Il Monte
San Calogero o Monte Euraco da Caccamo
Note tecniche. Il Monte San Calogero o Monte Euraco è un sistema
montuoso all’interno dei comuni di Termini Imerese, Caccamo e
Sciara. Il monte si presenta come un poderoso massiccio costituito
da calcari e dolomie originatesi dal mesozoico. A nord si
affaccia sulla costa tirrenica, mentre a sud-ovest presenta due dorsali.
La sua morfologia è varia e complessa, a tratti molto accidentata, con valloni
profondi in cui si insedia la vegetazione naturale. Il contrasto paesaggistico
fra le parti sommitali, aspre e selvagge, e quelle a valle, che hanno una dolce
morfologia collinare, è molto forte. Ad ovest l'erosione fluviale delle rocce
calcaree ha comportato la formazione di imponenti gole, canaloni e forre, come
per esempio i valloni Pernice e Tre Pietre, dagli alvei profondamente incassati
lungo una discontinuità tettonica. Queste erosioni torrentizie hanno messo a
nudo le stratificazioni rocciose di epoche diverse, consentendo ai geologi di
risalire alle origini del monte. Dalla sua vetta si può godere di un panorama
bellissimo e spettacolare. Secondo la tradizione nelle sue rupi dimorò San
Calogero e in una roccia lasciò l'impronta del suo piede nel cacciare i
demoni che travagliavano il monte. Sulla cima il santo edificò una chiesa in
onore di Maria Vergine, che ora è dedicata al santo. Di essa
rimangono solo dei ruderi perimetrali. Si racconta che sino alla metà
del XX secolo nei pressi della chiesetta era ancora visibile una
statua frammentaria di pietra locale raffigurante il santo. A proposito del suo
nome sappiamo che il territorio montano che si estende tra Caccamo e Termini
era frequentato da calogheri, eremiti che avevano scelto di vivere la loro
santità nel silenzio e nella solitudine. Questi anacoreti erano venerati e
venivano visitati dagli abitanti del luogo: questa devozione diede origine al
culto di San Calogero. Secondo alcuni autori
il Calogero di Termini Imerese è forse da identificare con
San Teoctisto, abate basiliano di Caccamo che vi dimorò nel IX secolo.
Sulla montagna si è insediata un’avifauna molto interessante, nidificante ed
installata sulle pareti più ripide del monte dove è possibile osservare
l’aquila reale, la poiana ed il falco pellegrino. In primavera e in autunno,
nelle zone più pianeggianti, accorrono numerosi uccelli di varie specie, alcuni
dalle livree particolari come il rigogolo o le upupe. È possibile anche
incontrare tracce dell’istrice e della volpe. Nella vegetazione arbustiva sta
lo zigolo nero, un uccello stanziale. Fra i rettili si trovano quasi tutte le
specie presenti in Sicilia. Il Monte San Calogero è dal 1998 una riserva
naturale orientata.
Localizzazione:
Regione:
Sicilia
Avvicinamento:
Autostrada Palermo-Catania-Svincolo per Caccamo-Da Caccamo paese indicazione
per la riserva di Monte San Calogero. Lasciare l’automezzo un centinaio di
metri dopo che la stradina asfaltata di campagna ha termine (810 m. circa).
Dislivello:
600 m.
Dislivello complessivo: 600 m.
Distanza percorsa in Km: 9
Quota minima partenza: 810 m.
Quota
massima raggiunta: 1326 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 4 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: paesaggio-escursionistica
Difficoltà:
escursionistica
Ferrata- valutazione
difficoltà:
Segnavia:
bolli verdi e arancio
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: si
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: si
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Sicilia–
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Fonti d’acqua: si
Consigliati:
Data: 15 settembre
2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
La bellissima montagna
di San Calogero si eleva imperiosa dalle acque del Mar Tirreno. Anni fa, alla
prima visione m’incantò, e un intenso desiderio di conquistarla nacque in me,
rinnovandolo di anno in anno.
Forse mi è mancato il
coraggio di affrontare il monte, mi ha intimidito la sua immensa mole, esso, per
i suoi irti pendii aridi e assolati e per il dislivello, appare inespugnabile. Ma
la curiosità come fregò il gatto attira allo stesso modo l’escursionista
curioso, e quest’anno ho deciso di soddisfare il desiderio!
Effettuando delle
ricerche dalle web ho scoperto che la bella elevazione ha un nome cioè “San Calogero”
(anticamente era frequentato da calogheri, eremiti che avevano scelto di vivere
la loro santità nel silenzio e nella solitudine) e i sentieri di accesso non sono
proibitivi, anzi, è una meta frequentata da molti escursionisti.
Tra gli itinerari
possibili scelgo il classico, ovvero, il sentiero che inizia dalla campagna che
domina Caccamo, raggiungendo la sovrastante depressione che prende il nome di
Santa Maria. Durante il tragitto in auto, nella stradina del contado, abbiamo
modo di ammirare la bella campagna siciliana, soprattutto (avendo i vetri dei finestrini
abbassati), di inebriarci dagli aromi effusi dalla natura, Tutto questo
contesto è davvero sublime. Raggiunto uno slargo dove ha termine la stradina
asfaltata, sostiamo l’auto. Nel frattempo, sopraggiungono dei locali, che
saputa la nostra meta, ci consigliano di continuare per un altro breve tratto,
ma di sterrato. Ho trovato simpaticissimo questo breve incontro con i nativi, e
per svariati motivi, ne elenco alcuni: nell’incontro ho apprezzato la loro spontanea
gentilezza, e anche il linguaggio dialettale, che non è il mio palermitano (duro
e aperto) ma quello tipico siciliano, cioè, dolce e canterino.
Lasciato il simpatico
gruppo di siculi (andavano sicuramente a funghi) proseguiamo per un tratto di sterrato
sino a lasciare l’auto in un breve spiazzo lungo il tratturo, una volta approntati
(Giovanna e io) si parte.
Sono impaziente ed euforico,
da tempo immemorabile desideravo questo momento, e i primi metri sono da estasi.
Scruto da lontano la vetta del monte, il paesaggio, alcune mucche in pascolo,
il cielo velato delicatamente. Chiudo gli occhi e mi inebrio ancora degli aromatizzi
della campagna siciliana, sono davvero felice, mi sembra di vivere all’interno
dell’anima di un universo magico, remoto e presente che sia ma nel medesimo
istante. Dopo alcune centinaia di metri un cartello indica il sentiero per il
monte. Trattasi di una carrareccia rovinata dall’erosione del tempo,
sicuramente in passato utilizzata da carri. La pesta è uno sterrato di ghiaia, in
alcuni tratti affiora il vecchio selciato, poi si restringe sino a sparire nel
mistico bosco di roveri. Vederne così tante di queste regali piante, mi fa
pensare agli antichi paladini normanni. Chissà quanti cavalieri durante una
sosta hanno dimorato sotto una quercia, soldati, baroni, principi, menestrelli
e malfattori. E i nobili, celati da una coperta e da lucente armatura facevano
bei sogni, così al risveglio, ispirati, ereggevano chiese e città.
Il breve tratto nel
fitto bosco è magico, l’ombra del leccio copre un sottobosco ricco di felci,
muschi e arditi e simpatici ciclamini che spuntano dalla pietra lucente. Il
sentiero è segnato dagli immancabili bolli fosforescenti verde o arancio, che
si amalgamano con la natura. Bella idea! Usciti a campo aperto ci troviamo su
un’ampia insellatura, i radi ometti ci indirizzano a nord, verso la mole
rocciosa che dobbiamo scalare. Perdiamo leggermente quota, superiamo una
recinzione, per poi risalire il ripido pendio erboso sino all’attacco della
Rocca Fera, che per esili tracce scaliamo sul versante orientale tramite uno
storico e antico sentiero artificiale, sicuramente edificato dai monaci
basiliani che, per volere del Santo Teotista, costruirono sulla
montagna una chiesa inizialmente intitolata alla Madonna e poi allo stesso
Santo.
In alcuni tratti il percorso
è ancora lastricato, emoziona al solo pensare di quanti, fedeli e no, siano sopra
passati. Cammino sulle pietre levigate dal tempo e dal passo dell’uomo, ci
alziamo di quota sino a sbucare in una sorprendente e fitta foresta di
monoliti, davvero magica, e passiamo curiosi attraverso di essa. Ogni singolo monolite
è come fatato, il sortilegio di un incantesimo, un intero esercito indomito
trasformato in roccia, chissà da chi e per quale misteriosa causa.
Dopo pochi metri, il
sentiero ci conduce alla vetta, un’emozione davvero unica, se non fosse per
l’obbrobriosa visione di una cabina elettrica per antenna.
Raggiunti
i ruderi dell’edificio sacro, una piccola croce in legno sta a testimoniare la
massima elevazione, ma forse la quota più alta è di alcune diecine di metri
indietro, sul rilievo adiacente al nostro. Sganciamo gli zaini, e ci affacciamo
dal belvedere naturale, è uno spettacolo che ne ha pochi uguali. Dalla nostra
quota (1326 m.) tutto quello che osserviamo è infinitamente piccolo: a sud
abbiamo l’azzurro mar Mediterraneo, e tutto intorno le cime delle montagne del
palermitano, che sono nane a cospetto del monte San Calogero. Stiamo vivendo un
irripetibile sogno. La vetta è davvero un luogo sacro, lo si percepisce da tutto,
e noi siamo incantati, staremmo ore quassù, e per alcuni aspetti invidiamo gli
antichi eremiti che vi dimoravano.
La
bella giornata settembrina ci permette di protrarre l’escursione. L’avvicinamento
non è stato lungo, escluse le soste, solo un paio di ore, quindi, rientriamo
con calma, godendoci, attimo per attimo, il paesaggio e gli istanti d’amore,
che rimarranno indelebili nella nostra memoria.
Ritorniamo
all’auto con calma, con un passo lieve, scoprendo nella vegetazione piante mai
viste. Riempiamo la memoria visiva di questo incantevole luogo, vorremmo
risiedere in loco e venire più spesso, per carpirne altri segreti, o
semplicemente per ammirare il tutto, magari solo per raccogliere funghi, e non
è poco.
Il
rientro alla normalità è mesto, osserviamo dei cavalli curiosi brucare
all’ombra di un carrubo nei pressi di una fattoria, attirano la mia attenzione
con un nitrito: piaccio tanto agli animali, e non è poco. Dall’alto di un
quartiere periferico di Caccamo ammiriamo il castello, ancora storie e fantasie
su principi normanni, principesse, soldati e paggi. La Sicilia è anche questo, ma
la vita reale, lontana dai nostri sogni bussa, ed è tempo di svegliarsi. Ma noi
siamo rimasti lassù con la mente e il corpo, e non abbiamo voglia, direi
proprio di no, di svegliarci.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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