Cima 2062 m" Cima Spiriti Liberi dalla Val
Settimana :21 ago 2017
Anello del Ciol di Sass dalla Val Settimana.Note tecniche.
Localizzazione: Dolomiti Friulane; Gruppo Caserine-Cornaghet
Avvicinamento: Montereale Valcellina-Barcis-Cellino-Claut-Imbocco Val settimana- Sosta auto presso parcheggio subito dopo il ponte Sette Fontane (quota 815 m.).
Dislivello: 1300 m.
Dislivello complessivo: 1300 m.
Distanza percorsa in Km: 17 chilometri.
Quota minima partenza: 815 m.
Quota massima raggiunta: (Loris 2062 m; il resto del gruppo 2015 m.)
Tempi di percorrenza. Relativi, viste le ovvie difficoltà di orientamento.
In: Gruppo.
Tipologia Escursione: Selvaggia estrema.
Difficoltà: E.E.A.
Segnavia: CAI Sentiero dismesso 391
Attrezzature: Nessuna.
Croce di vetta: Nessuna.
Libro di vetta: Nessuno.
Timbro di vetta: Nessuno.
Cartografia consigliata: Tab 021-
Periodo consigliato: giugno-ottobre
Condizioni del sentiero: Spesso, quasi sempre inesistente.
Fonti d’acqua: I due Ciol.
Data: 21 agosto 2017.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione Tecnica.
Dal parcheggio Sette Fontane si procede per la vicina omonima casera, da quest’ultima un sentiero scende nel torrente Ciol di Sass, risalendolo sulla sinistra orografica. Seguendo i passaggi migliori e con alcuni passaggi di primo e secondo grado si risale il torrente fino a sbucare in una radura posta a 1400 metri di quota. La visuale si apre sulle cime che dominano il vallone. Si Punta a sud-est in direzione di un ghiaione che scende dalla forcella del Piovin posta alla base della verticale del Ciol di Sass. Si risale il faticoso ghiaione fino a raggiungere la forcella, la visuale si apre sulla valle del Piovin. Dalla forcella si nota un sentiero proveniente dalle creste nord orientali, e un altro poco marcato scende nella Val Piovin. Si risale per placche fino ad un piccolo ingrottamento posto alla base del picco roccioso che sovrasta a forcella. Sempre per placche, ma con passaggi di primo e secondo grado su roccia instabile si può percorrere la cresta e raggiungere la massima elevazione di 2062 m. Dalla forcella Piovin si scende per debole traccia di camosci all’interno dell’immenso catino, fino a raggiungere il centro di esso una zona piena di mughi. Prestando molta attenzione, si cerca tra i mughi stessi qualche ometto e si cerca di intuirne la direzione. Con un po’ di fortuna ci si cala nella vallata sottostante ricoperta sempre di mughi. Su un grosso masso erratico si trova un ometto, da quest’ultimo dopo pochi metri si incrocia un canalone detritico e ci si cala alla base di esso, mirando alla sinistra orografica del torrente Ciol val Piovin. Successivamente si entra in un bosco misto di betulle e faggi, e lo si attraversa seguendo i radi segni sulle cortecce degli alberi o gli ancora più radi ometti; fino ad attraversare un piccolo rio (ometti) e raggiungere un boschetto di mughi. Seguendo le rade tracce e qualche sparuto ometto con una serie di svolte si raggiunge il torrente Settimana e la valle omonima. Sempre guidati dagli ometti si sale sul ponte (Stavoli Gobbo) e percorrendolo a ritroso si raggiunge la località Sette Fontane (all’incirca due chilometri più a nord) dove si è lasciata l’auto.
Racconto.
Il Ciol di Sass è una bellissima elevazione, ben visibile da Claut, che si contraddistingue per le stratificazioni verticali, essa appare come una cattedrale gotica protesa verso il cielo. Questa bellissima elevazione, la noto ogni volta che rientro dal rifugio Pussa. Di recente dopo le escursioni nella val settimana, ho cominciato a buttar l’occhietto sulle cime minori (solo di altezza), e tra esse sono stato attratto dalla cattedrale protesa verso l’infinito. Dopo aver consultato la bibbia (la guida CAI del A.Berti) e visionato le escursioni del gruppo “Landre dai Salvadis e dell’”Orso” “Giorgio Madinelli, mi sono fatto un’idea della tipologia di escursione che dovevo affrontare. Un’avventura all’insegna del selvaggio, proprio da “spiriti liberi”. Propongo al mitico e leggendario duo “Federica Loris” di essermi compagni in questa impresa, loro accettano ben volentieri, quindi ci prepariamo per l’avventura. L’appuntamento è all’imbocco della val Settimana, presso Claut. Insieme con le auto procediamo all’interno della valle solcata dal torrente Settimana. Arrivati allo slargo Sette Fontane, approntiamo il materiale per l’escursione, la metamorfosi è istantanea, in pochi minuti siamo tre macchine da guerra; pronte a conquistare un picco di roccia spruzzato d’azzurro. Si parte alla volta della casera Sette Fontane, la superiamo, seguiamo il piccolo viottolo che ci accompagna dentro il greto del torrente Ciol di Sass. Lo guadiamo, aggirando alcuni grossi macigni, e trovando, sulla sponda opposta (sinistra orografica) tracce del vecchio sentiero CAI dismesso (391). Si tratta di una debole traccia, un sentiero di camosci, la vegetazione e gli arbusti ne hanno riconquistato il corso, troviamo radi segni sbiaditi. È un vero viaggio a ritroso nel tempo, risaliamo il Ciol da una sponda all’altra, cercando i passaggi migliori, per il sottoscritto per nulla facili, visto che ho ancora de chiodi piantati al dito anulare. Dimentico che viaggio con due amici, li sento più come fratelli guerrieri, indiani, apache, insieme stiamo scoprendo un mondo nuovo, un viaggio in un luogo mai visto, e raramente frequentato dal piede umano. Loro, i miei compagni di viaggio, si muovono indipendentemente: esplorano metro per metro il terreno, osservano la morfologia del luogo; trovano i punti più accessibili, ramo per ramo scorgono eventuali tagli, e da chi sono stati creati. Imparo osservandoli, in alcuni frangenti ci muoviamo in autonomia, attraversando il greto in punti diversi. Il torrente è lungo da risalire, e le sue cascate sono meravigliose, tali da incantarci, ma per l’emozione non piangiamo a dirotto, non possiamo permettercelo, l’ambiente è così umido e scivoloso che evitiamo di crearci altri problemi. Usciti dal greto del fiume e raggiunta la base dell’ampio vallone, scrutiamo le cime: a nord-est le creste di cima Prendera e cima Pradus, a sud-est le rampe rocciose dell’astronave, ovvero i piani inclinati dello Spiz Val Piovin e del Ciol di Sass. Ci siamo spinti così avanti che veniamo ingannati dal Ciol di Sass che scambiamo per lo Spiz di Val Piovin. Una traccia sull’erba porta a nord est, la evitiamo, ci guardiamo intorno, alla ricerca di un segno, di un ometto. Federica risale un canalino tra i mughi, sparendo dalla nostra visuale, Loris ripercorre a ritroso la vecchia traccia, io mi fermo su un dorso ad osservare un lungo canalone che scende dal falso Spiz, in realtà, esso porta alla forcella Piovin, ma questo lo scopriremo solo in seguito. Ritrovatici presso Federica (da una radura a nord-est, 100 metri in linea d’aria sopra di noi) si imbandisce in pochi secondi un punto di ristoro. Loris ed io, come due bimbi, ci lasciamo accudire, con un occhio alla mappa e l’altro alle cime, recuperando le energie. Si decide di puntare al canalone e risalirlo. Durante la faticosa salita a volte, abbiamo l’illusione di trovare ometti, ma è solo una pia speranza. Sotto le pareti del Ciol di Sass, troviamo i primi ometti, e qualche segno di passaggio, che si fa più marcato nei pressi della forcella. Quest’ultima viene raggiunta con fatica, e viene naturale per un attimo sganciare gli zaini e librarsi in aria. Loris prima di proseguire, si concede un’affilata crestina a nord, solo per allenarsi all’arte del funambolo; i suoi fans ne vanno pazzi, e quelli a cui sta sul …, si incazzano ancora di più. La provocazione è vita, e viva la vita!
Federica ed io ci prepariamo per l’ultimo tratto, l’assalto alla cima. Controllo gli strumenti, e qualcosa non mi convince, oh, oh! Ho la vaga impressione di avere la cima sopra la testa, infatti abbiamo superato Il Ciol di Sass, in linea d’aria di dieci metri, e sulla forcella calano a picco i suoi cento metri verticali. Al rientro, Loris viene informato della macabra scoperta, si decide di scendere di alcuni metri, e valutare se fare la cima “B”, ovvero quella senza nome chiamata “cima 2062 metri”, o addirittura fare una pazzia: scendere dalla val Piovin e risalire lo Spiz, insomma altre due ore minimo. Scesi di alcuni metri sulla val Piovin, splendida e selvaggia, abbandoniamo gli zaini, e partiamo per la cima 2062, risalendo le quasi verticali placche. Verso quota 2000 metri il sottoscritto è impossibilitato a salire per le asperità ambientali, Federica si ferma dieci metri sopra, mentre l’impavido Loris procede come un camoscio, fino a vedere svanire la sua immagine in controluce dietro la placca. Attimi di silenzio, poi con la Federica ci parliamo, assicurandoci che stiamo bene. Lei decide di scendere, visto che è impossibilitata a fare l’opposto, nel frattempo un urlo disumano, e poi umano squarcia il silenzio! <<Cima, cima, wow, sono in cima!>> La voce raggiante di felicità di Loris continua nel suo urlo di gioia! Naturalmente si esime dal piangere copiose lacrime, per non rendersi umida e scivolosa la discesa. Io e Federica, nel frattempo scendiamo fino agli zaini, e ci guardiamo la scena. La sagoma di un folle che domina la cresta, che danza al cospetto del dio sole. Ci ridiamo su, Loris si fa sicuramente un selfie, e dovrà usare Photoshop per inserire i suoi compagni d’avventura. Recuperato Loris, che durante la discesa farfuglia qualcosa, ci concediamo una pausa. Osserviamo la cima dal cellulare, bella, che figata, la ribattezziamo cima “Spiriti Liberi”. Ora ci aspetta il peggio, ovvero la discesa verso l’ignoto. Un debole traccia, quella che rimane del primordiale sentiero CAI, presto svanisce nei mughi sottostanti, noi ci portiamo al centro della valle, tra mughi e ghiaie. Siamo a ridosso del vallone , ma niente tracce o segni! Si cerca, finché qualcuno di noi grida <<Ometto!!>>. E si va in quella direzione, ma dopo pochi metri, di nuovo la stessa musica, e così all’infinito, finché riusciamo a scendere, sempre tra i mughi, nel vallone. Tracce, ometti e rami tagliati ci illudono, come ci sconforta la loro scomparsa. Tra peripezie, tentativi, intuizioni, e tanto senso dell’orientamento, raggiungiamo un enorme masso errante, con su un ometto, che indica il nulla, perché dopo di esso, altro super ravanamento ad oltranza. Poco sotto l’enorme masso scorgiamo la lingua di un ghiaione, e per sci-ghiaismo raggiungiamo la base di esso. Altro grido sovrumano di Loris <<Ometto, anzi due!>> Il nostro esploratore, gongola, felice come un bambino a cui hanno donato il trenino elettrico, ma queste euforia dura solo pochi metri, cominciamo a pensare all’ipotesi di pernottare in montagna. Stavolta abbiamo trovato una valida traccia, grazie allo scout Federica, che si muove come un furetto tra i mughi, altra traccia, ramo spezzato, altro ramo spezzato, ci siamo! Ci caliamo sul greto di un torrentello e lo attraversiamo, ora siamo dentro il bosco. La traccia debole, per noi, è come un’autostrada, radi ometti, ma le difficoltà non sono finite. Dopo aver perso quota la debole traccia svanisce. Il mio istinto è di scendere a fil di bosco costeggiando la forra, Loris lo sconsiglia, siamo al limite di un dirupo, si procede a oriente, insomma, ravaniamo un’altra mezzora abbondante, stavolta Loris decide di esplorare a occidente, il tratto che ho proposto in precedenza, altro urlo << Ometto, un altro, due!>> Stavolta ci siamo, entriamo nell’ultimo tratto della boscaglia, regno delle zecche, Loris ne becca subito una, io ne porto una a casa come souvenir. Procedendo per ripidi tornanti, raggiungiamo il greto del torrente Settimana. Fatta! Siamo sulla strada, sostiamo nei pressi del ponte in località Stavoli Gobbo, e ci rilassiamo, concedendoci un selfie con le magliette stile wild. Ultimi due chilometri da fare a piedi, percorrendo in salita la rotabile all’interno della valle. Abbiamo l’aspetto stanco, Federica ci precede in solitaria. Raggiunte le auto, deponiamo le armi. Chiedo all’esperto Loris, il grado di difficoltà dell’escursione appena finita. Mi risponde dall’alto della sua esperienza <<Alto!>> Per via dell’orientamento e lo stress, tecnicamente, medio visto che i passaggi non superano il secondo grado più. Con uno stretto e forte abbraccio ci congediamo, ponendo termine all’escursione, sulla cima meno alta di dieci metri del Ciol, la cima “Spiriti Liberi”
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Dal parcheggio Sette Fontane si procede per la vicina omonima casera, da quest’ultima un sentiero scende nel torrente Ciol di Sass, risalendolo sulla sinistra orografica. Seguendo i passaggi migliori e con alcuni passaggi di primo e secondo grado si risale il torrente fino a sbucare in una radura posta a 1400 metri di quota. La visuale si apre sulle cime che dominano il vallone. Si Punta a sud-est in direzione di un ghiaione che scende dalla forcella del Piovin posta alla base della verticale del Ciol di Sass. Si risale il faticoso ghiaione fino a raggiungere la forcella, la visuale si apre sulla valle del Piovin. Dalla forcella si nota un sentiero proveniente dalle creste nord orientali, e un altro poco marcato scende nella Val Piovin. Si risale per placche fino ad un piccolo ingrottamento posto alla base del picco roccioso che sovrasta a forcella. Sempre per placche, ma con passaggi di primo e secondo grado su roccia instabile si può percorrere la cresta e raggiungere la massima elevazione di 2062 m. Dalla forcella Piovin si scende per debole traccia di camosci all’interno dell’immenso catino, fino a raggiungere il centro di esso una zona piena di mughi. Prestando molta attenzione, si cerca tra i mughi stessi qualche ometto e si cerca di intuirne la direzione. Con un po’ di fortuna ci si cala nella vallata sottostante ricoperta sempre di mughi. Su un grosso masso erratico si trova un ometto, da quest’ultimo dopo pochi metri si incrocia un canalone detritico e ci si cala alla base di esso, mirando alla sinistra orografica del torrente Ciol val Piovin. Successivamente si entra in un bosco misto di betulle e faggi, e lo si attraversa seguendo i radi segni sulle cortecce degli alberi o gli ancora più radi ometti; fino ad attraversare un piccolo rio (ometti) e raggiungere un boschetto di mughi. Seguendo le rade tracce e qualche sparuto ometto con una serie di svolte si raggiunge il torrente Settimana e la valle omonima. Sempre guidati dagli ometti si sale sul ponte (Stavoli Gobbo) e percorrendolo a ritroso si raggiunge la località Sette Fontane (all’incirca due chilometri più a nord) dove si è lasciata l’auto.
Racconto.
Il Ciol di Sass è una bellissima elevazione, ben visibile da Claut, che si contraddistingue per le stratificazioni verticali, essa appare come una cattedrale gotica protesa verso il cielo. Questa bellissima elevazione, la noto ogni volta che rientro dal rifugio Pussa. Di recente dopo le escursioni nella val settimana, ho cominciato a buttar l’occhietto sulle cime minori (solo di altezza), e tra esse sono stato attratto dalla cattedrale protesa verso l’infinito. Dopo aver consultato la bibbia (la guida CAI del A.Berti) e visionato le escursioni del gruppo “Landre dai Salvadis e dell’”Orso” “Giorgio Madinelli, mi sono fatto un’idea della tipologia di escursione che dovevo affrontare. Un’avventura all’insegna del selvaggio, proprio da “spiriti liberi”. Propongo al mitico e leggendario duo “Federica Loris” di essermi compagni in questa impresa, loro accettano ben volentieri, quindi ci prepariamo per l’avventura. L’appuntamento è all’imbocco della val Settimana, presso Claut. Insieme con le auto procediamo all’interno della valle solcata dal torrente Settimana. Arrivati allo slargo Sette Fontane, approntiamo il materiale per l’escursione, la metamorfosi è istantanea, in pochi minuti siamo tre macchine da guerra; pronte a conquistare un picco di roccia spruzzato d’azzurro. Si parte alla volta della casera Sette Fontane, la superiamo, seguiamo il piccolo viottolo che ci accompagna dentro il greto del torrente Ciol di Sass. Lo guadiamo, aggirando alcuni grossi macigni, e trovando, sulla sponda opposta (sinistra orografica) tracce del vecchio sentiero CAI dismesso (391). Si tratta di una debole traccia, un sentiero di camosci, la vegetazione e gli arbusti ne hanno riconquistato il corso, troviamo radi segni sbiaditi. È un vero viaggio a ritroso nel tempo, risaliamo il Ciol da una sponda all’altra, cercando i passaggi migliori, per il sottoscritto per nulla facili, visto che ho ancora de chiodi piantati al dito anulare. Dimentico che viaggio con due amici, li sento più come fratelli guerrieri, indiani, apache, insieme stiamo scoprendo un mondo nuovo, un viaggio in un luogo mai visto, e raramente frequentato dal piede umano. Loro, i miei compagni di viaggio, si muovono indipendentemente: esplorano metro per metro il terreno, osservano la morfologia del luogo; trovano i punti più accessibili, ramo per ramo scorgono eventuali tagli, e da chi sono stati creati. Imparo osservandoli, in alcuni frangenti ci muoviamo in autonomia, attraversando il greto in punti diversi. Il torrente è lungo da risalire, e le sue cascate sono meravigliose, tali da incantarci, ma per l’emozione non piangiamo a dirotto, non possiamo permettercelo, l’ambiente è così umido e scivoloso che evitiamo di crearci altri problemi. Usciti dal greto del fiume e raggiunta la base dell’ampio vallone, scrutiamo le cime: a nord-est le creste di cima Prendera e cima Pradus, a sud-est le rampe rocciose dell’astronave, ovvero i piani inclinati dello Spiz Val Piovin e del Ciol di Sass. Ci siamo spinti così avanti che veniamo ingannati dal Ciol di Sass che scambiamo per lo Spiz di Val Piovin. Una traccia sull’erba porta a nord est, la evitiamo, ci guardiamo intorno, alla ricerca di un segno, di un ometto. Federica risale un canalino tra i mughi, sparendo dalla nostra visuale, Loris ripercorre a ritroso la vecchia traccia, io mi fermo su un dorso ad osservare un lungo canalone che scende dal falso Spiz, in realtà, esso porta alla forcella Piovin, ma questo lo scopriremo solo in seguito. Ritrovatici presso Federica (da una radura a nord-est, 100 metri in linea d’aria sopra di noi) si imbandisce in pochi secondi un punto di ristoro. Loris ed io, come due bimbi, ci lasciamo accudire, con un occhio alla mappa e l’altro alle cime, recuperando le energie. Si decide di puntare al canalone e risalirlo. Durante la faticosa salita a volte, abbiamo l’illusione di trovare ometti, ma è solo una pia speranza. Sotto le pareti del Ciol di Sass, troviamo i primi ometti, e qualche segno di passaggio, che si fa più marcato nei pressi della forcella. Quest’ultima viene raggiunta con fatica, e viene naturale per un attimo sganciare gli zaini e librarsi in aria. Loris prima di proseguire, si concede un’affilata crestina a nord, solo per allenarsi all’arte del funambolo; i suoi fans ne vanno pazzi, e quelli a cui sta sul …, si incazzano ancora di più. La provocazione è vita, e viva la vita!
Federica ed io ci prepariamo per l’ultimo tratto, l’assalto alla cima. Controllo gli strumenti, e qualcosa non mi convince, oh, oh! Ho la vaga impressione di avere la cima sopra la testa, infatti abbiamo superato Il Ciol di Sass, in linea d’aria di dieci metri, e sulla forcella calano a picco i suoi cento metri verticali. Al rientro, Loris viene informato della macabra scoperta, si decide di scendere di alcuni metri, e valutare se fare la cima “B”, ovvero quella senza nome chiamata “cima 2062 metri”, o addirittura fare una pazzia: scendere dalla val Piovin e risalire lo Spiz, insomma altre due ore minimo. Scesi di alcuni metri sulla val Piovin, splendida e selvaggia, abbandoniamo gli zaini, e partiamo per la cima 2062, risalendo le quasi verticali placche. Verso quota 2000 metri il sottoscritto è impossibilitato a salire per le asperità ambientali, Federica si ferma dieci metri sopra, mentre l’impavido Loris procede come un camoscio, fino a vedere svanire la sua immagine in controluce dietro la placca. Attimi di silenzio, poi con la Federica ci parliamo, assicurandoci che stiamo bene. Lei decide di scendere, visto che è impossibilitata a fare l’opposto, nel frattempo un urlo disumano, e poi umano squarcia il silenzio! <<Cima, cima, wow, sono in cima!>> La voce raggiante di felicità di Loris continua nel suo urlo di gioia! Naturalmente si esime dal piangere copiose lacrime, per non rendersi umida e scivolosa la discesa. Io e Federica, nel frattempo scendiamo fino agli zaini, e ci guardiamo la scena. La sagoma di un folle che domina la cresta, che danza al cospetto del dio sole. Ci ridiamo su, Loris si fa sicuramente un selfie, e dovrà usare Photoshop per inserire i suoi compagni d’avventura. Recuperato Loris, che durante la discesa farfuglia qualcosa, ci concediamo una pausa. Osserviamo la cima dal cellulare, bella, che figata, la ribattezziamo cima “Spiriti Liberi”. Ora ci aspetta il peggio, ovvero la discesa verso l’ignoto. Un debole traccia, quella che rimane del primordiale sentiero CAI, presto svanisce nei mughi sottostanti, noi ci portiamo al centro della valle, tra mughi e ghiaie. Siamo a ridosso del vallone , ma niente tracce o segni! Si cerca, finché qualcuno di noi grida <<Ometto!!>>. E si va in quella direzione, ma dopo pochi metri, di nuovo la stessa musica, e così all’infinito, finché riusciamo a scendere, sempre tra i mughi, nel vallone. Tracce, ometti e rami tagliati ci illudono, come ci sconforta la loro scomparsa. Tra peripezie, tentativi, intuizioni, e tanto senso dell’orientamento, raggiungiamo un enorme masso errante, con su un ometto, che indica il nulla, perché dopo di esso, altro super ravanamento ad oltranza. Poco sotto l’enorme masso scorgiamo la lingua di un ghiaione, e per sci-ghiaismo raggiungiamo la base di esso. Altro grido sovrumano di Loris <<Ometto, anzi due!>> Il nostro esploratore, gongola, felice come un bambino a cui hanno donato il trenino elettrico, ma queste euforia dura solo pochi metri, cominciamo a pensare all’ipotesi di pernottare in montagna. Stavolta abbiamo trovato una valida traccia, grazie allo scout Federica, che si muove come un furetto tra i mughi, altra traccia, ramo spezzato, altro ramo spezzato, ci siamo! Ci caliamo sul greto di un torrentello e lo attraversiamo, ora siamo dentro il bosco. La traccia debole, per noi, è come un’autostrada, radi ometti, ma le difficoltà non sono finite. Dopo aver perso quota la debole traccia svanisce. Il mio istinto è di scendere a fil di bosco costeggiando la forra, Loris lo sconsiglia, siamo al limite di un dirupo, si procede a oriente, insomma, ravaniamo un’altra mezzora abbondante, stavolta Loris decide di esplorare a occidente, il tratto che ho proposto in precedenza, altro urlo << Ometto, un altro, due!>> Stavolta ci siamo, entriamo nell’ultimo tratto della boscaglia, regno delle zecche, Loris ne becca subito una, io ne porto una a casa come souvenir. Procedendo per ripidi tornanti, raggiungiamo il greto del torrente Settimana. Fatta! Siamo sulla strada, sostiamo nei pressi del ponte in località Stavoli Gobbo, e ci rilassiamo, concedendoci un selfie con le magliette stile wild. Ultimi due chilometri da fare a piedi, percorrendo in salita la rotabile all’interno della valle. Abbiamo l’aspetto stanco, Federica ci precede in solitaria. Raggiunte le auto, deponiamo le armi. Chiedo all’esperto Loris, il grado di difficoltà dell’escursione appena finita. Mi risponde dall’alto della sua esperienza <<Alto!>> Per via dell’orientamento e lo stress, tecnicamente, medio visto che i passaggi non superano il secondo grado più. Con uno stretto e forte abbraccio ci congediamo, ponendo termine all’escursione, sulla cima meno alta di dieci metri del Ciol, la cima “Spiriti Liberi”
Il “Forestiero Nomade”
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