Anello del Monte Pellegrino salendo per la Valle del Porco.
Note
tecniche. Monte Pellegrino è un massiccio montuoso alto 606 metri sul livello
del mare, caratterizzato da una orografia estremamente movimentata, ricca
di pianori praticabili e con fianchi ripidi ricchi di fenomeni carsici, con ben
57 grotte catastate di origine marina e/o carsica. Esso ricade all'interno
della Riserva Naturale Orientata "Monte Pellegrino", situata
all'interno del territorio del comune di Palermo.
Localizzazione:
Palermo
Regione:
Sicilia
Avvicinamento:
Valle del Porco: versante ovest, Parco della Favorita, dalle Ex Scuderie Reali.
Media difficoltà.
Dislivello:
606 m.
Dislivello complessivo: 606 m.
Distanza
percorsa in Km: 20 km.
Quota minima partenza: Centro storico Palermo.
Quota
massima raggiunta: 606 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In:
Coppia
Tipologia
Escursione: Storico-Paesaggistica
Difficoltà:
Escursionistica
Ferrata- valutazione
difficoltà:
Segnavia:
Assenti
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: media
Attrezzature:
no
Croce
di vetta: no
Ometto
di vetta: no
Libro
di vetta: no
Timbro
di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici:
IGM Sicilia –
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Da
evitare da farsi in:
Condizioni
del sentiero: Selvaggio in salita, per la discesa utilizzata Scala vecchia:
versante sud, ad est di Primo Pizzo, arrivo a Piazza G. Casino.
Fonti
d’acqua: no
Consigliati:
Data:
giovedì 3 settembre 2020
“Forestiero
Nomade”
Malfa
Appena
sopraggiunto nella mia città di origine, il primo pensiero è stato quello di
approntare lo zaino per le uscite escursionistiche, è il medesimo che ogni anno
riesumo dal ripostiglio per renderlo operativo. Ho preparato e portato al
seguito alcune mappe del luogo con degli itinerari da effettuare durante il breve
periodo che stanzierò in Sicilia. La prima escursione è prevista sul monte
Pellegrino, che per noi palermitani è liturgia.
Il bel promontorio con le sue forme inconfondibili da millenni contraddistingue
il nostro territorio. I fedeli panormiti, per devozione sin dal Seicento si sono
dedicati alla nota” Acchianata ri Munti Piddirinu” (ovvero il pellegrinaggio al
Santuario della Santa Rosalia, patrona della città) tramite la “Scala Vecchia”,
con lastricato del ‘700 in buono stato di conservazione. Questa tradizionale manifestazione religiosa con
il tempo va scemando, perdendo progressivamente proseliti. Anticamente, e forse,
fino agli anni Sessanta, sapevo di devoti che ascendevano il monte addirittura
in ginocchio per ringraziare la “Santuzza” della grazia ricevuta, o per invocare
qualche miracolo. Personalmente, anche se sono agnostico, questa antica usanza
la rispetto e inizio a sentirla e anche praticarla, è un patrimonio culturale
che non va perduto, la lontananza dalla mia città sta convertendo anche il mio
spirito laico.
L’escursione
precedente sullo stesso monte è stata la classica salita, stavolta, in questa
escursione, scaliamo tramite un remoto sentiero, sicuramente la più antica via
di accesso al monte, ovvero la Valle del Porco.
Non
nascondo che il mattino dell’escursione sono emozionatissimo, percepisco il
viaggio mistico e carico di storia che devo affrontare, anche se il dì non è
dei più propizi per una scampagnata, nuvoloni neri dominano il cielo, e fitte piogge
sono attese sui rilievi che circondano il capoluogo; ma noi, Giovanna e io, si
parte lo stesso, fiduciosi che tutto andrà bene.
Infatti,
durante la strada di avvicinamento (decidiamo di declinare il viaggio in
autobus per goderci a piedi la metropoli) notiamo che Monte Pellegrino è
sgombro da nubi, la “Santuzza” ci ha dato un chiaro messaggio. Percorriamo
quasi per esteso l’intero parco delle Favorita, fino a giungere in prossimità
della Palazzina Cinese. Dall’ arteria stradale che stiamo percorrendo (un
cartello ci invita presso le ex scuderie borboniche) svoltiamo a destra, mirando
alle caratteristiche torri ortogonali. Il sentiero si dirama a sinistra della
struttura, superata la torre ortogonale, lo si risale, all’interno della bella
e ombrosa pineta per poi avventurarsi dentro la fitta macchia mediterranea.
Dopo pochi metri di cammino ci è chiaro il percorso da effettuare, ovvero,
risalire lo stretto vallone dominato sui due fianchi dalle ripide e ferrose pareti
rocciose. Il sentiero è ben marcato e non proibitivo, dai solchi lasciati sulla
pesta dai frequentatori intuiamo che è antico di millenni. Personalmente al solo
pensiero mi emoziono, e volo con la fantasia. Immagino i primi frequentatori armati
di archi e frecce, poi gli esploratori punici, romani, bizantini, arabi,
normanni. Immagino la principessa Rosalia che fugge dal padre padrone,
rifugiandosi come eremita nella grotta presso la vetta. Immagino i cacciatori
del Seicento con gli archibugi, e altri personaggi ancora, insomma, ben 2800
anni di storia sono transitati da questa valle, per ascendere, conoscere e
dominare il nostro sacro monte.
Il
viaggio all’interno della valle dura all’incirca un’ora, abbiamo ammirato la
lussureggiante vegetazione mediterranea, arricchita da fitte piantagioni di
fico d’india. Pochi sono i resti degli antichi manufatti: un ponticello e un
antico casolare. Con il guadagnare di quota l’azzurra volta appare sempre più
vicina, grazie anche al diradarsi della valle che confluisce nella soprastante
pineta. L’aroma effuso dalla vegetazione è intenso, forte e inebriante, sa di “Sicilia”,
riconosco con l’olfatto il pino silvestre, la menta, il finocchio selvatico, e
altre piante ancora, provare per credere.
Il
sentiero diviene meno marcato e si perde tra gli aghi di pino caduti, ma sempre
evidente si spiega all’interno della pineta, sino a raggiungere un’ampia vasca
artificiale (Gorgo di Santa Rosalia) che precede di un centinaio di metri il
Santuario. Chiudo gli occhi e inebriato dal profumo delle resine ascolto il
forte e costante frinire delle cicale, non svegliateci, questo luogo è un
paradiso. Siamo arrivati a destinazione, il viaggio è stato breve e fatato,
quasi 600 metri di dislivello percorsi nella magia. Transitiamo davanti al santuario,
è chiuso per via del Covid 19, ma avvertiamo la presenza mistica del luogo di
culto e la benevolenza della Santa. Mi volto verso l’edificio che racchiude la
grotta, e faccio l’occhiolino alla Patrona e penso: <<Ciao Santuzza, hai visto?
Anche quest’anno sono venuto a trovarti, alla prossima!>> Proseguiamo seguendo
la rotabile, e di seguito risalendo la strada di servizio che conduce alla
vetta. Lungo il cammino incrociamo una giovane coppia: lui è intento a fotografare
in bilico sulle rocce, lei è in imbarazzo per la nostra presenza; sembriamo noi
(Giovanna e io) 40 anni prima, quando avevamo la stessa passione, ovvero quello
di isolarci per amoreggiare in luoghi stupendi della nostra città, e Palermo è
ricca di località per fare sognare gli amanti.
Raggiunta
la cresta, decidiamo di conquistare una delle tre cime (quella posta a quota
600 m.), l’unica raggiungibile, in quanto le altre due sono inaccessibili a
causa delle strutture recintate che proteggono i ricetrasmettitori. Con una breve arrampicata tra le frastagliate
rocce raggiungiamo la nostra vetta, l’unica cima sprovvista di antenne. Dalla
cima il paesaggio è spettacolare. Palermo è davvero unica, magnifica, un vero
gioiello incastonato nella Sicilia e al centro del Mediterraneo. La città sorge
in una posizione felice, la pianura ha i colori dello smeraldo, e gli agrumi maturi
d’inverno la impreziosiscono con il luccichio dei frutti dorati. Il mare, il
cielo e la corona di monti completano l’opera d’arte. Da ragazzo, spesso
riflettevo e mi compiacevo della fortuna avuta nel nascere a Palermo. Una città
cosmopolita, ricca di storia e di cultura, bella dentro e fuori, e tutto questo
mi ha plasmato e formato spirito e carattere. Ora, beato e pacifico, me ne sto
seduto sul comodo masso, ad ammirare questo spettacolo, ben cosciente, che
quando scriverò queste righe, starò in un luogo lontano e ben diverso, e avrò addosso
un filo di malinconia.
In vetta consumiamo il
nostro pasto, composto da frutta secca e panini di zucchero chiamati in loco”
Treccine”, buoni davvero.
Soddisfatti, ma anche allarmati
dal cielo plumbeo che inizia a farsi minaccioso, decidiamo di rientrare,
stavolta per la “Scala Vecchia”. Il ritorno sino alle falde del monte è dolce e
sereno. Camminiamo in discesa, circondati dalle piantagioni di fico d’india che
ci sorprendono per la loro dimensione, sono stracarichi di frutti maturi, una
vera esplosione di colori.
Anche le ferite causate dagli incendi dolosi negli anni scorsi
sono quasi del tutto sparite, la natura è molto più forte dell’uomo e sa come
riprendersi e rinascere, e di questo non ho mai avuto dubbi. Proprio
all’ingresso della Scala Vecchia, una giovane coppia di escursionisti si
appresta a salire. Mi chiedono in inglese le difficoltà del percorso, gli
rispondo che non avranno problemi. Ci congediamo con un sorriso, penso a loro,
sono belli e so che sogneranno a occhi aperti, viva l’amore.
Con
quest’ultima immagine romantica, concludiamo la nostra escursione. Il rientro è
per le vie della città, dove ci attente una moltitudine di odori, suoni ed
emozioni. Tutto ci distrae meravigliosamente, e oggi siamo coscienti e
soddisfatti di aver conosciuto un altro aspetto della nostra amata montagna
sacra.
Il
forestiero Nomade.
Malfa
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