Costa di Carpineto da Piana degli Albanesi
Note tecniche. Nel territorio del comune
arbëreshë di Piana degli Albanesi si estende la Riserva
Naturale Orientata 'Serre della Pizzuta', che comprende i maestosi rilievi
calcarei di Maja e Pelavet (conosciuta come La montagna dei
cavalli - m 1279), delle Serre della Pizzuta (m 1333) e
della Costa di Carpineto (m 1188). Il complesso montuoso è costituito
da rilievi di origine carbonatica, formatisi durante il Giurassico inferiore
(circa 250 milioni di anni fa), soggetti a processi carsici superficiali e
sotterranei che, nei millenni, hanno determinato numerose creste e depressioni.
Localizzazione: Monti di Palermo-Riserva naturale orientata
Serre della Pizzuta
Regione: Sicilia
Avvicinamento: Partendo dal paese di Piana degli
Albanesi imbocchiamo un sentiero a monte del centro abitato, vicino
alla chiesetta della Madonna di Odigitria, che si inerpica lungo il versante
meridionale della riserva e conduce in località Portella del Garrone (quota
m. 1.144 s.l.m.).
Dislivello: 320 metri
Dislivello complessivo: 400 m.
Distanza percorsa in Km: 9
Quota minima partenza: 780 m.
Quota massima raggiunta: 1188 m.
Tempi di percorrenza escluse le soste:
In: solitaria
Tipologia Escursione: selvaggio-paesaggistica
Difficoltà: Escursionisti esperti abituati ad ambienti selvaggi.
Ferrata-
valutazione difficoltà:
Segnavia: Nessuno
Impegno fisico: medio
Preparazione tecnica: media
Attrezzature: no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
Cartografici: IGM Sicilia–
2) Bibliografici:
3) Internet:
Periodo consigliato:
Da evitare da farsi in:
Condizioni del sentiero: inesistente sulla cresta
Fonti d’acqua: no
Consigliati:
Data: 19 settembre 2020
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
La penultima escursione in terra di Sicilia è la Costa di
Carpineto, una cresta parecchio frastagliata e particolarmente esposta a nord-est.
Il rilievo, visto dal
lago di Piana degli Albanesi, si evince poco appariscente, esso è dominato per
bellezza e altezza dall’adiacente “La Pizzuta”.
La scarsa frequenza e la morfologia articolata sono state la
fonte della mia attrazione. Il percorso che effettuerò sarà breve, sia per
dislivello che per chilometraggio, con partenza direttamente dalla periferia
del comune di Piana degli Albanesi. Lasciata l’auto presso un complesso
residenziale, inizio la salita, tramite una vetusta carrareccia, resa
impraticabile sia dal passare del tempo che dalla scarsa manutenzione, essa
conduce alla Portella del Garrone (quota m. 1.144 s.l.m.). L’insellamento
separa il corpo della Pizzuta dalla cresta della Costa di Carpineto. Il tratto
iniziale di salita, anche se breve, è faticoso a causa della ripidezza, e la canicola
estiva di certo non aiuta.
Durante il cammino odo un vociare, e dopo pochi istanti mi
appaiono tre compari, escursionisti palermitani, che hanno appena visitato la
Grotta del Garrone. Instauriamo una breve conversazione, mi chiedono
informazioni su un'altra grotta, ma non sono edotto. Dopo un cordiale congedo
dai simpatici viaggiatori, proseguo, sono quasi in forcella che individuo degli
uomini a cavallo, indossano la tradizionale coppola, un’immagine bucolica che
richiama un’epoca passata.
Li seguo a distanza, e una volta raggiunta la sella, li scorgo appiedati
presso una casa rustica sita a pochi metri dalla forcella.
Il mio itinerario è a
destra, ma delle recinzioni non mi permettono di addentrarmi, allora mi calo di
alcune decine di metri, scorgendo, poco più in basso, un sentiero ben marcato con
un’apertura nella recinzione.
Una volta dentro la rete non seguo il sentiero (è un cammino per
pellegrini) ma mi inerpico per il ripido pendio, cercando di raggiungere il
punto dove la cresta di Costa di Carpineto si congiunge con la Portella del
Garrone. Infatti, è assai faticoso arrampicarsi sui ciuffi d’erba, ma non
mollo, finché, a ridosso di un traliccio in metallo, non mi trovo all’inizio
della cresta occidentale. Meraviglia! Grande respiro profondo, ora inizia il
bello! Mi guardo intorno e non scorgo nessuna traccia di passaggio, non ce ne
sono, davanti a me solo le elevazioni che compongono la cresta.
Inizio a percorrere il crinale, cerco, quando mi è possibile, di
rimanere sul filo di cresta e piroettare sui massi malagevoli. Il percorso è obbligato,
con direzione da occidente a oriente, non posso assolutamente errare. Un
bellissimo cielo terso, il paesaggio rupestre e l’aria settembrina mi donano vivacità.
All’inizio della cresta, il percorso, anche se articolato, non è
mai esposto, mi diletto nei brevi tratti di arrampicata che mai superano il
primo grado. La roccia, le zolle e i fasci
d’erba, questi elementi mi sono compagni, e il dovermi destreggiare senza tracce
di passaggio mi entusiasma. Provo un’emozione particolare, come se fossi il
primo uomo a scoprire questa montagna.
Dal primo rilievo raggiunto posso leggere gli altri che seguono,
comprendo che il proseguo sarà più arduo. La cresta inizia a essere affilata,
sul versante settentrionale cola a picco sugli strapiombanti baratri creati
dalle verticali pareti, e per assurdo che sia, l’azione è meno faticosa dell’avventurarsi
sul versante meridionale, che per quanto sia poco esposto è tanto ostacolato
dall’invadente vegetazione selvatica.
Cammino sul vuoto come un funambolo, per fortuna non soffro di
acrofobia, anzi, la percezione del vuoto mi avvince. Davvero infinita la gioia
che provo, metro dopo metro, passo dopo passo, roccia dopo roccia. Cammino sul filo immaginario e la sensazione
di libertà è infinita. I passaggi di arrampicata si susseguono ai brevi tratti
in piano, la roccia è calda, sicura, sincera, non infida come la dolomia. Essa
trattiene il mio peso, mi scalda, mi slaccia e mi da slancio. Venti e maltempi,
caldo e freddo, nei secoli, ne hanno creato la forgia e l’hanno resa
impraticabile. La montagna è compiacente solo con coloro che la sanno amare. E
io, oggi, l’amo, la sento, e da essa mi lascio penetrare, e dal suo spirito inebriare.
Sono silente e ispirato dai riflessi della pietra. La “Grande Signora” per
quanto temibile, oggi la sento protettiva.
Dalla quota dell’ultima elevazione guardo la seguente, dovrebbe
essere più alta, sembra impossibile d’abbordare, ma devo continuare. In alcuni
tratti mi calo sul versante meridionale, superando con arditi traversi le
verticali pareti. La roccia sicura e asciutta mi dà temerarietà. Obbligato
dalla vegetazione che si è spinta sino al limite supero di slancio i precipizi.
Una vera lotta, ma non demordo, e l’avvicinarsi della meta mi eccita e carica.
Continuo a non scorgere nessuna traccia di passaggio, nemmeno di
animali selvatici, è una cresta accessibile solo da chi volteggia, e la
sensazione che avverto è questa. Sto volando! Ancora altri passaggi di facile
arrampicata e di destreggiamento tra le frastagliate rocce, finché raggiungo il
vertice. Un ometto (l’unico che ho visto) mi avvisa che le fatiche sono state
premiate. Sono raggiante, estasiato. Il piccolo ometto è testimonianza visiva
che non sono stato il solo a osare; i sassi che lo ideano, adagiati uno sopra
l’altro, provano il senso di comunità degli spiriti liberi, e io in questo
attimo lo sono, ho meritato di esserne fregiato da codesta altissima
onorificenza. Mi lascio andare a un volo simulato con le braccia, provo
emozioni indescrivibili, da quassù mi sento un sovrano. Osservo lontano mentre
sto beato in piedi, non sono stanco ma sereno. Ho tanto amore dentro, e tanto
ne ho ricevuto dalla montagna. Come si può vivere senza amare e senza amore? Amare
prima se stessi, poi coloro che incontriamo, e tutto ciò non è innaturale. Io
amo e do l’anima a questi sassi misti a vegetazione, che comunemente noi tutti
chiamiamo montagna. Amo e voglio essere amato. In questo frangente, al seguito
e nello zaino ho un pupazzo di pezza, a cui ho dato un nome e un’anima, Jo
Malfa. Mi sorride, e mi par che sia vivo, spesso lo porto con me in montagna,
mi è fedele, forse ha un’anima, chissà?
Dalla vetta riesco a vedere in lontananza Palermo, patria e
città natia, circondata dalla Conca D’oro e dall’azzurro mare. Ogni montagna
che conosco non fa che aumentare questo mio desidero di solitudine,
evidentemente un anacoreta risiede in me. Per impegni presi in precedenza con
la famiglia, non continuerò per la cresta, ma rinvio l’esperienza al futuro. Mi
calo rapidamente per il ripido versante meridionale, puntando al sentiero che raggiungo
in basso. Purtroppo, questo fianco della montagna, poche settimane prima, è
stato afflitto da un incendio doloso. Raggiunto il sentiero (Cammino di Santa Rosalia)
lo percorro da oriente a occidente, ricongiungendomi al tratto che dalla
Forcella del Garrone mi riporta alla periferia di Piana degli Albanesi. Il viottolo
adombrato dalla bella pineta è un viaggio a ritroso nella terra di Piana che
ora profuma di salse e aromi culinari. La bella escursione come la vacanza
volge al termine, ho il cuore stracolmo di gioia, e tante idee per le prossime
escursioni, ma…Dopotutto, domani è un altro giorno! “(Rossella O’Hoara)”.
Il Forestiero Nomade.
Malfa
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