Colle
degli Spiriti Liberi e Col Monaco
Note
tecniche.
Localizzazione: Colli di Castelnovo del Friuli
Avvicinamento: Lestans-Paludea- Parcheggio
presso la pizzeria-trattoria “Locanda al Borgo”
Regione:
.
Dislivello:
punto e quota di partenza
Dislivello complessivo: 348
Distanza percorsa in Km: 10
Quota minima partenza: 244 m.
Quota
massima raggiunta: 451 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 3 ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: Naturalistica storica
Difficoltà:
escursioniste turistiche
Ferrata- valutazione difficoltà:
Segnavia:
si, tabelle locali
Fonti
d’acqua: no
Impegno
fisico: medio basso
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: istallato
in data odierna
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: Vecchi troi in ottimo stato
Consigliati:
Data: lunedì 04
gennaio 2008
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Escursione
introspettiva presso i verdi colli della comunità montana di Castelnovo. Località
che amo e che sin dal 2003 è stata il mio ABC della montagna e della libertà
intesa come natura. Il lungo protrarsi del periodo di clausura a causa del
Covid 19 stimola brevi viaggi a pochi metri da casa.
Dopo aver visitato la
vetta del selvaggio monte Santo con partenza da Lestans, ho deciso di
continuare a peregrinare nella medesima località per scoprire cosa si cela oltre
il monte stesso. Come luogo di partenza ho scelto il Comune di Paludea,
lasciando il mezzo presso l’adibito parcheggio di una pizzeria- trattoria non
più in attività (Locanda al Borgo).
Decido di compiere un anello
in senso antiorario, risalendo sino alla frazione di Faviz e Rez tramite una
stradina di servizio, per poi imboccare una remota carrareccia che taglia le
pendici meridionali del monte Santo.
Bello quest’ultimo
tratto, percorso ora solo dagli amanti della montagna e della mountain bike.
Scopro tra le fronde della selvaggia vegetazione passati ruderi abbandonati dal
tempo, alla visione mi si apre il cuore. Adesso non sono più il fuggitivo
escursionista, ma un uomo perduto nel tempo. Percorro questa carrareccia,
ammirando le singole foglie, da quelle rosse come l’amore alle altre imbrunite
e prossime alla caduta, lasciandomi rapire dai disegni surreali dei fiori oltre
tempo, e ancora osservo i singoli alberi e cerco di indovinarne il nome.
Querce, acacie, faggi,
noci e castagni fanno a gara a confondermi le idee, osservo le foglie per terra
e le cortecce per avere più indizi, è un universo di sapere e poesia che
bisogna conoscere e saper sfogliare. La strada di campagna si stringe sino a
divenire sentiero, un bel viottolo che birbante passa tra le braccia scarne dei
vetusti alberi.
Giunto presso una
forcella senza nome scorgo tracce di passaggio alla mia destra, uno sguardo
alla mappa, e miro al vertice della quota 451 m. Chissà cosa scoprirò. Poco
sotto la cresta, un fitto raggruppamento di scarni noccioli mi devia la direzione,
lo aggiro a destra, ed eccomi sul filo di cresta. Un crinale di roccia, coperto
e velato da una impervia vegetazione che ne oscura la visione sulle sorelle
prossime. Percorro la cresta, sono in prossimità della massima quota, eccola 30
metri più avanti, aggiro altra vegetazione di ostacolo, e mi avvicino al masso
da dove giovani arbusti ne coprono il vertice. La pietra sarà alta un paio di
metri, un balzo e sono al vertice. Scopro con piacere sulla roccia che è stato
cementato il tondino IGM in metallo con un triangolino e la scritta “Chi
danneggia è punito”, mi pare giusta la minaccia. Idea! Battezzo il colle. Che
nome gli do? Indovinate, facile, “Colle degli Spiriti Liberi”.
Libero il masso dalla
vegetazione superflua, e installo in una cavità insita nello stesso masso un contenitore con il simbolo del gruppo, una penna
e dei fogli per apportare il segno del passaggio.
Felice e contento
della meta raggiunta, 451 metri di libertà, riprendo il cammino. Raggiunta la
forcella, mi rendo conto che ho smarrito la mappa che avevo al seguito, ma ho un’ottima
memoria, quindi proseguo a sinistra, prima per il sentiero, passando proprio
sotto un gigantesco castagno, davvero mirabile la sua imponente figura, un re
del bosco. Ancora pochi metri di sentiero e raggiungo una carrareccia.
Quest’ultima risale il versante settentrionale del monte Santo e si inoltra
sino a Celante di Castelnovo. lascio il comodo cammino proprio sotto il colle
quota 431 m. seguendo un sentiero a destra che lo aggira sino a raggiungere la
località citata in precedenza. Il sentiero è davvero magnifico, antico e
vissuto, resti di scalinate, muri a secco e un vecchio stavolo, altri momenti
di poesia da aggiungere a quelli vissuti. Non sono insensibile, il bosco parla,
chiama, tocca, racconta. Raggiunta la periferia di Celante di Castelnovo, saluto
un indigeno che va a zonzo con due bottiglie di vino vuote, sicuramente liberate
del prezioso nettare dallo stesso omino, per dimenticare o festeggiare, chissà…
Seguo la strada
asfaltata a occidente sino a una cappella, non nascondo che la frazione mi
rapisce, le abitazioni erette con i sassi miste a quelle di cemento, è come
leggere un passato mai passato da un presente mai presente. Presso una cappella
votiva bianca e luminosa, scorgo l’inizio del sentiero che mi porta all’antico
colle che fu frequentato per primo da antiche civiltà friulane e dopo da un solitario
monaco. Col del Monaco non è la prima volta che mi vede ospite, ricordo che al
vertice mi aspetta una chiesetta e i resti di una fortificazione preromana tra
il settimo e il nono secolo a.C.
Davvero notevole e
incantevole questa giornata. Continuo! Seguo il ben curato sentiero, una
stradina campale, poi pochi metri prima di uno stavolo, pesto la traccia a
destra, che sale in cresta, e si congiunge alla chiesetta con campanile. Essa è
stata prima abitata dall’eremita monaco nelle sue primitive strutture (ruderi
del fortilizio), e successivamente, nel Seicento, edificata e resa disponibile
al culto.
Sono immagini
affascinanti quelle che memorizzo, e la giornata grigia le rende ancora più magiche,
sembrano avvolte dal mistero.
Sfioro i resti della millenaria torre di
avvistamento, un pensiero dedico alle sentinelle di guardia, sicuramente celti,
ne avverto la fatata presenza… Rientro per la stradella, sfioro lo stavolo, ne
apro con rispetto la remota porta, scruto al suo interno, era un ricovero per
animali, ma quanta perizia noto nell’edificazione. Osservo tra i ciottoli delle
pareti i cocci di cotto, segni dell’opera dell’uomo che il tempo può solo
rivelare con orgoglio.
Poco più avanti è sito
un pozzo, l’apertura sembra una cappella votiva coperta da un’insolita volta,
forse per coprire l’acqua dalle impurità involontarie delle intemperie. Ripercorro
il sentiero dell’andata, stavolta in discesa, l’avventura volge al termine. Per
la strada asfaltata proseguo sino a raggiungere quella principale che da
Clauzetto porta a Paludea. Percorro l’arteria in prossimità della sponda
sinistra del torrente Cosa, ricco di copiose acque che le recenti piogge hanno
contribuito ad alimentare. Pochi metri ancora di cammino ed eccomi al
capoluogo, Paludea, fine dell’avventura. È stato un bel viaggio, a volte
onirico. Un altro gioiello da incastonare nella corona della vita di uno
spirito libero.
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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