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martedì 3 ottobre 2017

Monte Sciara - Cuesta Spiolewit

 
Anello Monte Sciara 1686 m.  e Cuesta Spioleit 1687 m. dalla Val Preone.
Note tecniche.
Localizzazione: Prealpi Carniche
Avvicinamento: Pinzano al Tagliamento- Flagogna- -Anduins- Val D’Arzino-San Francesco- Sella Chiampon.
Dislivello: 927 m.
 Dislivello complessivo: 1030 m.
Distanza percorsa in Km: 13 Km.
Quota minima partenza: 760 m.
Quota massima raggiunta: 1687 m.
Tempi di percorrenza. 5, 5 ore escluse le soste.
In: Coppia.
 Tipologia Escursione:
Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif E.E.
Segnavia: CAI 826; 830.
Attrezzature: No.
Croce di vetta: Si (M. Sciara.)
Libro di vetta: Si ( Cuesta Spioleit).
Timbro di vetta: No.
Cartografia consigliata: Tab 028.
Periodo consigliato: Settembre-Ottobre.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato fino al monte Sciara Piccolo, la cresta non segnata e nessun ometto.
Fonti d’acqua: Nessuna.
Data: 21 settembre 2017.

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 
Nella Penultima escursione effettuata con il “giovanotto” Roberto nel magico mondo della Val Drap, si commentava sulle cime effettuate nel Friuli orientale,  a malincuore costatavamo che ne sono rimaste poche da fare,intendo di quelle accessibili al nostro livello di escursionismo. Tra le cime che ancora non conoscono la suola del nostro scarpone, una in particolare ci accomuna, la “Cuesta Spioliet”. Cima di modeste dimensioni, è la prosecuzione naturale della cresta che partendo dal lontano Valcalda a settentrione, procede a meridione per lo Sciara, fino a raggiungere la selvaggia vetta ( Cuesta Spioleit) che domina La Val Preone e il canale di Cuna.

Nei nostri progetti l’escursione era prevista per il tardo autunno, ma le recenti nevicate ci hanno consigliato di anticipare i propositi.

Giunge il giorno prefissato per l’escursione, ci diamo appuntamento nei pressi del ponte sul torrente Arzino, in località Flagogna. Come sempre arriviamo puntuali, alternando le auto, stavolta si va con la mia.

Si procede con l’automezzo lungo la valle dell’Arzino, risalendola, la giornata promette bene, cielo terso, temperatura freddina. Superata la località di San Francesco, quasi pregustiamo l’arrivo nella Val di Preone, ma il diavolo ci mette la coda. 

Nella località Costa Corona, proprio a un centinaio di metri dal bivio per la val Preone, all’interno della prima galleria notiamo un tir fermo. Scendiamo dall’auto, per capire l’accaduto, notiamo da subito il conducente che brancola per le gomme del grande automezzo. Cavolo, il mastodontico autotreno è rimasto incastrato nell’arco della galleria. Non può logicamente procedere avanti, ancora peggio, indietro. Cerco di comunicare con il conduttore, è Sloveno, non ci capisco un “acca “di quello che dice, ma ne intuisco il contenuto. In sintesi, l’autocarro si è incastrato da ore, e l’omino aspetta l’arrivo dei pompieri e della polizia, e nel frattempo sgonfia le gomme dell’autoarticolato. Fatti i calcoli, occorrono almeno tre ore prima di sgomberare la galleria. Rassegnati, retromarcia e a ritroso procediamo per l’itinerario percorso all’andata; raggiunta Flagogna, effettuiamo un lunghissimo giro, passando per Cornino, Interneppo, Cavazzo carnico, fino a raggiungere Verzegnis e la Sella Chianzutan, per poi calarci nella Val Preone, sperando di non trovare altri intoppi.

In sintesi abbiamo allungato di almeno un’ora l’arrivo a sella Chiampon, da dove dovremmo partire per l’escursione. Confermati i tempi di percorrenza, e raggiunta la località di partenza, ci approntiamo per l’escursione.

 Notiamo intorno al parcheggio strani movimenti, un gruppo (forse cacciatori) ha sostato di notte nella località, dormendo in tenda e nelle amache; li troviamo intenti a lavarsi nel greto del torrente.

Finalmente, messi gli scarponi, deambuliamo, direzione casera Teglara; inizialmente per la comoda e tediosa strada forestale segnata CAI  826.

 Lungo il percorso, adombrato dai faggi troviamo una squadra addetta alla manutenzione, e che manutenzione! Roberto, fecondo di freddure, tale da fare invidia agli inglesi, commenta a voce alta: <<Quanta cura, che perizia, ma chi deve passare la Regina d’Inghilterra?>>. Sorrido, effettivamente anch’io penso che deve passare un’autorità, gli rispondo ironicamente, che siamo noi le celebrità, e quindi si sono premurati a renderci più gradito il cammino. Dimenticavo, Magritte oggi fa parte del mazzo, e visto che le vipere sono rintanate, lo lascio libero da guinzaglio. Il fido e Roberto solidarizzano, cosa rara per Magritte, che ha un caratterino permaloso.

Giunti fuori dal noiosissimo bosco di faggi, per altro adibito per far legna, raggiungiamo l’ampia radura che precede casera Teglara. Il paesaggio cambia colori, Roberto e io, amiamo gli spazi aperti e la luce, soprattutto questo paesaggio che  trasporta nell’infinito. Percorriamo la bella carrareccia fino alla casera, notiamo che ha un colore bislacco, un rosso simile al segno usato dal CAI. Dentro l’edificio tutto è in ordine e in ottimo stato, compreso di libro di via, ne sono felice, finalmente la casera ha ripreso l’aspetto che merita, vista la felice posizione. Stazioniamo poco, il tempo di far bere Magritte e consumare un Mars, stavolta anche Roberto si è munito del noto energetico, e da buoni camerati, effettuiamo uno scambio.

Come si suole dire tra spiriti liberi o amanti della montagna: << adesso viene il bello!>>

Davanti a noi, tanta luce e il piano inclinato dell’ampia conca dello Sciara, a occhio nudo si vedono i sentieri che a breve percorreremo con gioia. Di tanto in tanto, Roberto chiama Magritte, e il fido scodinzola, i due sembrano amici di vecchia data.

Raggiungiamo la prima cresta, decorata di massi, strapiombante vertiginosamente sulla Val Tramontina, essa m’invita a lanciarmi nel vuoto, liberando le ali per volteggiare meglio degli aquiloni.

È difficile opporsi a tale lirica esaltata dai colori, invito l’amico a fotografarmi su una rupe. Chiudo gli occhi, sento le braccia librarsi, e le piume venir fuori dai pori, voglio volare, battere le ali e sposarmi con l’azzurro…

Proseguiamo per cresta, l’adoro, raggiugendo la piccola croce posta in una posizione insignificante, ne ignoriamo il motivo. La cima più alta e oltre l’ante-cima che ancora dobbiamo raggiungere, quindi superato il piccolo simbolo religioso, andiamo avanti, destreggiandoci tra i mughi. Il sentiero cambia denominazione, e si fa per esperti, sicuramente da percorrere con meteo propizio e terreno non insidioso. Dimenticavo, ci stiamo orientando ad occhio, tengo la mappa nello zaino, e non ho letto nessuna relazione; Roberto ne ha studiata una, ma con l’itinerario effettuato al contrario del nostro senso di percorrenza e da un ben nutrito gruppo di escursionisti, se non ricordo male diciotto, un vero plotone, quindi speriamo di trovare le tracce e soprattutto gli ometti. Il percorso di cresta, come scritto in precedenza è per esperti, perché percorre un terreno esposto a meridione, mentre a settentrione è reso impraticabile da una fitta mugheta. Ci aspettano passaggi delicati, che ben presto troviamo.

Dopo aver raggiunto Il monte Sciara Grande, alto metri 1686 (ometto e niente libro di vetta), ci avviamo per il vero obiettivo, la Cuesta Spioleit, più alta di un metro. Ignoriamo quello che ci attende, dietro ogni dorso temiamo un salto, percorriamo l’affilata crestina finché raggiungiamo delle rocce esposte a meridione (passaggio di primo grado). Superato l’ostacolo ci dedichiamo al “su e giù” per cimette, affiancati a settentrione dai santi mughi. Percepiamo la meta, gli ultimi passi sono emozionanti, un breve tratto tra le roccette ed ecco la vetta.

Sembra di percorrere il dorso di una balena, fino a raggiungere lo spruzzo (l’ometto), il ben conosciuto e sospirato simbolo della vittoria. Sul Col Manzon o il K2, due sassi li trovi sempre, a simboleggiare che si può essere Maestà ovunque, basta crederci. Tra i ciotoli del nobile ometto, ben protetto, scopriamo un barattolo di vetro, con dentro rinchiusi dei fogli di carta e uno scarno lapis. Lo apro, scoprendo che l’unico e ultimo avventore è stato un certo Luciano, ha raggiunto la cima quattro mesi prima, e sicuramente ha messo lui il barattolo. I nostri propositi erano quelli di collocare il nostro libro di vetta se la cima ne fosse stata sprovvista, rimandiamo tali propositi ad altra cima. Apportata la nostra presenza sui foglietti, chiudo il barattolo, munendolo di un pennarello. Fatti i video, il servizio fotografico, decidiamo di rinviare l’ora del pasto a forcella raggiunta (Forchia Bassa). In teoria, e ascoltando il buon Roberto, le difficoltà sono finite, naturalmente la teoria non sempre è devota alla realtà. Iniziamo il primo tratto, ben consci di aver intuito che il percorso va eseguito come lo stiamo compiendo, evitando il ripido pendio erboso, che sicuramente ha udito negli anni passati le imprecazioni degli escursionisti.

Raggiunta la base del ripido pendio erboso, duecento metri in basso alla vetta, inizia il ravanamento ad oltranza, difatti la cresta fino alla forcella è impraticabile, almeno che non si sappia volare, quindi entriamo nel boschetto di faggi e con intuito ed esperienza, rasentiamo la cresta, perdendo rapidamente quota. L’intuizione e la logica danno i loro frutti. Trovo qualcosa che somiglia a una traccia, Magritte rimane sbalordito dal nostro fiuto, obliando che si trova davanti a due escursionisti, che con l’andare da soli per monti, hanno affinato fiuto e vista.

Mi rendo conto in questi frangenti, cosa mi hanno dato 14 anni di escursionismo solitario; scruto il minimo rilievo, scindendo quelli naturali da quelli creati dal passo dell’uomo, ispezionando oltre le fronde, leggendo i sassi, che segnano le vie o il nulla. Con Roberto c’è una gara, a chi scova per prima l’indizio, in breve grazie alla nostra perizia, raggiungiamo la sospirata forcella, e nel frattempo abbiamo costruito degli ometti, dando il buon esempio! C’è tanta amarezza in quello che scrivo, ne convengo, sono deluso da coloro che vanno in montagna pensando solo all’ego, non costruendo ometti e scrivendo delle relazioni con svariati omissis. Questo illudersi di essere i soli in possesso della “pietra filosofale”, mi rattrista. Quest’infelice riflessione mi ha accompagnato fino in forcella, i raggi del sole hanno attenuato la tristezza, ho tenuto tutto per me, non voglio spegnere il sorriso sul volto di Roberto. Scaldandoci con la luce dorata, finalmente ci concediamo la meritata sosta. Distesi sul prato, tiriamo fuori dallo zaino le cibarie, un lasso di tempo così rilassante che mi ricorda un noto dipinto impressionista” Colazione sull’erba (Le déjeuner sur l’herbe) olio su tela del pittore francese Édouard Manet”.

 Finita la sosta, si riprende il cammino, dalla forcella miriamo a Nord-Ovest, seguendo degli evidenti segni giallo-rossi. Percorriamo la lunga diagonale che taglia il versante settentrionale della Cuesta Spioleit. Il sentiero è ben battuto fino ai ruderi della casera Cueston, dopo troviamo seri problemi di orientamento. La traccia, perduta e ritrovata, supera il Rio Teglara, sparendo metri dopo, poco primo di un tratto franato. Piuttosto che avventurarci, ci caliamo nel ripido bosco, mirando a valle e cercando i passaggi migliori. Raggiunta una forcelletta tra due canaloni, superiamo un dorso, che ci permette di aggirare un salto; dall’alto avvistiamo la vecchia carrareccia, la raggiungiamo, percorrendola a ritroso fino a intersecare il sentiero dell’andata.

Fatta! Siamo sani e salvi, e la chiamata al Soccorso Alpino, anche questa volta è scongiurata. Con i tempi ci siamo, abbiamo ancora ore di luce. Dopo pochi tornanti siamo al punto di partenza, scherziamo, speriamo di non trovare il tir sloveno ancora incastrato nella galleria.

Per fortuna scendendo per la Val d’Arzino, del “bisonte della strada” nessuna traccia. Prima di congedarci con l’amico Roberto, beviamo qualcosa in un locale gestito da amici, nella bella località di Anduins. Ultimi momenti di buon umore, scoprendo che tutti sapevano del tir incastrato, tranne noi! Ci ridiamo su, salutiamo i simpatici gestori del locale, raggiugendo il luogo dell’appuntamento mattutino. Un forte abbraccio fraterno sigilla la bella giornata, scrivendo la parola fine, sulla pagina dell’escursione “Cresta della Cuesta Spioleit”.

Il “forestiero Nomade”.

Malfa.























































































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