Maine
della Forca di Monticello
Note
tecniche.
Localizzazione: Alpi Carniche- Alpi
Tolmezzine-Gruppo Sernio Grauzaria- Dorsale della Grauzaria.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano- Gemona-
Starale Pontebbana. Uscita Moggio UDINESE- Moggio Udinese Alta.
Regione: Friuli-Venezia Giulia.
Dislivello:
punto e quota di partenza
Dislivello complessivo:
Distanza percorsa in Km:
Quota minima partenza:
Quota
massima raggiunta:
Tempi
di percorrenza escluse le soste:
In:
Tipologia
Escursione:
Difficoltà:
Ferrata- valutazione difficoltà:
Segnavia:
Fonti
d’acqua:
Impegno
fisico:
Preparazione
tecnica:
Attrezzature:
Croce di vetta:
Ometto di vetta:
Libro di vetta:
Timbro di vetta:
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli –
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Fonti d’acqua: si
Consigliati:
Data:
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Prima uscita in
solitaria del corrente anno, e con la magica presenza della neve. Fisicamente in
questo periodo sono in forma, in montagna potrei osare di più, ma sono attratto
dai luoghi introspettivi, cerco la presenza di arcaici sentieri, stavoli, che mi
raccontano di un mondo perso nell’oblio; Moggio, l’incantevole cittadina
friulana, con le sue note frazioni, rispecchia l’ambiente ideale.
Ho un debole per
questa località del Friuli, tanti miei trascorsi ed esperienze positive. Moggio
è magia, amore, sogno, e soprattutto tanta brava gente.
Come luogo di partenza
ho scelto Moggio alto, e la meta è Monticello. A seguito, nell’auto, ho portato
l’attrezzatura per la neve, ma valuto il tutto appena arrivo in zona. Dal
parabrezza dell’auto, in prossimità di Moggio, ammiro le creste tutte ammantate,
da cinquanta anni non nevicava così tanto. La montagna che spicca per la sua imponenza
è il Pisimoni, che appare come un titano posto di guardia alla valle Canal del
Ferro.
I tetti della
cittadina sono imbiancati, si respira ancora l’atmosfera natalizia. Risalgo i tornanti
sino a uno spiazzo adibito a posteggio per gli escursionisti, vistosa tabella
con mappa esplicativa del luogo.
Esco dall’abitacolo,
valuto la situazione, tocco con gli scarponi la neve, è dura, quindi, lascio le
ciaspole nel portabagagli, lego i ramponi a un moschettone che aggancio allo
zaino.
Una volta pronto,
parto. Inizio a seguire una stradella consigliato dalla mappa che ho al
seguito. Dopo poche abitazioni scorgo l’inizio del sentiero 421, ricordo
vagamente di averlo percorso in passato, man mano che procedo dentro il bosco
si rinfresca la memoria.
Presso una villetta
noto un’edicola con annesso crocifisso, e a sinistra numerose impronte di ungulati.
Do una rapida occhiata alla mappa, rivelo che è un sentiero non segnato, e
malgrado la neve è molto evidente.
Superato un
cancelletto che blocca il transito alle pecore, proseguo nel bosco, seguendo le
numerose impronte. Sarà stato un branco, e cerco di intuirne la loro logica,
hanno seguito questo sentiero di cacciatori, sino ad attraversare l’impluvio
nel punto più debole. In questo frangente avverto ancora di più la presenza di
madre natura, sono un uomo libero. Dopo un primo impluvio, il sentiero di
cacciatori prosegue alle pendici meridionali del monte Monticello, passo sotto
un’altana in legno dismessa, sino a trovare la recinzione metallica dello
stavolo di Maserjjs che mi sbarra il passo. Aggiro l’ostacolo in basso, guado
il secondo torrente, sino a risalire l’argine e sbucare sul sentiero 421, che
dalla periferia occidentale di Moggio porta sino alla vetta di Monticello.
Mentre guadavo ho
intravisto un viandante con cane lupo al seguito. Bene! Seguirò le sue orme in
salita, infatti mi saranno assai utili. La neve inizia ad essere molliccia, mi
pento di non aver portato le ciaspole, e il lucente bianco confonde i ricordi,
questo sentiero ora mi appare sconosciuto. Riattraverso il torrente, stavolta
sulla sinistra orografica, e poco dopo scorgo nel bianco mantello il telaio
arrugginito di una bicicletta, immagine surreale, come se il fantasma che la
guidava si fosse fugato nel bianco candore.
Inizio a salire con
maggiore pendenza i tornanti. Le tracce del viandante sono svanite, mi aspetto
un candido, morbido e faticoso proseguo. Ho intuito bene, infatti, lo sconosciuto
escursionista è tornato indietro. Man
mano che avanzo la neve si fa meno densa, gli arti affondano dai 40 centimetri a
un metro di profondità. Il proseguo si fa arduo, ma non per questo rinuncio. Sicuramene,
visto l’orario e le condizioni del sentiero, prevedo che non arriverò alla
cima, ma qualcosa che dia un senso all’escursione troverò. In alcuni tratti
devo passare tra i rami di alberi schiantati, e con il movimento scuoto la neve
che mi ricade addosso, penetrando dentro gli indumenti, e causandomi quella
frescura non richiesta. Da una seguente lettura alla mappa deduco che dovrei giungere
a una forcella, sono infatti in prossimità di un tornante e oltre sbuca una
piccola ancona, nominata Maine della Forca di Monticello. All’interno della
cappella, addossata alla parete frontale c’è un crocifisso. Ricordo che a
Moggio basso, tra le siepi, in precedenza, ho raccolto un bocciolo di rosa, lo estraggo
con delicatezza dalla tasca della giacca e lo adagio con cura ai piedi del
redentore. Non sono un credente, ma ho trovato spontaneo questo gesto.
Sgancio lo zaino, e mi
affretto a mettere qualcosa nello stomaco, sono affamato e infreddolito. Queste
operazioni, che di solito sono leggere, ora non lo sono. Il freddo si fa pungente gelandomi le
membra, ho le dita assiderate, e qualsiasi movimento mi grava. Esco fuori dalla
struttura, ma me ne pento, rientro, ma dentro fa ancora più freddo. Insomma,
saltello, e mi appresto a nutrirmi. Avverto uno strano torpore, la temperatura
sale, sento il sangue scorrere velocemente nelle vene, come la calda lava negli
inferi di un vulcano, situazione irreale. Gli alberi e tutto ciò che mi
circonda cambiano forma, colore, sfumatura e temperatura, sto attraversando il
tempo. Sono all’interno di una remota abitazione, penso che sia uno stavolo. Ci
sono tanti oggetti di uso comune appesi alle pareti. Avverto la presenza di
figure umane: un soldato, una donna, bimbi. Un elmetto tedesco sul tavolo è la
prova, nella stanza attigua sento che fanno all’amore, sento ansimare, mugolii selvaggi,
un bilinguismo del piacere. I bimbi sono fuori sul prato, giocano, ignari di
quello che avviene all’interno dello stavolo. Tanti e poi tanti oggetti appesi
alle pareti, anche uno specchio, mi avvicino e mi rifletto, mentre dalla stanza
attigua il vorticoso movimento crea una forte energia, sento il profumo dei corpi
aggrovigliati, desideri repressi che si sciolgono come neve al sole, passione,
e …
Ora il mio corpo ha freddo,
gli alberi dagli svariati colori ridiventano faggi coperti di neve. Svanisce il
torpore e mi sveglio. Ho sognato a occhi aperti, che sensazione strana, ma devo
rientrare, non nel sogno, magari, ma nella realtà. Indosso lo zaino e riprendo
la via del ritorno. Scendere per la china è molto più facile e divertente, in
poco tempo sono al torrente. Proseguo tramite il sentiero 420 verso la
periferia di Moggio. Poco prima del paesello incontro un’altra edicola con una
statua di cristo, adorna di rose in plastica, anche d’inverno e con la neve,
come nella mia vita, non mancano le rose, vere o finte che siano sono simbolo
dell’amore che si fa passione. Dalla periferia di Moggio raggiungo l’automezzo,
convintissimo e sicurissimo che ritornerò al più presto in questa magica
località.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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