Monte
Cornetto 1792 m. da San. Martino(Erto)
Note
tecniche. Dolomiti D’Oltrepiave
Localizzazione:
Alpi Orientali-Prealpi Venete. Gruppo del Col Nudo –Cavallo.
Avvicinamento:
Montereale di Val Cellino-Barcis-Cimolais- Passo di Sant'Osvaldo. In direzione
Erto per circa 2 km, sulla sinistra l’imbocco di una stradicciola secondaria
con indicazioni per la località Pineda. (m 762, piccolo spiazzo per il
parcheggio).
Dislivello: 1030
m.
Dislivello complessivo: 1063 m.
Distanza
percorsa in Km: 8 chilometri.
Quota minima
partenza: 762 m.
Quota
massima raggiunta: 1792 m.
Tempi di
percorrenza. 5 ore escluse le soste.
In: Coppia
Tipologia Escursione: Escursionistica.
Difficoltà: Escursionistiche.
Segnavia: CAI
903.
Attrezzature:
No.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 021
Periodo
consigliato: maggio -novembre
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato
Fonti
d’acqua: Si, in alta quota (fontana).
Data: 28
settembre 2017
Racconto.
Da tempo non
vagavo per le cime che circondano la valle del Vajont, essa, bella e triste, è ricca
di luoghi da esplorare, svelando con parsimonia i suoi segreti al curioso viandante.
Tra le montagne che circondano la valle, una mi è sconosciuta “il monte
Cornetto”, nome che leggo da tempo nelle relazioni di amici escursionisti.
Questa cima l’ho lasciata per ultima, il suo aspetto non mi ha mai colpito, ne
esercitato alcun richiamo. Il monte mi è sempre apparso cupo, coperto da tutti i
versanti da un fitto bosco.
Recentemente,
visionando le mappe della zona, mi è venuta l’idea di porre fine ai pregiudizi
che nutro nei confronti del Monte Cornetto. Convinto, e con decisione, ho
puntato il dito sulla mappa, indicando la quota più alta della cima,
esclamando: <<Cornetto, è giunta la tua ora, sarai mio!>>.
Volendo
condividere la conquista, chiamo l’amico Roberto, che acconsente a farmi da
compagno di ventura. Ultimamente sfruttiamo le belle giornate per le uscite, questa
volta tocca al giovedì, quindi come sempre ci incontriamo con l’amico, alle
prime ore del mattino, avviandoci per la valle del Vajont.
Poco prima
di Cimolais, ci fermiamo ad ammirare le regine delle dolomiti d’Oltrepiave,
illuminate da una luce rossa-arancio, il cielo è terso, intuiamo che sarà
un’escursione baciata dal sole. Superato il passo di Sant’Osvaldo ci accoglie
una densa nebbia, dovremmo lasciare l’auto poco dopo il valico. Percorriamo la
stradina che dalla statale porta alla località Pineda, ci spingiamo oltre la
naturale partenza del sentiero, ritorniamo indietro, nel frattempo incrociamo
un ragazzo in bici che rincontreremo. Ripresa la statale, ci fermiamo presso la
località San Martino, chiedendo indicazioni allo stesso giovanotto in bici
incontrato in precedenza. Il giovane ci rende edotti da dove parte
l’escursione: eravamo passati dal punto di partenza del sentiero, ma a causa
della nebbia non lo abbiamo rilevato. Inoltre il ragazzo vedendo il colore dei
nostri capelli e la veneranda età, ci avverte che il sentiero è molto ripido,
facendoci intuire che siamo ancora in tempo a cambiare meta per una meno
impegnativa. Sorrido, e immagino cosa sta pensando il buon Roberto, il suo
volto ha espresso una smorfia strana, tipo un ghigno, Magritte, dal canto suo,
sghignazza.
Ritornati
indietro, abbandoniamo l’auto sul ciglio della statale, pronti a percorrere la
stradina che ci porta all’inizio sentiero. Il piccolo manipolo si muove per la
nuova avventura. Superato il ponticello sul torrente Tuara, sulla sinistra
della piccola stradina vediamo la scalinata in cemento e dei cartelli che
indicano l’inizio sentiero, vediamo naturalmente è un eufemismo, perché la
nebbia avvolge tutto. Vaghiamo come fantasmi nelle ombre. Saliamo gli scalini e percorriamo l’obliquo
viottolo fino alla cappella votiva di Sant’Antonio. Una serie di cartelli inchiodati su un tronco
d’albero ci avverte che il sentiero 903 che attraversa la forra del Vajont è
inagibile. Fatto un consulto con Roberto, non abbiamo dubbi, non vogliamo
correre inutili rischi, quindi procediamo per il sentiero a sinistra numerato
901.
La traccia
sin da subito è ripidissima, ma ben marcata e segnata, essa, risale il ripido
costone coperto di fitto bosco. Il vecchio troi di tanto in tanto si affaccia
sulla Valle del Vajont, rivelando le sue meraviglie; in particolare la piramide
del monte Toc, sul cui versante occidentale sanguina ancora la ferita inflitta
dall’orribile frana.
Dei cartelli
con indicazioni, incisi a mano, sono in bella mostra sui faggi, creando un’atmosfera
onirica. Passando per i ruderi, ammiriamo la bella roccia dall’aspetto vissuto,
ci divertiamo, scoprendo la mirabile bellezza che il viaggio ci dona.
Vista la
ripidezza del percorso, ci sembra di guadagnare velocemente quota, tanto da far
esclamare a Roberto: <<Cosa farò, una volta raggiunta la vetta?>>.
Ma è un’illusione, ci fermiamo per una pausa, assumendo il nostro, ormai
classico, cibo energetico, che tanto vigore ci ha dato nelle ultime escursioni.
Durante la
sosta, con ironia, commentiamo il consiglio del ragazzo, incontrato sulla
statale, effettivamente ci ha visto anzianotti, rispetto a lui di sicuro lo
siamo. Rido, perché Roberto avrebbe voluto rispondergli: <<Non sai con
chi hai a che fare, questi dislivelli li facciamo senza patemi!>> Ma, allo
stesso tempo ammiriamo il ragazzo, per le premure avute per i due anziani sconosciuti.
Ripreso il
cammino, con vigore, entriamo in un tratto di bosco dove i faggi si diradano,
coprendo con le loro fronde il cielo. I vecchi fusti hanno un aspetto vissuto,
raccontano storie di uomini e di fatica. Intuisco che stiamo aggirando il
monte, portandoci verso la valle di Cimolais. Il bosco ci guida attraverso le cortecce
e i radi ometti. Il sentiero, dopo un tratto quasi in falso piano riprende la
sua scoscesità, diventando assai ripido. Un lungo traverso per traccia esposta
percorre il versante settentrionale, con passaggi infidi, aggettanti sui ripidi
canaloni. Intravediamo sopra di noi la cresta, che appare sempre più vicina.
In lontananza, a oriente, raggi di sole accendono
il verde delle fronde, stiamo uscendo dal bosco, questo ci da energia. Sbuchiamo
sul versante orientale, nel bellissimo prato che circonda la casera Monte Cornetto.
Passiamo vicino ai ruderi della vecchia stalla, lambendo una fonte in disuso.
Rimandiamo a dopo la visita al bivacco, la nostra meta è ben visibile, un
ripido pendio porta alla vegetazione che copre la cresta della cima, ma
seguiamo la traccia, che continua a meridione.
Il bel
sentiero, tagliando il pascolo si inoltra nel boschetto, assumendo le fattezze
di una mulattiera, e comparendo a meridione nel bellissimo pendio erboso del Pian
di Grant.
Percorriamo
per prati l’insellamento posto a sud della cima del Cornetto, qualcosa, come un
paletto, attira la nostra attenzione, e con l’avvicinarsi prende la forma di una
fontana, e che fontana! La fonte è splendida, da essa sgorga come per magia
acqua fresca. Incisa su una targa leggiamo la profonda frase del poeta P.P.
Pasolini. Alla fonte ci dissetiamo, noi, compreso Magritte, siamo incantati dalla
bellezza del luogo.
Procediamo
per la cima, non abbiamo dubbi che sia il rilievo a settentrione della fontana,
avanziamo a zig zag, mirando alla cresta.
Durante la
faticosa salita rifletto: con Roberto abbiamo tanti punti in comune, tra cui quello
di non leggere le relazioni in modo approfondito, limitandoci a conoscere da
dove si parte, e quanto è alta la cima, portandoci al seguito una semplice
mappa. Il motivo di tale comportamento? Semplice! Ci piace scoprire da soli i
territori, sperando che siano ricchi di emozioni. Questo atto può comportare
qualche indecisione o errore, ma spesso, ne aumenta l’intensità delle emozioni.
Dalla
fontana procediamo a occhio verso la vegetazione della cresta, non ci sono
segni o tracce. Raggiunto il crinale, proseguiamo a sinistra tra gli ornielli e
i faggi, fino a sbucare sulla bella e inerbita vetta, materializzata da una
piastrina in metallo (goniometrica), saldata a un masso. Zaini a terra, ci
concediamo alla venerazione del paesaggio, adorando le cime, tra cui il vicino
Zerten che esercita un forte richiamo sull’amico Roberto.
Da questo
bellissimo pulpito, spaziamo su tutto il fronte dolomitico, la giornata tersa
ne amplifica lo splendore; ci divertiamo a citare i nomi dei monti
riconosciuti, sono tanti, infiniti, e alcuni percorsi di recente. La sosta è
lunga, non abbiamo fretta, consumiamo il pasto, ammiriamo il posto, scherziamo.
Magritte, si concede il proverbiale pisolino di vetta, vegliando (nel sonno) sugli
zaini.
Finito
l’oblio sulla cima, prendiamo la via del ritorno, dirigendoci a ritroso verso
la Casera del Monte Cornetto. Giunto davanti all’antico edificio, entro nel suo
interno, aprendo imposte, così dando luce all’ambiente. Rimango incantato, è
tutto in ottimo stato, scrivo sul libro di via. Scrutiamo i particolari, su una
mensola trovo due libri, ne leggo i titoli, uno lo conosco bene, lo tengo nella
mia collezione di libri sulla montagna Aspro e Dolce”, l’autore è Mauro Corona,
l’artista folletto della Valle del Vajont.
Mi congedo dalla casera chiudendo
meticolosamente le ante, e sostando presso un rustico tavolo con panche, posto
all’esterno. Mi lascio baciare dal Dio Sole, Roberto ispeziona il luogo, siamo
entrambi rapiti dalla pace che emana questo luogo. Il tempo scorre lentamente,
e ne cogliamo l’armonia, come il battere dei secondi delle lancette di un
orologio. Siamo in un’altra dimensione, e la viviamo passionalmente.
Con
tranquillità avviene il risveglio, si riprende il cammino, ci aspetta il
ritorno. Vista la ripidità del monte, la discesa è veloce, in un’ora e mezza
siamo in auto, ma la gita continua.
Tolti gli
scarponi, e datoci un aspetto dignitoso, ci avviamo con l’auto, verso l’antico
borgo di Erto; alla ricerca di ulteriori emozioni, e per poter osservare i
monti da un altro punto di vista. Lasciata l’auto in uno spiazzo percorriamo a
piedi i vicoli, leggendo sui vecchi muri la storia dei suoi abitanti. Un Ertano
intento a spazzare fuori dal suo uscio con una vecchia scopa di paglia, attira
la nostra attenzione. Ci avviciniamo, salutiamo, istaurando una piacevole
conversazione.
Mentre discorriamo,
mi osservo intorno: l’angolo del vicolo ha un suo vissuto, le pietre non
vogliono morire, oggetti antichi non più utilizzati sono appesi a vecchi
chiodi, è un museo del tempo che fu. Ci accomiatiamo dall’uomo, gentile e dagli
occhi blu, bello come la gente della valle, che non appartiene a nessuna razza
o nazione. Non sono veneti, ne friulani o italiani… E’ gente di montagna,
libera, senza catene ideologiche e aperti ai forestieri, perché un tempo anche
loro lo furono. Uomini e donne tosti, dai lineamenti duri come la roccia,
imponenti come gli abeti bianchi, regali come i larici.
Ripercorriamo
i vicoli, ammirando davanti agli usci le composizioni floreali, o le porte
aperte, di chi non teme il viandante.
Cerchiamo un bar che troviamo solo nella parte
moderna del paese, ricostruito in cemento armato. Lasciamo l’auto davanti all’atelier
del folletto dalla bandana nera. Osservo le belle sculture lignee poste
all’esterno, nudi che esprimono un intenso richiamo erotico. La luce è accesa
all’interno dello studio, incuriosito scruto, con sguardo quasi furtivo,
attraverso i vetri, che rimandano riflessi, verifico se c’è qualcuno
all’interno, ma trovo solo il suo spirito. Tanti oggetti, libri accatastati
alla rinfusa. lo spirito di chi vive in questo luogo è di un artista, poeta,
scrittore, alpinista, lo testimoniano i chiodi e le corde adagiate sul suolo, o
il casco, color rosso, poggiato su un tronco. Su un volume riconosco il volto
di Emile Zola, la dice lunga sull’amore letterario dello spirito libero.
Ci avviamo
al vicino bar, all’esterno, seduto a uno dei tavolini riconosciamo di spalle il
folletto di Erto, in compagnia di amici. Ci accomodiamo ad un tavolino, da dove
poter osservare bene i monti della valle. Con Roberto commentiamo l’escursione
appena conclusa, pensando alle prossime. Entrambi udiamo una voce provenire dai
monti, è un chiaro richiamo, ma non è per me, sorrido, anche Roberto sorride,
sa cosa deve fare. La notevolissima giornata volge al termine, ci alziamo dal
tavolo, passando davanti al poeta dei monti intento a bere una birra. Un ultimo
sguardo al monte Cornetto, ai suoi colori autunnali, è tempo di lasciare la
valle al suo divenire, noi, a malincuore rientriamo nel quotidiano.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
È Corona nell'ultima foto?
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