Monte Santo da Lestans
Note tecniche.
Localizzazione: Colli morenici di Castelnovo
del Friuli
Avvicinamento: A piedi dall’abitazione di
Lestans
Regione: Friuli-Venezia Giulia
.
Dislivello: 500 m.
Dislivello complessivo: 500 m.
Distanza percorsa in Km: 20
Quota minima partenza: 180 m.
Quota massima raggiunta: 471 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste: 4 ore
In: solitaria
Tipologia Escursione: Naturalistica
Difficoltà:
Ferrata- valutazione difficoltà:
Segnavia: Bolli arancioni, segni di percorrenza mountain bike
Fonti d’acqua: si
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: bassa
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: Contenitore
in plastica
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Fonti d’acqua: si
Consigliati:
Data: giovedì 26
novembre 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Un giorno non
precisato di novembre, mentre scorrevo l’indice sulla mappa del territorio di
Castelnovo del Friuli, leggo Monte Santo, un colle posto a quota 471 metri sul
livello del mare, il più alto del comune in cui è ubicato.
La giornata che segue
sarà l’ideale per l’escursione, partirò a piedi direttamente da casa. Il
mattino seguente, zaino in spalle e sogni al seguito, lascio l’abitazione
mirando a nord, verso i colli di Castelnovo del Friuli.
È seducente camminare
senza l’ausilio meccanico del mezzo di trasporto. Attraverso i vicoli di Lestans,
mentre le massaie sono ancora intente nelle loro operazioni quotidiane, dalla
scuola elementare provengono le grida giocose dei bimbi, e la temperatura
frizzantina aiuta a far nascere i propositi più positivi, specie se si viaggia
protetti da indumenti caldi e morbidi.
Dalla periferia di
Lestans, con un passo lesto, mi dirigo a nord, per una stradella di servizio
che passa dietro il dismesso cementifico.
Quest’ultimo appare
come un gigante dormiente, una autentica cattedrale nel deserto, nei decenni trascorsi
fu causa di lotte politiche tra coloro che lo volevano dismettere (comunità di
Lestans) e altri che si opponevano; vinsero i primi, e tra i fautori della vittoria
mi viene in mente il nome della Dirce, una gran bella persona, una pasionaria, che
ho avuto l’onore di conoscere e ritrarre.
Subito dopo il cementificio
è un bel vedere, attraverso una singola frazione. Un gigantesco olmo regna
solitario, e la sua ombra mi indica la periferia del borgo di Molevana in basso.
Il passo ora è lento, delicato, sento il latrare di un cane, fiocchi rosa appesi
a una recinzione di un’abitazione manifestano che in quella casa una nuova vita
cattura le delicate attenzioni degli occupanti. Le sapienti pietre sagomate
delle costruzioni mi fanno sognare, rivivendo odori, colori, suoni e volti di
una civiltà contadina mai vissuta, e che perdura malgrado il progresso
tecnologico.
Aggiro a oriente le
ultime abitazioni, voglio ritrovare per il solo piacere di ammirare, una coppia
di anziani di cui mi sono innamorato. Al mio passaggio loro non sono nel
cortile, ma dall’interno dell’abitazione, da dove provengono dei suoni, tra cui
riconosco quello della lavatrice. Questo breve tratto di sentiero remoto mi ha
sempre emozionato, eretto con i sassi strappati alla terra, e adesso coperto dalla
lucente e profumata vegetazione, ed esso mi conduce a Pontic, il vetusto ponte
edificato dai Legionari Romani.
Anche oggi la sua
costruzione risulta ardita, vola leggiadra sopra l’impressionate forra del
Torrente Cosa, solo pochi metri da percorrere, ma incute tanto rispetto. Oltrepassato
il ponte sono a ridosso del bosco nord-occidentale di Castelnovo del Friuli, mi
inoltro nell’ombroso e gelido vallone, seguendo dei cartelli, posti dagli
appassionati di mountain bike lungo una dismessa carrareccia.
La percorro in una
faticosa salita e mi ritrovo a ridosso di una forcella. Proseguo per un
sentiero ben battuto, e dopo alcuni saliscendi abbastanza problematici (per via
del terreno viscido e sabbioso) mi ritrovo a ridosso del primo rudere della
frazione di Gai. L’edificio, costruito con sapiente maestria (ricoperto da
smeraldina edera), resiste ancora al tempo, ne visito l’interno, alla ricerca
di rivelazioni che prendo da piccoli particolari. Continuo il cammino,
raggiungendo il più corposo raggruppamento di stavoli, pochi metri dopo una
piccola cappella, restaurata e con all’interno dipinta una graziosa madonnina.
In uno stavolo (mal
ridotto dall’incuria e dallo scorrere del tempo), trovo appeso all’anta in
legno dell’ingresso, un singolare elenco di nomi di una famiglia, adesso emigrata
in Francia. Questa testimonianza mi provoca tristezza e tenerezza, e mi fa
pensare. Tutti vaghiamo in questo mondo: in cerca di lavoro, libertà, sogni, ma,
purtroppo, c’è sempre qualcuno che non vuol comprendere. Rispettoso della
testimonianza cartacea, osservo alcuni particolare, un vecchio bibigas, il
numero civile ancora leggibile e posto su un architrave. Avverto una sorta di
melanconia e desolazione, molto dolorosa, come se questo luogo mi appartenesse
da generazioni, come se fosse stato il mio luogo natio, la mia casa. Proseguo
per il sentiero, che stavolta si fa aereo, anche se protetto dalla vegetazione.
Cammino su questa bella cresta che divide la valle del Cosa dai colli di
Castelnovo. Percorro sentieri ben battuti, visito grotte che diedero rifugio ai
partigiani, respiro l’aroma della natura selvaggia. Vago, cammino, sono libero
e son vivo.
Decido di lasciare il
sentiero che prosegue in direzione della vecchia frazione di Molevana, per
cavalcare la cresta, sino alla Forca. Ho modo di ammirare a meridione il bel torrione
del castello di Vigna, da esso si dominano tutti i colli di Castelnovo del
Friuli. Sono stregato dal paesaggio sublime, e chissà quante storie custodiscono
i borghi di questi rilievi. Un’autentica enciclopedia di quasi due millenni di intenso
vissuto umano.
Con peripezia e
intuito, sempre per selvaggia cresta, pervengo sino alla forca, successivamente
percorrendo per pochi metri la rotabile interna del comune, per dirigermi alla
frazione di Faviz e Rez (cartelli con indicazioni).
Questi colli sono
composti quasi interamente di granuli, ma anche di fanghi e di ghiaie, i prodotti dell’erosione erano
trasportati verso meridione da torrenti e fiumi che, intorno a dieci milioni di
anni fa, li abbandonavano nelle zone pianeggianti. Sabbie e argille erano
dunque abbandonate in una tranquilla baia deltizia dove si accumulava
periodicamente anche dello sfasciume vegetale. Il sito di Castelnovo del Friuli,
attraverso i suoi sedimenti e rocce, racconta di un iniziale ambiente di baia
deltizia che in seguito è stato sommerso dal sollevamento del mare. Mare che,
all’inizio del proprio innalzamento, ha raccolto e accumulato un esiguo
spessore di ghiaie abbandonandole lungo la locale spiaggia. Quando di lì a poco
il livello marino si è stabilizzato, gli apporti fluviali hanno costruito un
delta che nel tempo ha preso ad avanzare muovendosi verso la stessa zona di Castelnovo
del Friuli.
Quanta emozione mi trasmette il poter leggere
la geologia del luogo, e ogni fazzoletto di territorio serba informazioni che
arricchiscono il mio sapere. Non manca nulla per poter abbinare l’erudizione al
piacere della natura.
Percorro la
stradina asfaltata di servizio, e poco prima della frazione di Rez, vengo morso
a un polpaccio da un cagnetto lasciato imprudentemente libero. Ho sentito i
dentini sulla carne, però non hanno forato i pantaloni, ma avverto uno strano
bruciore. Mi disinfetto la gamba dove la bestiola ha lasciato i segni dei
canini, ripeterò l’operazione subito dopo in vetta al monte Santo. Presso un
tornante, termina la strada asfaltata, proseguo per quella campestre, che
inizia proprio di fianco ad una abitazione sorvegliata da un pastore tedesco molto
vigile. Il tratto di percorso è breve, presso il seguente tornante, un cartello
mi invita a lasciare la strada campestre e percorrere il sentiero che porta
alla località Celante. Seguo la marcata traccia per pochi metri, finché,
raggiunta la forcella in cresta, lascio il sentiero per proseguire a destra,
lungo il crinale. Trovo qualche segno di passaggio, ma l’itinerario è
intuitivo, mancano solo 50 metri di dislivello alla vetta. Senza particolari
patemi, destreggiandomi nella vegetazione selvaggia, raggiungo il vertice,
materializzato da uno splendido e gigantesco castagno. Fatta! Monte Santo
conquistato. È davvero selvaggio l’ambiente che trovo a 471 metri di quota, la
visuale è ostruita dalla vegetazione. Malgrado sia il colle più alto, non si scorge
nulla del paesaggio circostante, solo i ricci delle castagne per terra. Anche lo stesso cielo è ostruito dalle fronde
degli alberi, sembra un ambiente che non conosce la presenza dell’uomo. In un
incavo ricavato dalle varie diramazioni dei tronchi del castagno, trovo l’alloggiamento
per il contenitore del libro di vetta. Mi piace abbracciare questo vecchio
signore (il castagno), esso oggi rappresenta la meta, e aggiunge atmosfera fiabesca
all’escursione. Sono rapito da questo luogo che sa tanto di foresta di Sherwood.
Gioisco della bella giornata donata, della sensazione di infinità libertà che dà
la montagna. Rientro per lo stesso sentiero dell’andata. Presso la frazione di
Vigna devio per una remota variante che mi riporta a Molevana nuova. Cammino deliziato dai raggi solari del
meriggio, di tanto in tanto mi volto indietro per contemplare i colli che ho
appena percorso. È magia pura la
località di Castelnovo del Friuli, un eden per chi ha un animo folle, libero,
sincero, sensibile e d’artista, e giorno dopo giorno, anno dopo anno, questo
luogo lo sento sempre più mio.
Il Forestiero
Nomade.
Malfa
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