Cima delle
Monache 2160 m.
Note
tecniche.
Localizzazione:
Dolomiti D’Oltre Piave-Gruppo Duranno-Cima dei Preti.
Avvicinamento:
Montereale Valcellina-Barcis. Cellino-Cimolais-Ponte del Compol-Val Cimoliana-
Pian della Fontana.
Dislivello: 1256
m.
Dislivello complessivo: 1300 m.
Distanza
percorsa in Km: 17 chilometri.
Quota minima
partenza: 920 m.
Quota
massima raggiunta: 2160 m.
Tempi di
percorrenza. 6 ore escluse le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionistica, tranne gli ultimi 300 metri ,
per E.E. per via dell’assenza di segni e di ometti, su percorso infido e
faticoso.
Segnavia: CAI
390; 389:
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: No.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tab 021
Periodo
consigliato: luglio-settembre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato quello CAI.
Fonti
d’acqua: Si, e abbondanti, fin oltre la casera Laghet di Sopra.
Data: 30
agosto 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione
Tecnica.
Dalla val
Cimoliana ci si inoltra in auto fino alla confluenza della Val Santa Maria,
parcheggio in Pian de Fontana (quota 920 m.). Si guada il torrente, e si
imbocca la strada forestale e di seguito una mulattiera (sentiero CAI 390), che
si inoltra in un fantastico bosco di faggi. Tralasciato a destra il sentiero
diretto alla forcella di SPE, si prosegue, attraversando il greto del
fiume(ometti)e tralasciando la traccia a destra che prosegue per la val
Cantoni. Per brevi tornanti si sale nel bosco di faggi (ripido), fino a
raggiungere i pascoli di Casera Laghét di sotto. Dalla casera per prati con
moderata pendenza si raggiunge la base del costone erboso, superato il torrente
alla sua destra lo si risale (paletti e segni), superando alcune fonti, fino a
raggiungere la casera Laghét di Sopra (1871 m.). L’edificio è provvisto di otto
comodi posti letto, e libro di via. Per la cima delle Monache, posta a nord del
bivacco, si prosegue per sentiero a occidente fino a incontrare un paletto con
segnavia. Abbandoniamo il sentiero 390 per seguire il 389. Dapprima per prati e
mughi e successivamente per esile traccia sul dirupato versante alle pendici
della cima delle Monache si raggiunge la base del canalone che divide la cima
precedentemente citata da quella del Frassin (la traccia in molti punti è
erosa. Con intuito si sale il canalone detritico alla sua destra (nessuno segno
e solo due sparuti ometti fino alla cima), lambendo le verticali pareti del
Frassin, fino a raggiungere il restringimento dell’imbuto che sembra chiudere
la prosecuzione. Invece si prosegue a sinistra passando sotto un campanile
roccioso, e sempre a sinistra, per faticose ghiaie si risale il canalino, fino
a entrare in una stretta gola che ci porta quasi in cresta. Proseguendo a
sinistra si cavalca l’esile crestina di fine ghiaia, proseguendo per cresta si
raggiunge l’ante-cima, di un paio di metri più bassa della cima. Per la cima,
si prosegue lungo l’esile ed esposta cresta fino a raggiungere un mugheto, ci
si cala sul versante che dà sulla Val Santa Maria, aggirando l’ostacolo
aiutandosi con i mughi, risalita la china si è in vetta, materializzata da tre
sassi di piccola dimensione (quota 2160 m.). Spettacolo a dir poco
strabiliante, dalla Cima dei Preti e la sua cresta fino ai Monfalconi. Per il
ritorno lo stesso itinerario dell’andata.
Racconto.
La bella
Cima delle Monache segue la sequenza dei monti selvaggi che ultimamente ho
scelto come mete per i viaggi spirituali. L’elenco delle cime da conoscere
insieme alle valli che le circondano è lunghissimo. Le Dolomiti d’Oltrepiave
offrono valide opportunità a coloro che amano stare in solitudine, almeno per
alcune ore della loro vita. La solitudine stimola anche a rendere il carattere
più rude, diretto, autentico. Questa è la motivazione del mio errare, immergermi
nella vera natura, nella montagna più autentica e poco frequentata. Questa
mattina nel percorrere in auto i primi metri della Val Cimoliana, ho provato
nostalgia. Sentivo le voci dei miei compagni dell’ultima avventura “gli spiriti
liberi”, ho in mente i loro volti sorridenti, l’entusiasmo, come se quell’escursione
fosse stato il primo giorno di scuola, e ci si ritrova con i compagni dopo
un’estate passata lontani. I ricordi sono freschi, guido, e la mente è spesso
distratta dalle voci e dalle risate, alcune frasi mi sono rimaste impresse, è
stato bello, divino, forse irripetibile. Giungo al Pian de Fontana, che sono in
anticipo sui tempi, ne approfitto per prepararmi con calma. L’aria è frizzante,
odo il vicino scorrere del torrente, sono pronto, e con lo zaino pieno di sogni
e Magritte al seguito, inizio questa nuova avventura. Guado il torrente, prima
per instabile passerella, e poi tra i sassi, primo bagnetto per Magritte. Oltre,
sulla sponda alla destra orografica del fiume inizia la breve strada forestale,
che svanisce nel fitto bosco di faggi. Altri ricordi avvolgono la mente, ho
percorso questo tratto con “Federica e Loris”, splendide creature, forse figlio
di un Dio, sicuramente lo sono, in loro presenza tutto è magico, e i sogni più
assurdi diventano realtà. Al bivio per la valle dei Cantoni, i ricordi mi
lasciano, essi proseguono a destra in direzione della Cima dei Preti, il mio
nuovo sogno prosegue a sinistra, guadando il secco rio segnato da ometti. Da
questo punto in poi tutto mi sarà nuovo; mi preparo, tolgo il gilet tecnico che
mi scalda, sistemo la bandana, e con il fido andiamo alla ricerca del nostro
silenzio perduto, risalendo la Val dei Frassin. Guado subito il torrentello
dove le acque scorrono copiose, lo memorizzo come sorgente dove poter riempire
le borracce al ritorno. Il sentiero con stretti tornanti risale il bellissimo
bosco, magico, un vecchio faggio dall’enorme mole domina sui compagni, gli passo
vicino, lo ossequio, chissà quanti viandanti ha visto nella sua lunga vita. Il
fitto faggeto lascia il posto ai prati sommitali, una vecchia casera, quasi
rudere mi attende, dentro tracce di umani, graffiti sulla porta, la luce filtra,
adombrando gli oggetti come il pennello di Rembrandt. Dalla valle avevo intravisto
le cuspidi rocciose, ma dal basso ne ignoro i nomi, ora, orientandomi con la
mappa li nomino, dalla destra a sinistra: la Cima del Frassin, la Cima delle
Monache, e la Cima Sella. Percorro i verdi pascoli a occidente canticchiando un
motivetto del grande poeta De Andrade. Supero un torrente in secca, dei paletti
mi invitano a salire sul bel ripido pendio verde. Radi mughi mi fanno
compagnia, il mio sguardo è fisso sulle dolomitiche e verticali pareti delle
cime citate in precedenza. Ecco! Vedo un grande ghiaione che scende dalle rocce,
quasi in verticale, fino ad incontrare il torrente. Osservo il suo vertice, si
incunea dentro le pareti delle Monache e del Frassin, con l’obiettivo della
macchina fotografica identifico una delicata linea orizzontale, è il sentiero
che porta a esso. Ho chiaro tutto quello che devo fare e la cima non è più
lontana. Raggiunta la bella casera di Laghét di Sopra, effettuo la prima sosta,
niente male, ho percorso quasi mille metri di dislivello. Lascio lo zaino fuori
dall’edificio, Magritte si appisola mentre ispeziono il locale. Nel piccolo bivacco
c’è di tutto, stufetta a legna, tavolo con panche, letti (in numero di otto)e anche
una riserva di viveri. Firmo il libro dei visitatori e mi porto all’esterno,
chiudendo accuratamente le imposte. Poco dopo sopraggiungono due simpatici
escursionisti, padre e figlio. Mi riconoscono, ci presentiamo, mi parlano con
piacere della gita del gruppo “Spiriti Liberi”, e degli amici che erano tra i
partecipanti. Son contento delle loro parole. Parliamo del più e del meno, li
invito se vogliono venire in cima con me, desistono, per loro, la casera è già
un traguardo. Dopo aver curato l’occhietto del mio fedele compagno, proseguo
per la mia meta. Mi congedo con un abbraccio dai nuovi amici, ci saluteremo
anche dopo, a distanza, mentre percorro l’esile cengia per ghiaie e loro intraprendono
la via del ritorno. Dalla casera raggiungo il punto confluenza di alcuni
sentieri, seguo quello che mi porta al bivacco Gervasutti, numerato 389. Dapprima
per zolle erbose tra i mughi, fino a raggiungere la base delle verticali e
impressionanti pareti delle rocciose cime. Non nascondo che spesso butto
l’occhio sulla lontana ma ben visibile Cima dei Preti, ci adoriamo, è stato un
amore vissuto con intensità. Il sentiero, tra insidiose ghiaie prosegue a
oriente, alcuni tratti sono franati e vanno superati con perizia. Finalmente
raggiungo il vertice del ghiaione, lo attraverso orizzontalmente, fino a
raggiungere il suo estremo a oriente, lambito dalle precipiti pareti del
Frassin. Lo risalgo usando l’intuito, cercando tra le ghiaie i punti più
percorribili. Trovo un ometto, e un altro sopra, sono nella direzione giusta.
Sotto le pareti, presso un masso, lascio lo zaino, vorrei lasciare anche
Magritte, ma penso che l’eroico amico meriti anch’esso la gloria della vetta.
Mettendo a rischio i miei movimenti, si parte in due, stavolta più leggeri,
percorrendo il ghiaione. Il canalone sembra strozzarsi sotto le verticali
pareti, ma si apre a sinistra, una bellissima torre fa da faro, passo sotto la
sua ombra e sempre a sinistra raggiungo uno spuntone. Sempre tra ripide ghiaie lo
supero, scoprirò dopo che lo si poteva aggirare, bypassandolo per uno stretto
canalino. Raggiunto il punto superiore, sempre per ghiaie, ma meno instabili,
proseguo la faticosa salita, le pareti a destra sono verticali, lasciandomi
intuire che devo spingermi a sinistra, dove una luce si apre sul ripido
canalone. È meraviglioso procedere senza segni e ometti, qui viene fuori per
abilità il vero “spirito libero”. Mi spingo a sinistra e sempre per ripide ghiaie,
percorro il lato destro del canalino, tra rocce e fili d’erba che mi portano
dentro lo stretto e incassato canalone. Per roccette raggiungo l’esile
crestina, la ghiaia ora è farinosa, ne percorro a sud il dorso fino a raggiungere
la lunga cresta della Cima. Dopo pochi passaggi per zolle erbose raggiungo
l’ante-cima, vorrei fermarmi, ma a occidente vedo un cocuzzolo, è la cima principale.
Proseguo lungo la bellissima cresta come un equilibrista, essa divide la valle
dei Frassin dalla Val Santa Maria: la prima esposta sulle verticali pareti e la
seconda sui ripidissimi prati verdi. La cresta, è un’autentica linea di
demarcazione tra due valli, due mondi, due colori e io viandante, funambolo,
proseguo verso la meta di oggi. Scendo di alcuni metri aiutato da un mugheto,
per poi risalirlo, ed ecco raggiunta la vetta: tre sassi nascosti da erba e da
timide stelle alpine. Pianto il bastoncino da trekking, come un conquistatore
pianta la bandiera sopra la terra appena conquistata. Oltre i sassi, il vuoto
su entrambi i versanti. Assicuro il mio compagno, e tento l’impresa più
difficile, ovvero un autoscatto. Adopero la mini sacca come cavalletto, il tutto
mi riesce, ma quante peripezie! Fatta la foto ricordo per i nipotini, mi godo
il tutto, seduto sulla vertiginosa cima, e ammiro il paradiso in terra. Mi giro
sull’altro versante, altro paradiso: dalla Cima dei preti ai Monfalconi è lungo
l’elenco delle cime da nominare. Conviene godersi il paesaggio, il tempo scorre
inesorabile, per fortuna la giornata è meravigliosa; nessuna nube
all’orizzonte, solo piccole chiazze di bianco, donate dalla natura per rendere
più pittoresche le foto. La cima Sella esercita un richiamo irresistibile, ma
non come le Sirene di Ulisse, che con il loro canto attiravano l’eroe omerico
verso gli scogli, dove infrangersi e perire. I monti sì che attraggono, ma come
le ninfe che stregarono l’eroe omerico, cito Calipso, che abitava l’isola di
Ogigia, ove approdavano uomini bellissimi ed eroici di cui non faceva che
innamorarsi, ma che poi dovevano partire. E questa magica seduzione l’esercita la
montagna, con i suoi innumerevoli aspetti. Tre sassi, bianchi, apparentemente insignificanti
è la meta di questa lunga e faticosa escursione, questo volevo. Nessuna croce,
ne simbolo inconfondibile, ma solo tre sassi adagiati tra le sparute stelle alpine,
in bilico su quest’immaginaria fune. Non sono felice, ma di più, di più! Per un
attimo mi sento un dio, e sono preso da sentimenti di onnipotenza. Sopra di me
solo il cielo azzurro, e sotto, il mondo intero, ma solo per un attimo,
quell’istante che è il fine di ogni amante della montagna, di ogni spirito libero.
L’istante, in cui ci liberiamo della ragione, per seguire l’eterno viaggio
verso il non conosciuto, verso l’eterno divenire. Ripresa la ragione, affronto
il ritorno per lo stesso viaggio dell’andata, facendomi guidare dalle mie due
inseparabili amiche ”Prudenza e Calma”, che solo poche volte non ascoltai. Con
esse raggiungo, l’auto, e con un baciamano le congedo. Un ultimo sguardo alla
valle, e rientro tra i bipedi, con la mente piena di ricordi e una storia da
raccontare.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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