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lunedì 12 ottobre 2020

Anello del Monte Pellegrino salendo per la Valle del Porco.

Anello del Monte Pellegrino salendo per la Valle del Porco.  

 

Note tecniche. Monte Pellegrino è un massiccio montuoso alto 606 metri sul livello del mare, caratterizzato da una orografia estremamente movimentata, ricca di pianori praticabili e con fianchi ripidi ricchi di fenomeni carsici, con ben 57 grotte catastate di origine marina e/o carsica. Esso ricade all'interno della Riserva Naturale Orientata "Monte Pellegrino", situata all'interno del territorio del comune di Palermo.

 

 

Localizzazione: Palermo

Regione: Sicilia

Avvicinamento: Valle del Porco: versante ovest, Parco della Favorita, dalle Ex Scuderie Reali. Media difficoltà.

Dislivello: 606 m.


Dislivello complessivo: 606 m.

Distanza percorsa in Km: 20 km.


Quota minima partenza: Centro storico Palermo.

 

Quota massima raggiunta: 606 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: Coppia

 

Tipologia Escursione: Storico-Paesaggistica

 

Difficoltà: Escursionistica

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: Assenti

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: media

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: no

Libro di vetta: no

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

Cartografici: IGM Sicilia –
2) Bibliografici:
3) Internet: 

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

 

Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero: Selvaggio in salita, per la discesa utilizzata Scala vecchia: versante sud, ad est di Primo Pizzo, arrivo a Piazza G. Casino.

 

Fonti d’acqua: no

Consigliati:

Data: giovedì 3 settembre 2020

“Forestiero Nomade”
Malfa

Appena sopraggiunto nella mia città di origine, il primo pensiero è stato quello di approntare lo zaino per le uscite escursionistiche, è il medesimo che ogni anno riesumo dal ripostiglio per renderlo operativo. Ho preparato e portato al seguito alcune mappe del luogo con degli itinerari da effettuare durante il breve periodo che stanzierò in Sicilia. La prima escursione è prevista sul monte Pellegrino, che per noi palermitani è liturgia.  Il bel promontorio con le sue forme inconfondibili da millenni contraddistingue il nostro territorio. I fedeli panormiti, per devozione sin dal Seicento si sono dedicati alla nota” Acchianata ri Munti Piddirinu” (ovvero il pellegrinaggio al Santuario della Santa Rosalia, patrona della città) tramite la “Scala Vecchia”, con lastricato del ‘700 in buono stato di conservazione. Questa   tradizionale manifestazione religiosa con il tempo va scemando, perdendo progressivamente proseliti. Anticamente, e forse, fino agli anni Sessanta, sapevo di devoti che ascendevano il monte addirittura in ginocchio per ringraziare la “Santuzza” della grazia ricevuta, o per invocare qualche miracolo. Personalmente, anche se sono agnostico, questa antica usanza la rispetto e inizio a sentirla e anche praticarla, è un patrimonio culturale che non va perduto, la lontananza dalla mia città sta convertendo anche il mio spirito laico.

L’escursione precedente sullo stesso monte è stata la classica salita, stavolta, in questa escursione, scaliamo tramite un remoto sentiero, sicuramente la più antica via di accesso al monte, ovvero la Valle del Porco.

Non nascondo che il mattino dell’escursione sono emozionatissimo, percepisco il viaggio mistico e carico di storia che devo affrontare, anche se il dì non è dei più propizi per una scampagnata, nuvoloni neri dominano il cielo, e fitte piogge sono attese sui rilievi che circondano il capoluogo; ma noi, Giovanna e io, si parte lo stesso, fiduciosi che tutto andrà bene.

Infatti, durante la strada di avvicinamento (decidiamo di declinare il viaggio in autobus per goderci a piedi la metropoli) notiamo che Monte Pellegrino è sgombro da nubi, la “Santuzza” ci ha dato un chiaro messaggio. Percorriamo quasi per esteso l’intero parco delle Favorita, fino a giungere in prossimità della Palazzina Cinese. Dall’ arteria stradale che stiamo percorrendo (un cartello ci invita presso le ex scuderie borboniche) svoltiamo a destra, mirando alle caratteristiche torri ortogonali. Il sentiero si dirama a sinistra della struttura, superata la torre ortogonale, lo si risale, all’interno della bella e ombrosa pineta per poi avventurarsi dentro la fitta macchia mediterranea. Dopo pochi metri di cammino ci è chiaro il percorso da effettuare, ovvero, risalire lo stretto vallone dominato sui due fianchi dalle ripide e ferrose pareti rocciose. Il sentiero è ben marcato e non proibitivo, dai solchi lasciati sulla pesta dai frequentatori intuiamo che è antico di millenni. Personalmente al solo pensiero mi emoziono, e volo con la fantasia. Immagino i primi frequentatori armati di archi e frecce, poi gli esploratori punici, romani, bizantini, arabi, normanni. Immagino la principessa Rosalia che fugge dal padre padrone, rifugiandosi come eremita nella grotta presso la vetta. Immagino i cacciatori del Seicento con gli archibugi, e altri personaggi ancora, insomma, ben 2800 anni di storia sono transitati da questa valle, per ascendere, conoscere e dominare il nostro sacro monte.

Il viaggio all’interno della valle dura all’incirca un’ora, abbiamo ammirato la lussureggiante vegetazione mediterranea, arricchita da fitte piantagioni di fico d’india. Pochi sono i resti degli antichi manufatti: un ponticello e un antico casolare. Con il guadagnare di quota l’azzurra volta appare sempre più vicina, grazie anche al diradarsi della valle che confluisce nella soprastante pineta. L’aroma effuso dalla vegetazione è intenso, forte e inebriante, sa di “Sicilia”, riconosco con l’olfatto il pino silvestre, la menta, il finocchio selvatico, e altre piante ancora, provare per credere.

Il sentiero diviene meno marcato e si perde tra gli aghi di pino caduti, ma sempre evidente si spiega all’interno della pineta, sino a raggiungere un’ampia vasca artificiale (Gorgo di Santa Rosalia) che precede di un centinaio di metri il Santuario. Chiudo gli occhi e inebriato dal profumo delle resine ascolto il forte e costante frinire delle cicale, non svegliateci, questo luogo è un paradiso. Siamo arrivati a destinazione, il viaggio è stato breve e fatato, quasi 600 metri di dislivello percorsi nella magia. Transitiamo davanti al santuario, è chiuso per via del Covid 19, ma avvertiamo la presenza mistica del luogo di culto e la benevolenza della Santa. Mi volto verso l’edificio che racchiude la grotta, e faccio l’occhiolino alla Patrona e penso: <<Ciao Santuzza, hai visto? Anche quest’anno sono venuto a trovarti, alla prossima!>> Proseguiamo seguendo la rotabile, e di seguito risalendo la strada di servizio che conduce alla vetta. Lungo il cammino incrociamo una giovane coppia: lui è intento a fotografare in bilico sulle rocce, lei è in imbarazzo per la nostra presenza; sembriamo noi (Giovanna e io) 40 anni prima, quando avevamo la stessa passione, ovvero quello di isolarci per amoreggiare in luoghi stupendi della nostra città, e Palermo è ricca di località per fare sognare gli amanti.

Raggiunta la cresta, decidiamo di conquistare una delle tre cime (quella posta a quota 600 m.), l’unica raggiungibile, in quanto le altre due sono inaccessibili a causa delle strutture recintate che proteggono i ricetrasmettitori.  Con una breve arrampicata tra le frastagliate rocce raggiungiamo la nostra vetta, l’unica cima sprovvista di antenne. Dalla cima il paesaggio è spettacolare. Palermo è davvero unica, magnifica, un vero gioiello incastonato nella Sicilia e al centro del Mediterraneo. La città sorge in una posizione felice, la pianura ha i colori dello smeraldo, e gli agrumi maturi d’inverno la impreziosiscono con il luccichio dei frutti dorati. Il mare, il cielo e la corona di monti completano l’opera d’arte. Da ragazzo, spesso riflettevo e mi compiacevo della fortuna avuta nel nascere a Palermo. Una città cosmopolita, ricca di storia e di cultura, bella dentro e fuori, e tutto questo mi ha plasmato e formato spirito e carattere. Ora, beato e pacifico, me ne sto seduto sul comodo masso, ad ammirare questo spettacolo, ben cosciente, che quando scriverò queste righe, starò in un luogo lontano e ben diverso, e avrò addosso un filo di malinconia.

 In vetta consumiamo il nostro pasto, composto da frutta secca e panini di zucchero chiamati in loco” Treccine”, buoni davvero.

 Soddisfatti, ma anche allarmati dal cielo plumbeo che inizia a farsi minaccioso, decidiamo di rientrare, stavolta per la “Scala Vecchia”. Il ritorno sino alle falde del monte è dolce e sereno. Camminiamo in discesa, circondati dalle piantagioni di fico d’india che ci sorprendono per la loro dimensione, sono stracarichi di frutti maturi, una vera esplosione di colori.

Anche le ferite causate dagli incendi dolosi negli anni scorsi sono quasi del tutto sparite, la natura è molto più forte dell’uomo e sa come riprendersi e rinascere, e di questo non ho mai avuto dubbi. Proprio all’ingresso della Scala Vecchia, una giovane coppia di escursionisti si appresta a salire. Mi chiedono in inglese le difficoltà del percorso, gli rispondo che non avranno problemi. Ci congediamo con un sorriso, penso a loro, sono belli e so che sogneranno a occhi aperti, viva l’amore.

Con quest’ultima immagine romantica, concludiamo la nostra escursione. Il rientro è per le vie della città, dove ci attente una moltitudine di odori, suoni ed emozioni. Tutto ci distrae meravigliosamente, e oggi siamo coscienti e soddisfatti di aver conosciuto un altro aspetto della nostra amata montagna sacra.

Il forestiero Nomade.

Malfa


























































 

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