Monte Navagiust da Pierabech
Note tecniche.
Localizzazione: Alpi carniche centrali.
Avvicinamento:: Tolmezzo-Villa Santina -Ovaro, Comeglians –
Rigolato-Forni Avoltri- Pierabech-Sostare poco dopo lo stabilimento delle acque
minerali.
Dislivello: 1100 m.
Dislivello
complessivo: 1140 m.
Distanza percorsa in Km: 16 km.
Quota minima partenza: 1040 m.
Quota massima raggiunta: 1129 m.
Tempi di percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Con l’amico Magritte.
Tipologia Escursione:
Storico-escursionista, discesa selvaggia.
Difficoltà:
Ecursionistica fino a sotto la
cima, dalla vetta alla discesa (rientro) per escursionisti esperti.
Segnavia: CAI 141-142
Attrezzature: Si, presso le forre.
Croce di vetta: Si
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Cartografia consigliata: Tab 01
Periodo consigliato: maggio-novembre.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato fino alla
vetta passando per il lago di Bordaglia, la discesa per versante non tracciato
e segnato
Fonti d’acqua: Si, molteplici.
Data: 04 ottobre 2014.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Racconto.
Quando in montagna si va in compagnia, la conversazione la
fa da padrona, e l’argomento principale naturalmente è la montagna. Si
commentano le esperienze passate, spesso si ricevono o si danno suggerimenti. Monte
Navagiust è la montagna che racconto.
Dopo pochi giorni ritorno alla bella località montana di
Forni Avoltri, stavolta mi spingo oltre, risalendo con l’auto la valle solcata
dal torrente Degano. Sosto il mezzo di fronte allo stabilimento delle acque
minerali, in una comoda piazzola, pochi metri dopo inizia il sentiero, segnato
su una tabella CAI.
A casa ho studiato il tracciato sulla mappa, ho diverse
soluzione, dipende tutto da come procede l’escursione e come si sviluppa il
meteo. Il cielo è terso, di un azzurro delicato, e dalla valle ammiro il vicino
monte Chiadin e la lontana Cresta Verde.
Il compagno di questa avventura sarà il mio migliore amico,
Magritte. Il vecio, come l’ho soprannominato. Il fido non molla, ha
l’entusiasmo e la vitalità di un cucciolo, non mi va di lasciarlo a casa, anche
se gli acciacchi cominciano a farsi sentire.
Pronti!
l’inseparabile duo parte, seguendo le indicazioni sulla tabella CAI (Collina-Bordaglia),
sentieri 141 e 142.
Elementare Watson, impossibile perdersi.
Dal parcheggio scendo per il sentiero fino al bel ponticello
in legno, che attraversa le fragorose acque del torrente Degano, per poi
risalire; percorrendo la carrareccia che mi accompagna dentro il cuore del fitto
bosco di conifere. La pendenza è moderata, fiancheggio la forra del torrente
Bordaglia, che visiterò al ritorno.
L’autunno ha iniziato a tingere di colori caldi le chiome
dei faggi e dei larici, il calpestio coperto di foglie, ha colori accesi che
vanno dall’oro al bruno rossiccio. È un incanto passeggiare per il bosco, lassù
tra le fronde scorgo l’azzurro, segno che presto la pista forestale si aprirà,
così potrò ammirare il paesaggio. Una serie di cartelli, posti come totem, mi
avverte che per la casera Bordaglia si procede dritto, seguendo il sentiero 142.
Il primo tratto è tedioso, mi distraggo osservando la lontana e maestosa mole
del monte Volaia; insieme al vecio la conquistai dieci anni fa. Magritte era
alle sue prime scalate e temeva il vuoto.
Finalmente raggiungo i pascoli, i sentieri si intersecano
con la carrareccia. Dai prati ingialliti dall’autunno, osservo le cime, la più
vicina è il monte Vas, dalle forme sublimi, essa impera sul paesaggio,
gareggiando per bellezza con il lontano e roccioso gruppo guidato dalla Creta
Forata.
Tragici e intensi bramiti mi avvertono che i cervi sono
nella stagione dell’amore, li sento così vicini, che ho la vaga sensazione di
trovarmi al loro cospetto da un momento all’altro. Supero una mandria di
placide mucche, intente a brucare l’erba resa fresca dalla brina.
La carrareccia termina sul recinto meridionale della
bellissima malga “Casera Bordaglia di Sotto”, la sola visione della struttura
vale il viaggio fin qui effettuato. È una malga fantastica, degna delle fiabe di
Lewis Carrol. Scavalcando il recinto entro al suo interno, portandomi al centro
dello spiazzo occupato da una bella fontana; da essa trabocca fresca linfa, mi
giro intorno e ascoltando il suono dell’acqua, danzo il walzer del viandante.
Presso la casera, su un masso erratico, qualcuno un tempo
costruì la casetta per folletti o spiritelli, con le sembianze degli ultimi mi
appresto a fare visita al piccolo locale, salendo la scaletta in legno e poi
camminando sulla passerella. Apro la porticina, e poi le ante delle finestre a
sesto acuto, così immortalo con lo sguardo il prato, dove una volta vagavano
prima i buoi e poi i soldati.
Nella prima ora di escursione sto vivendo un sogno, e il
bello ancora deve venire. Dalla casa degli spiritelli osservo la meta di oggi,
essa mi appare lontanissima e dalle belle forme, proseguo oltre la casera.
La zona conserva numerose testimonianze del primo conflitto
mondiale, il 28 ottobre del 1917, esattamente cento anni fa, l’esercito
italiano abbandonò le postazioni, a seguito della rotta di Caporetto, tutto
quello che vedrò sono i resti dei manufatti fino a quella data.
Con rispettoso silenzio, ora percorro questo luogo sacro,
seguendo le ombre degli eroi. Dopo la casera, una rustica chiesetta è ai
margini del bosco, la labile traccia lo risale per breve tratto.
Verso quota 1760 m., sulla destra del sentiero, breve
deviazione per la “Fontana dell’Alpino”, anch’essa zampillante di fresca acqua.
La fonte è sormontata da un decorativo elmetto italiano, non trovo fiori
intorno, strappo da un larice un rametto e lo adagio sul copricapo dell’anonimo
alpino.
L’escursione, passo dopo passo, mi coinvolge in profonde
riflessioni, mi sto separando dal mio tempo per rivivere un passato remoto. I
pascoli dal colore invernale fanno da cornice a un paesaggio stupendo, dominato
a oriente dai monti Ombladproibitet e Volaia, e a occidente dalla creta di Bordaglia
e dai colli di Pascoli. Sono così impressionato dal paesaggio, che una volta
giunto a casera Bordaglia Alta ne rimango stregato. Osservo dall’alto il famoso
lago che dà il nome alla località; le acque color smeraldo riflettono gli abeti
e larici, creando un bellissimo acquerello degno di Turner.
Non riesco a svegliarmi dall’incantesimo, infatti proseguo
erroneamente per il Passo Giramondo, sicuramente non sono stato l’unico a
subire il sortilegio. Il luogo, così incantevole merita di essere narrato nelle
favole. Ravvedutomi dell’errore, ritorno alla casera, e trovo più a occidente una
chiara traccia . Proseguo, per prati, a
meridione, per poi aggirare il colle Pascoli e portarmi a settentrione, fino a
lambire il piccolo laghetto, anch’esso dalle acque color smeraldo.
La cuspide della Creta di Bordaglia si riflette dentro lo
specchio del lago, altro incanto, e non è finita, proseguo per la meta fino a
ritrovarmi sulla crestina che porta al Monte Navagiust. Meraviglia! Sublimazione
della realtà, il Navagiust è incantevole, sembra un castello inespugnabile, mi
provoca timidezza, anzi terrore. I torrioni della fortezza(Navagiust) dominano
il paesaggio, devo proseguire, inizio il tratto di cresta, constatando che sto
affiancando una lunga trincea, che come un serpe, segue la morfologia del
rilievo. Il sentiero non ha nulla di
impegnativo, camminarci su è rassicurante, fiancheggio il trincerone,
osservando a occidente la Cresta Verde avvolta dalle nubi, allora presidiata
dagli austriaci.
I colori del paesaggio mi riportano indietro nei ricordi, mi
sembra di rivedere alcune scene del film sulla Grande Guerra “Uomini contro”,
diretto da Francesco Rosi, ispirato al romanzo di Emilio Lussu “Un anno
sull'Altipiano”, bellissimo libro, utile a chi vuol comprendere cosa è stata la
tragedia immane della Grande Guerra. Ascolto
i bramiti dei cervi, a volte sento i colpi di cannoni e le grida disperate dei
soldati. Percorro la cresta come se fossi in estasi, ho le medesime sensazioni
di quando si ha la febbre, confondo la realtà con l’immaginazione.
Un bollo rosso e una freccia mi invitano a lasciare la
cresta, che ora si fa proibitiva, per proseguire sul versante meridionale, tra
i prati color oro. Rasento la già citata trincea, passando tra le postazioni e
visitando le gallerie artificiali, un tempo ricoveri per militi; ne visito
alcune, esse mi danno rifugio, sentendomi riparato dalle cieche pallottole.
Sto camminando sotto la vetta, ne affianco il ripido
costone, finché raggiungo lo scosceso pendio posto tra le due torri, una
traccia labile mi porta alla forcella materializzata da una trincea. La cima
più alta è a destra, con passaggi delicati mi porto in vetta, dove trovo i
resti di un fortino in cemento armato e sopra di esso, una croce. La cima è
piccola, con attenzione salgo sul tetto del manufatto, ammirando il paesaggio
circostante. Un’altra piccola croce, protesa verso l’abisso, sembra resistere
al tempo. Magritte, avverte strane sensazioni, ha paura, vuole andare via.
Scorgo su un masso un cordino, sicuramente sarà utile a fare sicurezza a chi si
cala. La nebbia avvolge il paesaggio, mi appresto a scendere. Raggiunta la base
del ripido erboso tra le due vette, visito i resti del villaggio militare. Nel
frattempo il sole fa capolino, invitandomi a rimanere.
Decido di proseguire a meridione aggirando l’ante-cima, così
scoprendo altre fortificazioni e trinceramenti. Una labile traccia mi invita a
salire sulla vetta dell’ante-cima (venti metri più bassa della principale), accetto
il suggerimento. Dopo pochi minuti pervengo alla sommità, trovando
nell’inerbita cupoletta un incavo che un passato lontano fu presidio.
Pianto i bastoni sull’erba, levo lo zaino, e mi adagio
dentro il riparo, per poter effettuare la meritata sosta. Da questo pulpito,
oltre al mirabile paesaggio posso ammirare la cima precedentemente conquistata.
Sfamo e disseto l’amico, per poi seguitare anch’io alle medesime premure.
Finalmente, ci possiamo sollazzare, è divino. Magritte, mi
commuove, consumato il pasto ha iniziato il pisolino, russa. Il vecchio
combattente anche oggi ha conquistato una cima, se non erro sono 155. Onore
all’eroico cagnetto, che non avrebbe sfigurato nemmeno un secolo fa,
sicuramente sarebbe diventato la mascotte degli alpini. Accarezzo l’amico, il
sole scalda, non sempre possiamo godere di tanta pace, ma oggi la montagna è
benigna. Il tempo scorre veloce, non abbiamo voglia di scendere,
obiettivamente, si sta tanto bene quassù, perché ritornare al manicomio?
Chiudo gli occhi, ascolto i bramiti, e mi godo la vita. Non ho
idea di quanto tempo abbiamo trascorso in relax. Mi alzo, dobbiamo scendere, l’amico
non è felice, ma dobbiamo. Vigorosa scrollata, ed è pronto anche Magritte, si rientra!
Finisco di ispezionare i vecchi manufatti, indeciso se ritornare a valle per
sentiero percorso, o avventurarmi per tracce a oriente; prevale la seconda
ipotesi, quindi acutizzo il senso di orientamento, unica mia guida nelle
prossime ore.
Seguo prima quello che a occhio nudo riesco a intendere di
una vecchia mulattiera di guerra, che passa vicino alcuni ripari, dall’alto ne
intuisco il tracciato, finché sotto delle pareti rocciose esso svanisce,
lasciandomi perplesso. Nessuna traccia e segni, sopra un tratto di ghiaie. Mi abbasso
a meridione, tra i massi scorgo dei barattoli arrugginiti. Intuisco che devo proseguire
per il vallone, mantenendomi sulla destra, supero tanti schianti e vegetazione
selvaggia che ostacolano il passo. Dall’alto scorgo il centro della valle,
proseguo. Di sicuro da questo pendio, di escursionisti ne passano pochi. Sono felice,
sono ritornato al mio vecchio istinto, quello del lupo, mostro le fauci e continuo
l’avventura. Per alcuni tratti entro nel bosco, qualcosa percepisco, finché sono
al margine superiore di uno scosceso prato, aggiro ulteriori schianti, e aggrappandomi
all’erba, supero l’ultimo ostacolo, una paretina di primo grado inferiore.
Un bollo rosso, due, tre, ecco… mi trovo all’inizio di una
carrareccia, che mi appare, come a un miracolato, un’autostrada a otto corsie;
di solito è questa la sensazione che stimola un sentiero tracciato e segnato,
quando si esce dal selvaggio estremo. La carrareccia si collega con quella
percorsa all’andata, in basso alla casera Bordaglia di Sotto, proseguo per la
strada del ritorno. Il sentiero costeggia il torrente Bordaglia, noto degli
ometti, che sembrano creati da un fisico, essi sfidano le leggi di gravità, ne
costruisco uno simile, emozionante.
Mancano poche centinaia di metri alla fine dell’escursione,
ma non voglio un finale inglorioso, quindi mi avventuro per il sentiero naturalistico
“Forra del rio Bordaglia”, altra meraviglia.
Il fragore delle acque bianche è ipnotico, seguo i bolli
color glemisi, e assicurandomi ai cavi, seguo la forra fino a pochi metri dal
ponticello che mi riporta all’auto. Che meraviglia! Ho vissuto una bellissima
esperienza, raggiungo l’auto, mi specchio sul parabrezza posteriore. Ho il
volto stanco, vissuto, mi piace, la montagna mi dona, mi dà forza, tira fuori
il lupo che alberga in me, e oggi ho ululato dalla gioia
Il vostro “Forestiero nomade”
Malfa.
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