo in tutte le stagioni. Questo mio volto inciso dai solchi dell’età è come un vetusto castagno, ma non riesco a smettere di sognare, morirei.        Raggiungo Somp di Cornino, è meraviglioso il borgo nelle prime ore del mattino, lascio l’auto in un vicolo, in Via della Resistenza, chissà perché devo combattere questa battaglia contro questo tetro nemico, ma più che resistere oggi voglio fuggire. Il primo passo sul sentiero è l’inizio del cammino.  Una miriade di sentieri si dirama, ma poi conducono alla frazione di Ledrania, 400 metri di dislivello più sopra.

È un piacevole camminare, vissuto, i sassi che mi guidano raccontano di fatica e di gaia vita. Mi fermo spesso, non per la fatica ma per l’avvenenza del luogo, è come fare visita a una galleria d’arte. In alto i grifoni volteggiano e iniziano la danza, disegnando nel blu cobalto allocuzioni che riesco a leggere chiaramente, parlano d’ amore. Eh, sì, l’amore è il motore della vita, è la stessa energia che scorre nel mio corpo, nel mio cuore nella mia mente, dando quel luccichio che sa di umido ai miei occhi e quell’inteso tormento, e pensare che c’è chi ritiene che l’amore sia un’inutile perdita di tempo, che non accresce il conto in banca.

 Le rampe del sentiero mi portano sempre più in alto, da esse posso amare e ammirare la meravigliosa pianura friulana. Illuminato da calda luce è il profilo del monte Ragogna, sembra un gigante dormiente. Dormi piccola montagna, tu che serbi tanti segreti e tante storie vissute. Raggiungo il pulpito panoramico, un altare tanto naif è improvvisato. Ora mi addentro all’interno del colle, raggiungo una stradina asfaltata che percorro in salita. Supero i desertici stavoli di Ledrania, ricordo che l’ultima volta incontrai proprio in questo luogo una simpatica coppia, madre e figlia: <<Verranno in primavera? >>

Proseguo lungo la carrareccia per raggiungere un secondo gruppo di stavoli. Da un sentiero vedo provenire una simpatica signora, arzilla, poco sopra il rumore della motosega annuncia la presenza del suo cavaliere. Sono una simpatica coppia di friulani, intenti a fare legna. Mi fermo a conversare, mi presento, si scherza, siamo abbastanza loquaci. Il simpatico omino è un uomo vissuto, conosce le genti d’Italia, non mi nasconde che ha un debole per i siciliani. Come non ascoltare la saggezza di quest’uomo. Ma la cosa più emozionate è l’amore che unisce questa bella coppia, hanno pure pronipoti. Mi congedo dalla simpatica coppia, ci salutiamo con il segno a V delle dita della mano e con una viva l’amore.

Raggiunti gli stavoli, mi dedico ad ispezionare, a uno a uno, cercando i segreti del tempo nelle pareti, e li trovo.

Ora sono davvero da solo, ed ecco che la montagna esce allo scoperto, e mi guida verso una meta luminosa, il versante imbiancato nord- occidentale della cresta che collega monte Pedroc a Cima Pala. Oggi ho lasciato la mappa a casa, conosco a memoria il percorso, fatto appena un anno fa. La neve non è alta, sarà una trentina di centimetri massimo, ma ben compatta, seguo le orme di chi mi ha preceduto, scoprendo poco dopo che sono di quell’escursionista incontrato poco dopo la partenza.  Continuo per la carrareccia, mirando alla Cima Pala. Presso quota 830 metri si dirama un sentiero a destra, poco intuibile ma presente, ritrovo le impronte dell’omino, le seguo, sino a raggiungere i magici ruderi degli stavoli di Cima Pala. Mi fermo in un fazzoletto di terreno privo di neve, indosso le ghette, e ammiro le sacre vestigie, soprattutto un architrave curvo, con ancora una porta sbilenca in legno con le originali cernieri, sapevo di trovarlo e l’ho ritrovato. È impossibile non rimanere incantati, in questo luogo non c’erano né elfi e streghette, ma uomini e donne in carne ossa, gente vera che faticava per un pezzo di pane, e che contava il passare dei giorni con il sorgere e il tramontare del sole.

 Seguo quello che penso che sia una traccia sino allo slargo poco dopo il borgo, appare come un‘arena, sono al centro di essa.  Tutto intorno ci sono strane costruzioni di sassi, sembrano nuragiche, come le mura possenti di un antico sito, erette da un popolo sacro agli dèi, c’è del divino nell’atmosfera, ma io cerco e trovo lui, si, l’albero sacro.

Da l’ennesima costruzione in sassi emerge questo gigantesco faggio, sembrano tre alberi in uno, o due in uno, ma in realtà è uno che si sdoppia in due, forse tre, è l’albero degli spiriti liberi, una fantastica dicotomia o trino. I due tronchi nel cielo creano un megalitico ombrello di rami, questo signore del bosco è possente, bello, forte, vivo, secolare, eterno, è il simbolo della libertà. In lui vivono più nature che insieme coesistono e sono una forza. Il magico re ha radici solide, possenti, e penetra la terra come allo stesso modo conquista il cielo. Ci vogliono radici forti per conquistare il cielo. E’vero! Uguale sentimento è per noi sognatori. Lascio la grande figura e proseguo per la vetta della Cima Pala. Il tratto si fa più ripido, finché mi districo tra i cumuli di sassi a forma geometrica.  Ultimi metri a seguire le tracce di un capriolo ed eccomi nella singolare vetta: un ometto che ho eretto l’anno scorso, con su sormontata una rustica croce assemblata con due rami di nocciolo. Al seguito ho portato il contenitore per il libro di vetta, lo adagio alla base dei sassi in un incavo ricavato nella neve. Il panorama è ostruito dalla fitta vegetazione, ma questa cima, sconosciuta ai più è così, prendere o lasciare. Io l’amo. La preferisco rispetto a quelle iper-frequentate e sormontate al vertice da edifici sacri e indecenti che spregiano il paesaggio. Pochi minuti di godimento della cima dal vertice, riprendo lo zaino e ritorno al magico faggio. È davvero magnifico il re del bosco, lo accarezzo, lo abbraccio, lo adoro, lo saluto, ritornerò da lui a primavera. Al rientro devio per una casera, posta pochi metri sotto monte Pedroc, non ho voglia di andare alla cimetta, mi siedo su una panchetta in cemento posta all’esterno e orientata a occidente, così mi godo il sole.

Che meraviglia, la nostra stella mi scalda, e l’acqua che gocciola dalla grondaia mi bagna regolarmente con il suo tempo cadenzato. Adopero la giacca tecnica come separatore termico, estraggo dallo zaino la borsa con il pranzo e il termos.  Consumo il pasto mentre ammiro il prato innevato e gli alberi che sembrano gendarmi di guardia. Il torpore del sole accompagnato dalla digestione mi fanno sprofondare in un sonno profondo. Mi addormento e sogno. Sono rapito da una bella visione, che non racconto, ma che mi ha incantato per un’ora. Al risveglio sono stordito.  Sento freddo, mi copro, ripongo il materiale nello zaino, e inizio il rientro definitivo. Ho fatto tardi, inizia a fare buio, calano le luci che si tingono di una varietà di rossi, dal cadmio alla lacca magenta, e tutto ridiventa sogno. La notte cala i suoi veli, scorgo tra le fronde della vegetazione le luci del paesello, che tristezza che mi prende, sembra la fine di un ‘amore, ne ascolto la malinconia, i tasti di un pianoforte emanano questa mesta melodia. Tante immagini scorrono velocemente nella mente mentre incedo con prudenza nell’ombra della notte. Il Volo dei grifoni, e il gracchiare dei corvi, l’azzurro cielo che si trasforma nei bei volti allegri dei simpatici vecchietti e il maestoso faggio con l’anima da spirito libero. Come vorrei fermare il tempo e che fosse il mattino appena trascorso, ma come quasi tutte le cose belle, finiscono, e il mio passo ha raggiunto la periferia del borgo. Le luci gialle emanate dai lampioni illuminano le pareti dei remoti casolari. La chiave dell’auto inserita nel blocchetto di accensione, il rombo del motore, l’avventura è finita. Rientro cullato dalle luci delle stesse. Quanto è divino amare, quanto fa male lasciare un amore, la prossima volta porterò il sacco a pelo e dormirò sotto le stelle.

Il forestiero Nomade.

Malfa



































































 

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