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martedì 3 ottobre 2017

Monte Cornetto


Monte Cornetto 1792 m. da San. Martino(Erto)

Note tecniche.  Dolomiti D’Oltrepiave

Localizzazione: Alpi Orientali-Prealpi Venete. Gruppo del Col Nudo –Cavallo.



Avvicinamento: Montereale di Val Cellino-Barcis-Cimolais- Passo di Sant'Osvaldo. In direzione Erto per circa 2 km, sulla sinistra l’imbocco di una stradicciola secondaria con indicazioni per la località Pineda. (m 762, piccolo spiazzo per il parcheggio).

Dislivello: 1030 m.

 Dislivello complessivo: 1063 m.

Distanza percorsa in Km: 8 chilometri.

Quota minima partenza: 762 m.

Quota massima raggiunta: 1792 m.

Tempi di percorrenza. 5 ore escluse le soste.

In: Coppia

 Tipologia Escursione: Escursionistica.

Difficoltà: https://www.vienormali.it/images/layout/dif-EE.gif Escursionistiche.

Segnavia: CAI 903.

Attrezzature: No.

Croce di vetta: No.

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tab 021

Periodo consigliato: maggio -novembre

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato

Fonti d’acqua: Si, in alta quota (fontana).

Data: 28 settembre 2017




Racconto.

Da tempo non vagavo per le cime che circondano la valle del Vajont, essa, bella e triste, è ricca di luoghi da esplorare, svelando con parsimonia i suoi segreti al curioso viandante. Tra le montagne che circondano la valle, una mi è sconosciuta “il monte Cornetto”, nome che leggo da tempo nelle relazioni di amici escursionisti. Questa cima l’ho lasciata per ultima, il suo aspetto non mi ha mai colpito, ne esercitato alcun richiamo. Il monte mi è sempre apparso cupo, coperto da tutti i versanti da un fitto bosco.

Recentemente, visionando le mappe della zona, mi è venuta l’idea di porre fine ai pregiudizi che nutro nei confronti del Monte Cornetto. Convinto, e con decisione, ho puntato il dito sulla mappa, indicando la quota più alta della cima, esclamando: <<Cornetto, è giunta la tua ora, sarai mio!>>.

Volendo condividere la conquista, chiamo l’amico Roberto, che acconsente a farmi da compagno di ventura. Ultimamente sfruttiamo le belle giornate per le uscite, questa volta tocca al giovedì, quindi come sempre ci incontriamo con l’amico, alle prime ore del mattino, avviandoci per la valle del Vajont.

Poco prima di Cimolais, ci fermiamo ad ammirare le regine delle dolomiti d’Oltrepiave, illuminate da una luce rossa-arancio, il cielo è terso, intuiamo che sarà un’escursione baciata dal sole. Superato il passo di Sant’Osvaldo ci accoglie una densa nebbia, dovremmo lasciare l’auto poco dopo il valico. Percorriamo la stradina che dalla statale porta alla località Pineda, ci spingiamo oltre la naturale partenza del sentiero, ritorniamo indietro, nel frattempo incrociamo un ragazzo in bici che rincontreremo. Ripresa la statale, ci fermiamo presso la località San Martino, chiedendo indicazioni allo stesso giovanotto in bici incontrato in precedenza. Il giovane ci rende edotti da dove parte l’escursione: eravamo passati dal punto di partenza del sentiero, ma a causa della nebbia non lo abbiamo rilevato. Inoltre il ragazzo vedendo il colore dei nostri capelli e la veneranda età, ci avverte che il sentiero è molto ripido, facendoci intuire che siamo ancora in tempo a cambiare meta per una meno impegnativa. Sorrido, e immagino cosa sta pensando il buon Roberto, il suo volto ha espresso una smorfia strana, tipo un ghigno, Magritte, dal canto suo, sghignazza.

Ritornati indietro, abbandoniamo l’auto sul ciglio della statale, pronti a percorrere la stradina che ci porta all’inizio sentiero. Il piccolo manipolo si muove per la nuova avventura. Superato il ponticello sul torrente Tuara, sulla sinistra della piccola stradina vediamo la scalinata in cemento e dei cartelli che indicano l’inizio sentiero, vediamo naturalmente è un eufemismo, perché la nebbia avvolge tutto. Vaghiamo come fantasmi nelle ombre.  Saliamo gli scalini e percorriamo l’obliquo viottolo fino alla cappella votiva di Sant’Antonio.  Una serie di cartelli inchiodati su un tronco d’albero ci avverte che il sentiero 903  che attraversa la forra del Vajont è inagibile. Fatto un consulto con Roberto, non abbiamo dubbi, non vogliamo correre inutili rischi, quindi procediamo per il sentiero a sinistra numerato 901.

La traccia sin da subito è ripidissima, ma ben marcata e segnata, essa, risale il ripido costone coperto di fitto bosco. Il vecchio troi di tanto in tanto si affaccia sulla Valle del Vajont, rivelando le sue meraviglie; in particolare la piramide del monte Toc, sul cui versante occidentale sanguina ancora la ferita inflitta dall’orribile frana.

Dei cartelli con indicazioni, incisi a mano, sono in bella mostra sui faggi, creando un’atmosfera onirica. Passando per i ruderi, ammiriamo la bella roccia dall’aspetto vissuto, ci divertiamo, scoprendo la mirabile bellezza che il viaggio ci dona.

Vista la ripidezza del percorso, ci sembra di guadagnare velocemente quota, tanto da far esclamare a Roberto: <<Cosa farò, una volta raggiunta la vetta?>>. Ma è un’illusione, ci fermiamo per una pausa, assumendo il nostro, ormai classico, cibo energetico, che tanto vigore ci ha dato nelle ultime escursioni.

Durante la sosta, con ironia, commentiamo il consiglio del ragazzo, incontrato sulla statale, effettivamente ci ha visto anzianotti, rispetto a lui di sicuro lo siamo. Rido, perché Roberto avrebbe voluto rispondergli: <<Non sai con chi hai a che fare, questi dislivelli li facciamo senza patemi!>> Ma, allo stesso tempo ammiriamo il ragazzo, per le premure avute per i due anziani sconosciuti.

Ripreso il cammino, con vigore, entriamo in un tratto di bosco dove i faggi si diradano, coprendo con le loro fronde il cielo. I vecchi fusti hanno un aspetto vissuto, raccontano storie di uomini e di fatica. Intuisco che stiamo aggirando il monte, portandoci verso la valle di Cimolais. Il bosco ci guida attraverso le cortecce e i radi ometti. Il sentiero, dopo un tratto quasi in falso piano riprende la sua scoscesità, diventando assai ripido. Un lungo traverso per traccia esposta percorre il versante settentrionale, con passaggi infidi, aggettanti sui ripidi canaloni. Intravediamo sopra di noi la cresta, che appare sempre più vicina.

 In lontananza, a oriente, raggi di sole accendono il verde delle fronde, stiamo uscendo dal bosco, questo ci da energia. Sbuchiamo sul versante orientale, nel bellissimo prato che circonda la casera Monte Cornetto. Passiamo vicino ai ruderi della vecchia stalla, lambendo una fonte in disuso. Rimandiamo a dopo la visita al bivacco, la nostra meta è ben visibile, un ripido pendio porta alla vegetazione che copre la cresta della cima, ma seguiamo la traccia, che continua a meridione.

Il bel sentiero, tagliando il pascolo si inoltra nel boschetto, assumendo le fattezze di una mulattiera, e comparendo a meridione nel bellissimo pendio erboso del Pian di Grant.

Percorriamo per prati l’insellamento posto a sud della cima del Cornetto, qualcosa, come un paletto, attira la nostra attenzione, e con l’avvicinarsi prende la forma di una fontana, e che fontana! La fonte è splendida, da essa sgorga come per magia acqua fresca. Incisa su una targa leggiamo la profonda frase del poeta P.P. Pasolini. Alla fonte ci dissetiamo, noi, compreso Magritte, siamo incantati dalla bellezza del luogo. 

Procediamo per la cima, non abbiamo dubbi che sia il rilievo a settentrione della fontana, avanziamo a zig zag, mirando alla cresta.

Durante la faticosa salita rifletto: con Roberto abbiamo tanti punti in comune, tra cui quello di non leggere le relazioni in modo approfondito, limitandoci a conoscere da dove si parte, e quanto è alta la cima, portandoci al seguito una semplice mappa. Il motivo di tale comportamento? Semplice! Ci piace scoprire da soli i territori, sperando che siano ricchi di emozioni. Questo atto può comportare qualche indecisione o errore, ma spesso, ne aumenta l’intensità delle emozioni.

Dalla fontana procediamo a occhio verso la vegetazione della cresta, non ci sono segni o tracce. Raggiunto il crinale, proseguiamo a sinistra tra gli ornielli e i faggi, fino a sbucare sulla bella e inerbita vetta, materializzata da una piastrina in metallo (goniometrica), saldata a un masso. Zaini a terra, ci concediamo alla venerazione del paesaggio, adorando le cime, tra cui il vicino Zerten che esercita un forte richiamo sull’amico Roberto.

Da questo bellissimo pulpito, spaziamo su tutto il fronte dolomitico, la giornata tersa ne amplifica lo splendore; ci divertiamo a citare i nomi dei monti riconosciuti, sono tanti, infiniti, e alcuni percorsi di recente. La sosta è lunga, non abbiamo fretta, consumiamo il pasto, ammiriamo il posto, scherziamo. Magritte, si concede il proverbiale pisolino di vetta, vegliando (nel sonno) sugli zaini.

Finito l’oblio sulla cima, prendiamo la via del ritorno, dirigendoci a ritroso verso la Casera del Monte Cornetto. Giunto davanti all’antico edificio, entro nel suo interno, aprendo imposte, così dando luce all’ambiente. Rimango incantato, è tutto in ottimo stato, scrivo sul libro di via. Scrutiamo i particolari, su una mensola trovo due libri, ne leggo i titoli, uno lo conosco bene, lo tengo nella mia collezione di libri sulla montagna Aspro e Dolce”, l’autore è Mauro Corona, l’artista folletto della Valle del Vajont.

 Mi congedo dalla casera chiudendo meticolosamente le ante, e sostando presso un rustico tavolo con panche, posto all’esterno. Mi lascio baciare dal Dio Sole, Roberto ispeziona il luogo, siamo entrambi rapiti dalla pace che emana questo luogo. Il tempo scorre lentamente, e ne cogliamo l’armonia, come il battere dei secondi delle lancette di un orologio. Siamo in un’altra dimensione, e la viviamo passionalmente.

Con tranquillità avviene il risveglio, si riprende il cammino, ci aspetta il ritorno. Vista la ripidità del monte, la discesa è veloce, in un’ora e mezza siamo in auto, ma la gita continua.

Tolti gli scarponi, e datoci un aspetto dignitoso, ci avviamo con l’auto, verso l’antico borgo di Erto; alla ricerca di ulteriori emozioni, e per poter osservare i monti da un altro punto di vista. Lasciata l’auto in uno spiazzo percorriamo a piedi i vicoli, leggendo sui vecchi muri la storia dei suoi abitanti. Un Ertano intento a spazzare fuori dal suo uscio con una vecchia scopa di paglia, attira la nostra attenzione. Ci avviciniamo, salutiamo, istaurando una piacevole conversazione.

Mentre discorriamo, mi osservo intorno: l’angolo del vicolo ha un suo vissuto, le pietre non vogliono morire, oggetti antichi non più utilizzati sono appesi a vecchi chiodi, è un museo del tempo che fu. Ci accomiatiamo dall’uomo, gentile e dagli occhi blu, bello come la gente della valle, che non appartiene a nessuna razza o nazione. Non sono veneti, ne friulani o italiani… E’ gente di montagna, libera, senza catene ideologiche e aperti ai forestieri, perché un tempo anche loro lo furono. Uomini e donne tosti, dai lineamenti duri come la roccia, imponenti come gli abeti bianchi, regali come i larici.

Ripercorriamo i vicoli, ammirando davanti agli usci le composizioni floreali, o le porte aperte, di chi non teme il viandante.

 Cerchiamo un bar che troviamo solo nella parte moderna del paese, ricostruito in cemento armato. Lasciamo l’auto davanti all’atelier del folletto dalla bandana nera. Osservo le belle sculture lignee poste all’esterno, nudi che esprimono un intenso richiamo erotico. La luce è accesa all’interno dello studio, incuriosito scruto, con sguardo quasi furtivo, attraverso i vetri, che rimandano riflessi, verifico se c’è qualcuno all’interno, ma trovo solo il suo spirito. Tanti oggetti, libri accatastati alla rinfusa. lo spirito di chi vive in questo luogo è di un artista, poeta, scrittore, alpinista, lo testimoniano i chiodi e le corde adagiate sul suolo, o il casco, color rosso, poggiato su un tronco. Su un volume riconosco il volto di Emile Zola, la dice lunga sull’amore letterario dello spirito libero.

Ci avviamo al vicino bar, all’esterno, seduto a uno dei tavolini riconosciamo di spalle il folletto di Erto, in compagnia di amici. Ci accomodiamo ad un tavolino, da dove poter osservare bene i monti della valle. Con Roberto commentiamo l’escursione appena conclusa, pensando alle prossime. Entrambi udiamo una voce provenire dai monti, è un chiaro richiamo, ma non è per me, sorrido, anche Roberto sorride, sa cosa deve fare. La notevolissima giornata volge al termine, ci alziamo dal tavolo, passando davanti al poeta dei monti intento a bere una birra. Un ultimo sguardo al monte Cornetto, ai suoi colori autunnali, è tempo di lasciare la valle al suo divenire, noi, a malincuore rientriamo nel quotidiano.

Il “Forestiero Nomade”
Malfa.                                                           




























































































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