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domenica 8 ottobre 2017

Monte Navagiust

 
Monte Navagiust da Pierabech



Note tecniche.

Localizzazione: Alpi carniche centrali.

Avvicinamento:: Tolmezzo-Villa Santina -Ovaro, Comeglians – Rigolato-Forni Avoltri- Pierabech-Sostare poco dopo lo stabilimento delle acque minerali.

Dislivello: 1100 m.

 Dislivello complessivo: 1140 m.

Distanza percorsa in Km: 16 km.

Quota minima partenza: 1040 m.

Quota massima raggiunta: 1129 m.

Tempi di percorrenza. 6 ore escluse le soste.

In: Con l’amico Magritte.

 Tipologia Escursione: Storico-escursionista, discesa selvaggia.

Difficoltà:  Ecursionistica fino a sotto la cima, dalla vetta alla discesa (rientro) per escursionisti esperti.

Segnavia: CAI 141-142

Attrezzature: Si, presso le forre.

Croce di vetta: Si

Libro di vetta: No.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: Tab 01

Periodo consigliato: maggio-novembre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato fino alla vetta passando per il lago di Bordaglia, la discesa per versante non tracciato e segnato

Fonti d’acqua: Si, molteplici.

Data: 04 ottobre 2014.



Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Racconto.

Quando in montagna si va in compagnia, la conversazione la fa da padrona, e l’argomento principale naturalmente è la montagna. Si commentano le esperienze passate, spesso si ricevono o si danno suggerimenti. Monte Navagiust è la montagna che racconto.

Dopo pochi giorni ritorno alla bella località montana di Forni Avoltri, stavolta mi spingo oltre, risalendo con l’auto la valle solcata dal torrente Degano. Sosto il mezzo di fronte allo stabilimento delle acque minerali, in una comoda piazzola, pochi metri dopo inizia il sentiero, segnato su una tabella CAI.

A casa ho studiato il tracciato sulla mappa, ho diverse soluzione, dipende tutto da come procede l’escursione e come si sviluppa il meteo. Il cielo è terso, di un azzurro delicato, e dalla valle ammiro il vicino monte Chiadin e la lontana Cresta Verde.

Il compagno di questa avventura sarà il mio migliore amico, Magritte. Il vecio, come l’ho soprannominato. Il fido non molla, ha l’entusiasmo e la vitalità di un cucciolo, non mi va di lasciarlo a casa, anche se gli acciacchi cominciano a farsi sentire.

 Pronti! l’inseparabile duo parte, seguendo le indicazioni sulla tabella CAI (Collina-Bordaglia), sentieri 141 e 142.

Elementare Watson, impossibile perdersi.

Dal parcheggio scendo per il sentiero fino al bel ponticello in legno, che attraversa le fragorose acque del torrente Degano, per poi risalire; percorrendo la carrareccia che mi accompagna dentro il cuore del fitto bosco di conifere. La pendenza è moderata, fiancheggio la forra del torrente Bordaglia, che visiterò al ritorno.

L’autunno ha iniziato a tingere di colori caldi le chiome dei faggi e dei larici, il calpestio coperto di foglie, ha colori accesi che vanno dall’oro al bruno rossiccio. È un incanto passeggiare per il bosco, lassù tra le fronde scorgo l’azzurro, segno che presto la pista forestale si aprirà, così potrò ammirare il paesaggio. Una serie di cartelli, posti come totem, mi avverte che per la casera Bordaglia si procede dritto, seguendo il sentiero 142. Il primo tratto è tedioso, mi distraggo osservando la lontana e maestosa mole del monte Volaia; insieme al vecio la conquistai dieci anni fa. Magritte era alle sue prime scalate e temeva il vuoto.

Finalmente raggiungo i pascoli, i sentieri si intersecano con la carrareccia. Dai prati ingialliti dall’autunno, osservo le cime, la più vicina è il monte Vas, dalle forme sublimi, essa impera sul paesaggio, gareggiando per bellezza con il lontano e roccioso gruppo guidato dalla Creta Forata.

Tragici e intensi bramiti mi avvertono che i cervi sono nella stagione dell’amore, li sento così vicini, che ho la vaga sensazione di trovarmi al loro cospetto da un momento all’altro. Supero una mandria di placide mucche, intente a brucare l’erba resa fresca dalla brina.

La carrareccia termina sul recinto meridionale della bellissima malga “Casera Bordaglia di Sotto”, la sola visione della struttura vale il viaggio fin qui effettuato. È una malga fantastica, degna delle fiabe di Lewis Carrol. Scavalcando il recinto entro al suo interno, portandomi al centro dello spiazzo occupato da una bella fontana; da essa trabocca fresca linfa, mi giro intorno e ascoltando il suono dell’acqua, danzo il walzer del viandante.

Presso la casera, su un masso erratico, qualcuno un tempo costruì la casetta per folletti o spiritelli, con le sembianze degli ultimi mi appresto a fare visita al piccolo locale, salendo la scaletta in legno e poi camminando sulla passerella. Apro la porticina, e poi le ante delle finestre a sesto acuto, così immortalo con lo sguardo il prato, dove una volta vagavano prima i buoi e poi i soldati.

Nella prima ora di escursione sto vivendo un sogno, e il bello ancora deve venire. Dalla casa degli spiritelli osservo la meta di oggi, essa mi appare lontanissima e dalle belle forme, proseguo oltre la casera.

La zona conserva numerose testimonianze del primo conflitto mondiale, il 28 ottobre del 1917, esattamente cento anni fa, l’esercito italiano abbandonò le postazioni, a seguito della rotta di Caporetto, tutto quello che vedrò sono i resti dei manufatti fino a quella data.

Con rispettoso silenzio, ora percorro questo luogo sacro, seguendo le ombre degli eroi. Dopo la casera, una rustica chiesetta è ai margini del bosco, la labile traccia lo risale per breve tratto.

Verso quota 1760 m., sulla destra del sentiero, breve deviazione per la “Fontana dell’Alpino”, anch’essa zampillante di fresca acqua. La fonte è sormontata da un decorativo elmetto italiano, non trovo fiori intorno, strappo da un larice un rametto e lo adagio sul copricapo dell’anonimo alpino.

L’escursione, passo dopo passo, mi coinvolge in profonde riflessioni, mi sto separando dal mio tempo per rivivere un passato remoto. I pascoli dal colore invernale fanno da cornice a un paesaggio stupendo, dominato a oriente dai monti Ombladproibitet e Volaia, e a occidente dalla creta di Bordaglia e dai colli di Pascoli. Sono così impressionato dal paesaggio, che una volta giunto a casera Bordaglia Alta ne rimango stregato. Osservo dall’alto il famoso lago che dà il nome alla località; le acque color smeraldo riflettono gli abeti e larici, creando un bellissimo acquerello degno di Turner.

Non riesco a svegliarmi dall’incantesimo, infatti proseguo erroneamente per il Passo Giramondo, sicuramente non sono stato l’unico a subire il sortilegio. Il luogo, così incantevole merita di essere narrato nelle favole. Ravvedutomi dell’errore, ritorno alla casera, e trovo più a occidente una chiara traccia .  Proseguo, per prati, a meridione, per poi aggirare il colle Pascoli e portarmi a settentrione, fino a lambire il piccolo laghetto, anch’esso dalle acque color smeraldo.

La cuspide della Creta di Bordaglia si riflette dentro lo specchio del lago, altro incanto, e non è finita, proseguo per la meta fino a ritrovarmi sulla crestina che porta al Monte Navagiust. Meraviglia! Sublimazione della realtà, il Navagiust è incantevole, sembra un castello inespugnabile, mi provoca timidezza, anzi terrore. I torrioni della fortezza(Navagiust) dominano il paesaggio, devo proseguire, inizio il tratto di cresta, constatando che sto affiancando una lunga trincea, che come un serpe, segue la morfologia del rilievo.  Il sentiero non ha nulla di impegnativo, camminarci su è rassicurante, fiancheggio il trincerone, osservando a occidente la Cresta Verde avvolta dalle nubi, allora presidiata dagli austriaci.

I colori del paesaggio mi riportano indietro nei ricordi, mi sembra di rivedere alcune scene del film sulla Grande Guerra “Uomini contro”, diretto da Francesco Rosi, ispirato al romanzo di Emilio Lussu “Un anno sull'Altipiano”, bellissimo libro, utile a chi vuol comprendere cosa è stata la tragedia immane della Grande Guerra.  Ascolto i bramiti dei cervi, a volte sento i colpi di cannoni e le grida disperate dei soldati. Percorro la cresta come se fossi in estasi, ho le medesime sensazioni di quando si ha la febbre, confondo la realtà con l’immaginazione.

Un bollo rosso e una freccia mi invitano a lasciare la cresta, che ora si fa proibitiva, per proseguire sul versante meridionale, tra i prati color oro. Rasento la già citata trincea, passando tra le postazioni e visitando le gallerie artificiali, un tempo ricoveri per militi; ne visito alcune, esse mi danno rifugio, sentendomi riparato dalle cieche pallottole.

Sto camminando sotto la vetta, ne affianco il ripido costone, finché raggiungo lo scosceso pendio posto tra le due torri, una traccia labile mi porta alla forcella materializzata da una trincea. La cima più alta è a destra, con passaggi delicati mi porto in vetta, dove trovo i resti di un fortino in cemento armato e sopra di esso, una croce. La cima è piccola, con attenzione salgo sul tetto del manufatto, ammirando il paesaggio circostante. Un’altra piccola croce, protesa verso l’abisso, sembra resistere al tempo. Magritte, avverte strane sensazioni, ha paura, vuole andare via. Scorgo su un masso un cordino, sicuramente sarà utile a fare sicurezza a chi si cala. La nebbia avvolge il paesaggio, mi appresto a scendere. Raggiunta la base del ripido erboso tra le due vette, visito i resti del villaggio militare. Nel frattempo il sole fa capolino, invitandomi a rimanere.

Decido di proseguire a meridione aggirando l’ante-cima, così scoprendo altre fortificazioni e trinceramenti. Una labile traccia mi invita a salire sulla vetta dell’ante-cima (venti metri più bassa della principale), accetto il suggerimento. Dopo pochi minuti pervengo alla sommità, trovando nell’inerbita cupoletta un incavo che un passato lontano fu presidio.

Pianto i bastoni sull’erba, levo lo zaino, e mi adagio dentro il riparo, per poter effettuare la meritata sosta. Da questo pulpito, oltre al mirabile paesaggio posso ammirare la cima precedentemente conquistata. Sfamo e disseto l’amico, per poi seguitare anch’io alle medesime premure.

Finalmente, ci possiamo sollazzare, è divino. Magritte, mi commuove, consumato il pasto ha iniziato il pisolino, russa. Il vecchio combattente anche oggi ha conquistato una cima, se non erro sono 155. Onore all’eroico cagnetto, che non avrebbe sfigurato nemmeno un secolo fa, sicuramente sarebbe diventato la mascotte degli alpini. Accarezzo l’amico, il sole scalda, non sempre possiamo godere di tanta pace, ma oggi la montagna è benigna. Il tempo scorre veloce, non abbiamo voglia di scendere, obiettivamente, si sta tanto bene quassù, perché ritornare al manicomio?

Chiudo gli occhi, ascolto i bramiti, e mi godo la vita. Non ho idea di quanto tempo abbiamo trascorso in relax. Mi alzo, dobbiamo scendere, l’amico non è felice, ma dobbiamo. Vigorosa scrollata, ed è pronto anche Magritte, si rientra! Finisco di ispezionare i vecchi manufatti, indeciso se ritornare a valle per sentiero percorso, o avventurarmi per tracce a oriente; prevale la seconda ipotesi, quindi acutizzo il senso di orientamento, unica mia guida nelle prossime ore.

Seguo prima quello che a occhio nudo riesco a intendere di una vecchia mulattiera di guerra, che passa vicino alcuni ripari, dall’alto ne intuisco il tracciato, finché sotto delle pareti rocciose esso svanisce, lasciandomi perplesso. Nessuna traccia e segni, sopra un tratto di ghiaie. Mi abbasso a meridione, tra i massi scorgo dei barattoli arrugginiti. Intuisco che devo proseguire per il vallone, mantenendomi sulla destra, supero tanti schianti e vegetazione selvaggia che ostacolano il passo. Dall’alto scorgo il centro della valle, proseguo. Di sicuro da questo pendio, di escursionisti ne passano pochi. Sono felice, sono ritornato al mio vecchio istinto, quello del lupo, mostro le fauci e continuo l’avventura. Per alcuni tratti entro nel bosco, qualcosa percepisco, finché sono al margine superiore di uno scosceso prato, aggiro ulteriori schianti, e aggrappandomi all’erba, supero l’ultimo ostacolo, una paretina di primo grado inferiore.

Un bollo rosso, due, tre, ecco… mi trovo all’inizio di una carrareccia, che mi appare, come a un miracolato, un’autostrada a otto corsie; di solito è questa la sensazione che stimola un sentiero tracciato e segnato, quando si esce dal selvaggio estremo. La carrareccia si collega con quella percorsa all’andata, in basso alla casera Bordaglia di Sotto, proseguo per la strada del ritorno. Il sentiero costeggia il torrente Bordaglia, noto degli ometti, che sembrano creati da un fisico, essi sfidano le leggi di gravità, ne costruisco uno simile, emozionante.

Mancano poche centinaia di metri alla fine dell’escursione, ma non voglio un finale inglorioso, quindi mi avventuro per il sentiero naturalistico “Forra del rio Bordaglia”, altra meraviglia.

Il fragore delle acque bianche è ipnotico, seguo i bolli color glemisi, e assicurandomi ai cavi, seguo la forra fino a pochi metri dal ponticello che mi riporta all’auto. Che meraviglia! Ho vissuto una bellissima esperienza, raggiungo l’auto, mi specchio sul parabrezza posteriore. Ho il volto stanco, vissuto, mi piace, la montagna mi dona, mi dà forza, tira fuori il lupo che alberga in me, e oggi ho ululato dalla gioia

Il vostro “Forestiero nomade”

Malfa.






















































































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