Montagna
Grande di Palermo (Mastro Nardo).
Note
tecniche. Montagna Grande è uno dei massicci calcarei dei Monti di
Palermo. Si trova praticamente sopra Misilmeri ed è alto 645 m s.l.m. Non ha
quell’aspetto tipico delle montagne più alte (come sui Nebrodi o sulle Madonie)
capaci di regalare quella sensazione di totale immersione nella natura e
distacco dalla metropoli. La città infatti ce l’hai sotto i piedi e riesci a
distinguere facilmente quartieri, strade e rioni. Ma quello che sembra un punto
a sfavore in realtà è il suo punto di forza. Montagna Grande infatti è una vera
e propria terrazza naturale capace di regalare non solo una delle più belle
viste dall’alto di Palermo, ma anche una delle più belle vedute panoramiche in
assoluto. La veduta è molto ampia: di norma si riescono a distinguere bene
Monte Pellegrino, Capo Gallo, la Conca d’Oro, Monte Catalfano, la Busambra,
Monte Cane, le Madonie. Ma nelle giornate di cielo terso si riesce a vedere
fino a Capo Milazzo, l’isola di Ustica, le isole Eolie e persino l’Etna. Una veduta
impareggiabile!
Localizzazione:
Monti di Palermo
Regione:
Sicilia
Avvicinamento:
Dal centro storico di Palermo, prima in tram e poi in autobus sino alla
contrada Croce Verde (capolinea autobus), da quest’ultima, zaino in spalla,
inizia il cammino.
Dislivello:
600 m.
Dislivello complessivo: 700 m.
Distanza percorsa in Km: 35 ( con partenza e ritorno alla città).
Quota minima partenza: 65 m.
Quota
massima raggiunta: 645 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 5 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: Paesaggistica-escursionistica
Difficoltà:
turistica la prima parte, escursionisti esperti la seconda.
Ferrata- valutazione difficoltà:
Segnavia:
nessuno
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: no
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Sicilia–
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: tutto l’anno
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero: Ben marcato sino alla cresta, proseguo per tracce di animali.
Fonti d’acqua: no
Consigliati:
Data: martedì 08
settembre 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
La
Montagna Grande, da sempre, per il suo caratteristico profilo, ha attirato il
mio interesse escursionistico. Non è una montagna altissima e ha le pendici densamente
popolate da numerose ville residenziali, che anche ad occhio nudo si possono
scorgere dal capoluogo. Quest’anno ho deciso di soddisfare la mia curiosità, e
di raggiungere la vetta di questa piccola e incantevole montagna.
Con
Giovanna si decide di rinunciare al nostro abituale stoicismo, ci avvicineremo
alla meta il più possibile utilizzando i mezzi pubblici. Quindi, biglietti alla
mano, per la prima volta ci serviamo del tram, e di seguito prendiamo l’autobus
numero 212 che parte pochi metri dopo l’arrivo della fermata tranviaria. Nel
breve tragitto, tra i capolinea dei mezzi di trasporto, abbiamo modo di passare
dalla piazzetta dove fu barbaramente assassinato Padre Puglisi. Nel luogo dello
scempio è stato eretto un museo all’aperto con foto esplicative della vita del
Beato e della successiva visita del Papa. Mi impressiona pensare che questo
luogo un dì mi vide bimbo giocoso e speranzoso, ma la vita è anche questo.
Sempre
con gli zaini al seguito, trasbordiamo sull’autobus 212, che dalla periferia
della città ci porta sino alla località Croce Verde, passando per i Ciaculli. Continuo
il viaggio nell’universo dei ricordi, ogni casa, ogni angolo, mi rievoca uno o
più episodi della mia adolescenza. Allora ero un ragazzino, selvaggio, vagavo
senza meta nei quartieri, dal mio a quelli adiacenti, in cerca sempre di
qualcosa, in fondo non sono cambiato.
Dalla
periferia il mezzo pubblico sterza alla volta di una campagna prospera di
agrumeti, sicuramente i mandarini più belli e buoni dell’intera isola. La strada
che percorre il mezzo è vetusta, ai margini si ergono ancora i muri perimetrali
eretti in epoche remote. Dalla borgata dei Ciaculli transitiamo all’ultima,
quella nominata Croce Verde o Giardini, una fila di case bianche e luminose immerse
nello smeraldo.
Scendiamo
al capolinea, indossiamo un abbigliamento insolito per i locali, completamente
da trekking e con bandane. Dopo aver comunicato con un simpatico nativo,
iniziamo il cammino vero e proprio, percorrendo un’arteria che dal centro abitato
(edifici rurali) ci accompagna sino alla strada provinciale 37 che collega
Palermo a Misilmeri.
L’aroma
effuso dagli agrumeti è inebriante, i mandarini devono ancora maturare ma catturano
la vista e l’olfatto. Codeste coltivazioni risalgono al periodo arabo-normanno,
e in queste terrazzamenti si coltiva il mandarino tardivo e il nespolo,
autentiche delizie, un vero patrimonio naturale. Una volta raggiunta la
statale, puntiamo a oriente, verso la nostra meta. Dopo pochi metri un
singolare obelisco posto su un lato della carreggiata attira la nostra
attenzione. Da una targa commemorativa, e dalle rinsecchite ghirlande donate
dalle autorità, deduciamo che siamo nel luogo dove 57 anni fa fu commesso un
eccidio mafioso ai danni dei servitori dello stato, la “Strage di Ciaculli”. Un attentato effettuato da Cosa Nostra in cui persero la vita 4 uomini dell'Arma dei Carabinieri, 2 dell'Esercito Italiano, e un sottufficiale del Corpo delle Guardie
di P.S. (attuale Polizia di Stato).
Avvenne
il 30 giugno 1963 tramite un'Alfa Romeo Giulietta imbottita di
esplosivi. Le vittime furono il tenente dei carabinieri Mario Malausa, il maresciallo di
P.S. Silvio Corrao, il maresciallo dei CC Calogero Vaccaro, gli appuntati Eugenio Altomare e Marino Fardelli, il maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio, il soldato Giorgio Ciacci. L'episodio fu uno dei più
sanguinosi degli anni sessanta, esso, concluse la prima guerra di mafia della Sicilia del
dopoguerra, che vide le uccisioni di numerosi mafiosi tra fazioni contrapposte.
L’attentato avvenne proprio il giorno prima della mia nascita. E questo mi ha
fatto riflettere. Ho immaginato i miei genitori che stato d’animo avessero in
quel frangente, soprattutto mio padre, uomo profondo, sensibilissimo e dedito con
passione alla vita politica e sociale. Questa è una domanda, a cui, purtroppo,
non avrò mai una risposta.
Dopo
il breve momento di raccoglimento, Giovanna e io, proseguiamo per la nostra
avventura. Percorriamo la strada provinciale, la panoramica arteria che taglia
il versante meridionale del Monte Grifone (meravigliosa montagna), cammino con lo
sguardo all’insù, rivolto al rilievo, sono attratto dagli irti sentieri che si
elevano sino alla cresta, in futuro voglio percorrerli.
Dopo
una galleria raggiungiamo un punto panoramico che si apre su Palermo. Paesaggio
spettacolare, solo questa immagine fa comprendere al forestiero o al
palermitano stesso, perché la nostra città fu nominata dai Punici” Ziz” ossia
fiore. Un vero gioiello di bellezza unica, che si può solo dipingere o decantare,
e che le parole altisonanti dei più celebri poeti non potrebbero descrivere in pieno,
quanto i miei occhi, in questo istante, stanno vedendo. È difficile continuare
per la meta, siamo davvero rapiti da tanto splendore, ma dobbiamo. Dopo una
serie di curvoni raggiungiamo l’ampia sella posta a circa 400 m. di quota che prende il
nome di Gibilrossa. La località è nota per la sua aria salubre e la temperatura fresca anche d'estate, essa viene considerata una interessante zona turistica,
in particolare per i palermitani che vi hanno costruito la propria
"seconda casa".
Il
nome deriva dall'arabo جبل رأس (jabal raʾs) e vuol dire "prima
montagna" con l'accezione di "principale montagna" o
"grande montagna". Noi puntiamo all’obelisco, ben visibile anche da
Palermo. Il monumento in ricordo dell'impresa garibaldina è stato progettato
dall'architetto Giovan Battista Filippo
Basile ed
eretto nel 1875; Gibilrossa è nota per essere stata utilizzata come "punto
di appoggio" dalle truppe garibaldine guidate da Nino Bixio la sera precedente
la presa di Palermo. Fu sempre in questa
località che il Giuseppe La Masa raccolse per l'occasione 4000 volontari
a supporto dell'esercito di Garibaldi. Nella adiacente piazzetta monumentale
che ospita la costruzione commemorativa, effettuiamo la prima sosta, nutrendoci
dei buoni panetti di zucchero che abbiamo al seguito.
Breve
pausa, ora inizia il bello, ovvero scovare tra i numerosi villini un passaggio
che ci permetta di accedere al sentiero che porta alla riserva naturale dominata
dalla cresta del monte. Trovato!! Scovata proprio al centro di un avvallamento,
seguiamo una traccia non marcata, ma che conduce dentro un oliveto; e al di sopra
di esso incrociamo il sentiero della riserva naturale, delimitato da una
recinzione che purtroppo ha squarci in più punti.
Uno marcato sterrato, con una serie di svolte,
risale il versante occidentale del monte. Davvero magnifica la visione del
paesaggio, la cresta è sempre più vicina e il sentiero ci porta al versante
meridionale, adombrato da una bellissima pineta, per poi proseguire, tramite una
labile traccia, tra i medesimi pini silvestri e le roccette. Finalmente la
cresta! Davvero stupenda, siamo estasiati e in prossimità del pizzo dell’Aquila.
Dalla dorsale il sentiero scende sul versante occidentale. Scorgo dei sassi
raccolti e allineati, sembrano formare un limite, lo percorriamo come funamboli
su una corda sospesa, così lasciamo la pesta e puntiamo alla cresta a oriente, in
direzione di Pizzo Mastro Nardo. Ora non ci sono più tracce ben visibili, ma
solo segni di passaggio di animali selvaggi. Conquistiamo una prima altura, ma
non è la cima principale, ci arrampichiamo su per roccette con brevi e
divertenti passaggi, davvero emozionante. Intervalliamo ai tratti di
arrampicata i traversi nella fitta erba dai colori che variano dallo smeraldo
all’oro. La vetta ora è in vista, passiamo da una piccola grotta, e dopo aver
tagliato il piano erboso, ci arrampichiamo sulle calde e possenti rocce, nulla
di impegnativo, ma amorevolmente e divinamente selvaggio. Raggiungo per prima
la minuscola vetta principale (645 m.), e osservo con benevolenza Giovanna che
si districa tra l’erba e le rocce per poi raggiungermi. La vetta è una pietra
calda, temprata dal tempo e tinta di licheni, essa è come la Sicilia, antica e
infinitamente magnifica quanto l’universo. Il paesaggio che ammiro dalla vetta (Pizzo
Mastro Nardo) è uno dei più seducenti che ho visto in vita mia, poi il
superlativo lo raggiunge con la vista della mia città e l’inconfondibile monte
Pellegrino, tutto è sublime. Non abbiamo voglia di rientrare, udiamo delle
voci, dei contadini ci localizzano in vetta, gridando in dialetto qualcosa,
tipo: << Ecco, sono in cima!>>. Rispondo divertito, tanto so che
non verranno su, non ne hanno il fisico!
Passiamo
una buona mezzoretta sulla vetta, prima di iniziare la discesa. Rientrare è davvero dura, lasciare questo
sogno per ritornare alla realtà è mesto. Durante il ritorno erriamo sentiero,
entrando accidentalmente in un complesso residenziale, ma in basso i cancelli di
uscita sono chiusi. Grazie a un proprietario che casualmente era fuori dalla
sua abitazione e alle nostre peripezie (sbigottito dalla nostra presenza), entriamo
nel terrazzo del suo villino e successivamente usciamo sulla strada provinciale
(lo ringraziamo). L’avventura volge(purtroppo) al termine, ripercorriamo la
strada a ritroso sino alla borgata di Croce Verde. La calura e uno stupendo cielo
azzurro ci scaldano l’animo, siamo pienamente appagati da quest’avventura. Abbiamo
sognato, sogniamo e continueremo a sognare.
Il
Forestiero Nomade.
Malfa.
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