Cima Sella 2334 m.
Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti D’Oltre Piave-Gruppo Duranno-Cima
dei Preti.
Avvicinamento: Montereale Valcellina-Barcis. Cellino-Cimolais-Ponte
del Compol-Val Cimoliana- Pian della Fontana.
Dislivello: 1434 m.
Dislivello complessivo:
1750 m.
Distanza percorsa in Km: 10 chilometri.
Quota minima partenza: 920 m.
Quota massima raggiunta: 2334 m.
Tempi di percorrenza. 7 ore escluse le soste.
In: Coppia.
Tipologia Escursione:
Selvaggia.
Difficoltà: Escursionistica, tranne gli ultimi 300 metri ,
per E.E. per via dell’assenza di segni e di ometti, su percorso infido e
faticoso.
Segnavia: CAI 390; 389; 365:
Attrezzature: Nessuna.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: No.
Timbro di vetta: No.
Cartografia consigliata: Tab 021
Periodo consigliato: luglio-settembre.
Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato quello CAI.
Fonti d’acqua: Si, e abbondanti, fin oltre la casera Laghet
di Sopra.
Data: 05 settembre 2017.
Relazione Tecnica.
Dalla val Cimoliana ci si inoltra in auto fino alla confluenza
della Val Santa Maria, parcheggio in Pian de Fontana (quota 920 m.). Si guada
il torrente, e si imbocca la strada forestale e di seguito una mulattiera (sentiero
CAI 390), che si entra in un fantastico bosco di faggi. Tralasciato a destra il
sentiero diretto alla forcella di Spe, si prosegue, attraversando il greto del
fiume (ometti), tralasciando la traccia a destra che prosegue per la Val
Cantoni. Per brevi tornanti si sale nel bosco di faggi (ripido), fino a
raggiungere i pascoli di Casera Laghét di sotto. Dalla casera per prati con
moderata pendenza si giunge alla base del costone erboso, si supera il torrente
alla sua destra e lo si risale (paletti e segni), superando alcune fonti, fino
a raggiungere la casera Laghét di Sopra (1871 m.). L’edificio è provvisto di
otto comodi posti letto, e libro di via. Per la cima Sella, posta a nord del
bivacco, si prosegue per sentiero a occidente fino a incontrare un paletto con
segnavia. Lasciato il sentiero 390, si imbocca il 365, che tagliando dal basso in
alto l’inerbito cadin, porta alla forcella del Frate (quota 2197 m.), con il
caratteristico monolito. Si ridiscende dal versante da dove siamo saliti spostandoci
alla base delle pareti del Sella, dove alcuni ometti ci introducono una cengia.
Stando attenti all’esposizione, procediamo da sinistra a
destra, e dopo una piccola spelonca raggiungiamo un canalino. Lo si risale per
passaggi migliori, (noi abbiamo optato a destra), con passaggi di primo grado.
Il canalino porta al ripido pendio sommitale (ghiaie e zolle d’erba). Con
l’ausilio di ometti e rade tracce, da sinistra a destra, giungiamo su un costone,
ripido e infido a causa di ghiaino; lo risaliamo da sud a nord per roccette e
zolle d’erba, fino alla cresta sommitale. Raggiunta quest’ultima il paesaggio cambia
radicalmente, passando dalle dolomitiche rocce meridionali all’inerbito
versante nord-occidentale che domina l’enorme anfiteatro del Cavalét. Per la
cima procediamo a destra, seguendo un esile traccia. La vetta è materializzata
da un piccolo ometto (quota 2334 m.). Si può raggiungere la cima Ovest, di un
metro più bassa, ripercorrendo a ritroso la cresta, e da fino a dove siamo
sbucati proseguiamo a occidente sempre per traccia, percorrendo la cresta. Per
la discesa abbiamo optato per il versante Nord -occidentale e siamo andati per istinto.
Scendendo dalla cima abbiamo raggiunto il centro della sella, e poi puntato al
centro del ripido erboso. Raggiunto il margine superiore del costone roccioso,
abbiamo trovato un punto debole, dove scendere con piccoli passaggi di
arrampicata semplice. Scesi nel sottostante catino erboso ci siamo spinti a
occidente, fino a raggiungere una parete rocciosa, dove ci siamo calati, con
passaggi di primo grado, fino a raggiungere il margine superiore di un salto di
cinquanta metri nascosto tra mughi. Impossibilitati a raggiungere la casera
Cavalét per impraticabilità di quel tratto, siamo risaliti di cinquanta metri
di dislivello, spostandoci al limite del ghiaione che scende dalla cresta, in
direzione nord-est, fino a trovare un ripido erboso percorribile senza
eccessivi patemi. Ci siamo abbassati fino a trovare una traccia di camosci,
l’abbiamo seguita fino alla casera Cavalét (quota 1995 m.). Per il rientro
dalla Casera abbiamo percorso a ritroso il sentiero 365, che ci ha riportati
alla forcella del Frate, da questa per il sentiero dell’andata, fino ai piani
di Casera Fontana.
Racconto.
La Val Cimoliana è la mia terra promessa, luogo dove negli
ultimi mesi vado spesso a perdermi, fuggendo dal vivere quotidiano. La Val
Cimoliana con l’adiacente Val Settimana sono luoghi ideali per gli spiriti
liberi, per via del loro aspetto selvaggio, ambienti dove l’essenza del
viandante può ritrovare se stesso e vivere la vera montagna.
Quest’anno, contrariamente alle mie vecchie abitudini non
disdegno la compagnia, ho superato la fase del solitario e sento la voglia di condividere
con gli altri compagni di viaggio queste emozioni. Andare all’avventura con i tuoi simili, non è
come portare lo zaino, al contrario c’è uno scambio continuo, perché ognuno, pur
mantenendo la sua autonomia, impara dall’altro. La conferma mi è data dai miei
nuovi amici di avventura, Loris, Federica, Roberto; con loro si vola, senza
rinunciare a nulla, soprattutto agli attimi di solitudine.
Per questa escursione sulla Cima Sella, il compagno
d’avventura è Roberto. Il “giovanotto”, come l’ho sopranominato, è una forza
della natura, ha uno spirito giovanile che non contrasta con un’educazione e
comportamento da uomini di altri tempi. Già compagno di altre escursioni, c’è
una stima reciproca e soprattutto un mutuo soccorso.
Non andiamo solo in montagna per aumentare il numero delle
cime conquistate, saremmo ipocriti a non ammetterlo, ma anche per esplorare un
mondo, che è il riflesso di quello interiore. Con Il giovanotto, o “lo
scoiattolo” (altro suo soprannome), raggiungiamo la bella Val Cimoliana e la
consecutiva località di Pian della Fontana. Pronti, con lo zaino in spalle si
guada il bel torrente che divide in due la valle, alcuni ponti in legno lo
rendono degno di Indiana Jones. Dall’altra parte della sponda, per carrareccia,
risaliamo il bel bosco, il sentiero è comodo, dolce, non avvertiamo fatica, si
chiacchera. Nel primo tratto dell’escursione mi tocca fare da Cicerone, visto
che questa è la quinta volta che percorro il sentiero. Camminiamo seguendo le orme
di Federica e Loris, e di altri spiriti liberi, entrando metafisicamente in un nuovo mondo.
Raggiunto il greto del torrente, i nostri sguardi scrutano le
creste delle cime che precedono la “Grande Montagna”, la regina delle dolomiti
d’Oltrepiave, la bellissima Cima dei Preti. Le placche inclinate che scendono
dalle sue cime damigelle, sembrano scaglie di zucchero, Roberto ne viene
ingannato, pensando che sia neve. È solo dolomia, roccia regale, per pochi
prescelti che possono avere l’onore di danzare con essa. È difficile staccare lo sguardo dalle
luminose pareti, ma dobbiamo, proseguendo oltre il secco rio, per un breve
tratto tra mughi, prima di risalire il fitto bosco della Val dei Frassin.
Dopo aver guadato un rumoroso e bel torrente dove scorrono le
copiose acque, inizia il tratto meno attraente dell’escursione, il bosco.
L’ombroso e scosceso regno dei faggi stimola la conversazione.
I rapidi tornanti ci portano a guadagnare velocemente quota,
ci fermiamo davanti solo ad un vecchio faggio, sorridiamo pensando alle
poetiche che avrebbe scritto un nostro ex amico, effettivamente il diametro del
tronco è impressionante. Penso, a tutti coloro che traggono ispirazione da una vecchia
pianta morente; come se poetassimo su un uomo, un ultra centenario in fin di
vita, e scrivessimo lodi sulle sue ferite, sugli evidenti tumori che lasciano i
segni sul corpo solcato dal tempo. Proseguiamo lasciando tranquillo il vecchio
faggio, fino a raggiungere i raggi del sole che filtrano tra le fronde.
Usciti dal bosco ci aspetta la Casera Laghét di sotto, e la
visuale si apre su uno dei scorci più pittoreschi della Val Cimoliana. Davanti
a noi i bei prati dell’ex malga, e in alto le “tre grazie”: Cima Sella, Cima delle
Monache e Cima dei Frassin. Esse, appaiono, divine e inespugnabili, come quelle
belle donne che coscienti di esserlo, si rendono preziose, più di quanto meritino.
Le ammiriamo, la cima di mezzo è stata mia due giorni prima, il suo nome
ecclesiastico ha eccitato il mio istinto di lupo predatore.
Visito la casera, il suo interno è spoglio, ricorda un
rifugio per barboni, ci rifletto dopo, sorrido. Ma uno spirito libero deve
dormire comodo? No! Deve rinunciare alle comodità e nutrirsi solo di fatica e
ravanare all’infinito? Si! Allora la casera appena superata è per noi barboni
dei monti.
Percorriamo il dolce prato, leggermente in salita, Roberto
esprime la sua gioia in due lingue, italiano e in friulano, il suo cuore batte
forte per l’emozione. Il giovanotto, gioisce, cattura l’immensità con lo
sguardo, sono felice di vederlo estasiato. Superato un torrente, ne ammiriamo
le acque. L’amico, dalla vista acuta, scorge tra i mughi dei caprioli, la
natura si dona, si rivela, e noi l’adoriamo.
Raggiunta la casera Laghét di Sopra, effettuiamo una breve
sosta, nel frattempo le nubi si abbassano, chiudendosi, sembra che vogliano
dirci:<<Se siete veri uomini, avanzate! Se siete codardi, andate via! Quello
che vi attende, oltre i nostri veli è per spiriti liberi.>> Anche le
prime gocce di pioggia sono un avvertimento, noi riprendiamo il viaggio verso
la meta, l’occhio esperto nota delle sfumature di azzurro nel bianco, intuiamo
che la montagna gioca con i nostri sentimenti, e noi stiamo al gioco.
Percorriamo il catino erboso, superando canaloni fino a
raggiungere la base delle pareti meridionali del Sella. In forcella, ben
visibile (anche da lontano) una scultura dolomitica, che sicuramente ha dato il
nome alla stessa. La forcella del Frate è una sella di ghiaia, protesa verso la
valle a occidente, dominata dalle cuspidi delle cime di Gea. La natura si è
sbizzarrita, nemmeno il maestro surrealista Salvador Dalì sarebbe stato capace
di creare simili fantasie.
Le nuvole sono così basse che sembra di stare nella Pianura
Padana, siamo titubanti se procedere, Roberto mi indica una delle cime di Gea,
ma la mia attenzione è alla base dei pilastri della Cima Sella, che in
precedenza lo stesso Roberto ha ispezionato. Scendiamo a ritroso di alcuni
metri dalla sella, e seguendo gli sparuti ometti procediamo verso la meta. Una
cengia esile ed esposta, aderente alla dura roccia, ci fa venire in mente i
nostri amici “Federica e Loris”, la percorriamo da sinistra verso destra
passando davanti alcuni antri, dove la stessa si fa più larga, per poi restringersi,
e farsi invisibile ed esposta sui ripidi e insidiosi ghiaini. Raggiunta la base
di un canalino, notiamo un ometto, quindi siamo nella giusta direzione, lo
risaliamo, Roberto, come un furetto è già su, io più sono lento e macchinoso,
scelgo i passaggi meno scivolosi e più congeniali, eseguo una breve
arrampicata, che mi porta su. Raggiunto il ripido pendio, misto a ghiaie ed
erba, e seguendo gli ometti, procediamo in diagonale verso destra, raggiungendo
il crinale esposto su un canalone; lo risaliamo, puntando alle roccette
sommitali. I numerosi ometti non lasciano dubbi sulla direzione da seguire, sempre
per balze e roccette arriviamo in cresta.
L’amico mi precede di alcuni metri ed esclama meravigliato:
<<Ma che bello! Che meraviglia, qui è un altro mondo!>> Subito dopo
sopraggiungo, rimanendo di stucco! Ci attende un paesaggio verde, degno di
quelli irlandesi visti in TV, siamo sulla sella che collega le due cime gemelle
poste agli antipodi: a destra la più alta di un metro, a sinistra l’altra. Ci troviamo
al centro della sella, scegliamo la sorella maggiore. Il sentiero è dolce,
delicato, per ghiaie, quasi farinose conquistiamo la vetta, materializzata da
un piccolo ometto proteso verso i baratri orientali.
Roberto, con dei sassi aumenta la corposità dell’ometto, io
mi dedico a piazzare un mini cavalletto, per la foto di rito. Successivamente ci dedichiamo a recuperare le energie,
ci copriamo, stando fermi il freddo si fa sentire. Il versante sulla Val
Cimoliana è totalmente coperto da nubi, quello che dà sul catino settentrionale
ne è sgombro. A volte il sole filtra tra le nubi, come per gioco, illustrandoci
una cima alla volta; quella che ci colpisce di più e la cima Pera, le sue rocce
illuminate sembrano uno specchio. Il silenzio regna sovrano, viviamo gli attimi
indimenticabili di chi conquista la vetta. Diventiamo sovrani, illudendoci di
dominare tutto.
Per il ritorno siamo d’accordo, scenderemo dal versante
inerbito, cercando di trovare una via accessibile, dall’alto notiamo subito che
dobbiamo superare un bel salto. Approntiamo gli zaini per la discesa, e
percorriamo la cresta fino al suo centro, trenta metri in meno rispetto alla
cima, da qui deviamo a caso per i ripidi verdi, spingendoci in basso. Ci
troviamo sul margine del salto, almeno venti metri, ci spingiamo a nord-est,
lungo il margine, finché troviamo un punto debole; un canalino accessibile e
friabile, con brevi passaggi di arrampicata in discesa. Perdiamo rapidamente
quota, ci abbassiamo su una striscia inerbita, tra le zolle, fino ad attraversare
un breve e delicato traverso che ci porta sui verdi prati inferiori. Speriamo
che le difficoltà siano finite, procediamo verso la base della vetta
occidentale, sembra di vedere una traccia, ci caliamo per il ripido verde,
costeggiando dei mughi, fino a raggiungere una paretina rocciosa. Con passaggi
di primo e primo più, su roccia friabile raggiungiamo la base inerbita, protetta
a occidente da mughi. Ispezioniamo la mugheta alla ricerca di una via di
uscita, ci troviamo al margine di una fascia rocciosa, verticale, alta almeno
50 metri, praticamente impraticabile. Osserviamo dall’alto la casera Cavalèt,
che ci appare vicina, e un puntino arancione, sembra una presenza umana.
Pazienza, suggerisco a Roberto di risalire di cinquanta metri il pendio erboso,
aggirando a nord una fitta mugheta, sperando di trovare una via d’uscita.
Infatti, Dopo i mughi, la pendenza del declivio è più dolce, la percorriamo
sempre in direzione nord-ovest, fino a trovare tracce di camoscio, che ci accompagnano
alla base del catino.
La casera è poco distante, per prati e poi per tracce ben
battute, la raggiungiamo. Notiamo all’esterno, che il puntino arancione con l’avvicinarsi
prende sembianze umane, fino a rivelarsi e presentarsi. L’escursionista solitario
è armato di teleobiettivi, ci ha immortalato durante le nostre peripezie. Ascolto
il buon Roberto conversare con il forestiero, mentre il sottoscritto circumnaviga
la casera, ispezionandone i locali. Do uno sguardo alle verdi valli del Cadore
e alle belle creste che circondano la valle. Chi ama la montagna, non può ignorare
questo magico luogo.
Nel frattempo dei cavalli selvaggi sopraggiungono dal bosco,
si fermano, ci osservano da lontano, vengono raggiunti da alcuni asini, intuisco
che siamo noi quelli fuori luogo.
Ci congediamo dal nuovo amico e rientriamo per il sentiero
365, che conduce alla lontana e ripida forcella del Frate. Iniziata la salita,
la percorriamo in silenzio religioso, procediamo lenti e con passo costante,
finché siamo in forcella. Do un’occhiata al GPS, l’altimetro segna che abbiamo
percorso in totale 1794 metri di dislivello, mancano 6 metri per fare 1800; con
spirito goliardico viriamo a destra della forcella, spingendoci fino a 1801
metri, poi ridiscendiamo.
Dalla forcella, con calma riprendiamo il viaggio del
ritorno, spesso ci fermiamo ad osservare le pareti rocciose, mentre l’azzurro
cielo si apre, donandoci luce e calore. Sulle ripide pareti meridionali poste
alle pendici della cima Laste, una famiglia di stambecchi è intenta nel vivere
quotidiano; la madre sembra indicare al cucciolo la nostra presenza, ha un
aspetto severo, sembra dirgli: <<Vedi figliolo, osserva quei due
individui, bene! Dimentica tutto, non è quello il giusto modo di
procedere!>>
Si rientra per Casera Laghét di sopra, poi Casera Laghét di
sotto e il successivo bosco, fino a valle. Un ultimo sguardo alla valle dei
Canton e la successiva immersione nel fitto bosco che ci porta al Pian della
Casa. Una coppia di escursionisti sopraggiunge dal sentiero che porta al bivacco
Gervasutti, sicuramente un‘altra storia vissuta.
Raggiunta l’auto,
sostiamo per togliere gli scarponi, presso una panca in legno dedicata ad un
escursionista. Un ultimo sguardo al bellissimo luogo. Penso che la bella e
selvaggia Val Cimoliana, sia un bellissimo libro di pagine bianche, dove ogni
spirito libero può scrivere le sue avventure.
Il forestiero nomade.
Malfa.
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