Monte Paularo(Ferigo)
2043 m, MONTE Dimon 203 m.
Note tecniche.
Localizzazione: Alpi Carniche Centrali.
Avvicinamento: Tolmezzo- Arta Terme- Paluzza-Treppo
Carnico-Ligosullo- Albergo Castel Valdaier.
Punto di Partenza: Albergo Castel Valdaier quota 1340 m.
Tempi di marcia escludendo le soste: 5 ore.
Dislivello in salita: 703 m.
Dislivello complessivo:836 m.
Distanza percorsa in Km: 15,3 km
Quota minima partenza: quota 1340 m.
Quota massima raggiunta: 2043 m.
Condizioni Meteo: Cielo sgombro di nuvole, ma temperatura
gelida.
Segnavia: CAI 404.
Fonti d’acqua: Fontane lungo la forestale che porta ali
laghi.
Difficoltà: Escursionistico.
Attrezzature : Nessuna.
Cartografia consigliata. Tabacco 09.
Data: 28 novembre 2015.
Condizioni del sentiero:
Periodo consigliato: Tutto l’anno.
Il vostro “ Forestiero Nomade”.
Malfa.
Monte Paularo, dopo avere rinviato per tanti anni, finalmente
ho deciso, che questo fine sarei salito sul monte. Un ‘escursione da dedicare
all’amico Marco Ferigo, che in questi giorni è ricoverato in ospedale! Dedicata
a Marco, che l’ha conquistato almeno un centinaio di volte, in tutte le salse e
in tutte le stagioni, tale è il suo amore per questo monte, che ho deciso di
chiamarlo Monte Ferigo. Mi sorprende che il comune di Paularo non sia a conoscenza
di questo suo illustre cittadino che ha sacrificato il suo tempo libero (immolando
un’anca) a questa prestigiosa e storica cima! Alla grave mancanza ho provveduto
io sabato mattino. Preparatomi al gran freddo e alla neve, mi sono organizzato
per tutte le evenienze, portandomi al seguito ramponi e piccozza. Alle prime luci
dell’alba vagavo nella valle del But, osservando i lontani monti e cercando di
intuire la situazione neve sul Monte Paularo. Superata Arta Terme la situazione
mi è chiara, il monte Paularo è innevato anche in quota intermedia sul versante
occidentale, quindi all’ultimo secondo decido di adottare il piano B, cioè
salire dai pendii meridionali di Ligasullo, e non dal classico e oserei dire
banale percorso che parte da Casera Pramosio. Superata Paluzza e Treppo Carnico
sono a Ligosullo, così addentrandomi nella Carnia Orientale, risalgo la vecchia
rotabile che superato il vecchio borgo precedentemente citato mi porta dopo una
serie di tornanti nell’ampio pianoro di Valdaier, dominato dal castello omonimo.
L’ampio prato è ricoperto di neve, posteggio l’auto e mi attrezzo! La temperatura
è bassa, zaino in spalle, si parte con il fido Magritte! Seguendo la strada forestale a settentrione
del castello (color giallo di cadmio scuro) dopo una serie di indicazioni pervengo
in prossimità di un cartello CAI, posto alla sinistra della rotabile, con su
scritte le indicazioni per la meta di oggi. Il sentiero, una vecchia mulattiera
di guerra risale il ripido pendio boschivo fino a raggiungere un ampia distesa prativa
totalmente ricoperta di neve, posta pochi metri sopra la malga “Casera
Valdaier”. Dal camino di quest’ultima fuoriesce del fumo, un’immagine bucolica
che ben si integra con il paesaggio dominato dal Monte Sernio. Comincio a sentire
caldo, mi alleggerisco un po’, poggiando lo zaino sotto un albero da dove una
voce richiama la mia attenzione, penso:-<< E’ così magico questo luogo,
che anche gli alberi parlano>>. Invece è la calda voce è di un anziano
signore, un simpatico ottantenne che ha passato la notte all’agghiaccio essendo
a caccia di selvaggina, ma suo malgrado ha trovato solo sogni da raccontare ai nipotini.
Intrattengo una cordiale conversazione con il simpatico nonnino, nel frattempo sopraggiunge
il figlio, armato fino ai denti ma con la sacca vuota. Bella questa gente
carnica, calda, cordiale, ospitale, gente vera. Nel loro sguardo incontri la
bontà, pronti a donarti tutto, e rispettosi dei forestieri. Mi congedo da loro,
e risalgo la vecchia mulattiera nascosta tra le fronde degli alberi che parte a
nord est della casera. Pochi metri ancora e lo storico sentiero sbuca alla base
di un pendio innevato, con chiazze d’erba dorate. La morbida neve rende l’incedere
del mio passo poco faticoso, affondando lo scarpone solo pochi centimetri ove è
possibile. Purtroppo la segnaletica è coperta dalla neve. Sotto la cima Val de
Legnan la traccia si sdoppia, seguo quella a destra che risale sulla crestina
sotto la prima vetta. Un osservatorio di
guardacaccia è posto come punto di riferimento, il paesaggio si apre sul
versante occidentale dominato dallo Zermula e dalle altre cime non minori. Il
mio proseguo è sul crinale della cresta, ripido e faticoso, pochi segni CAI
dipinti sui sassi. Così raggiungo la prima cima di oggi (Cima Val di Legnan posta
a quota 1709 metri) materializzata da un ripetitore TV. Primo sguardo sull’ampio
panorama , ho le idee chiare, voglio arrivare sul Paularo dominando le creste.
L’azzurro cielo e i monti innevati mi stimolano all’impresa. Proseguo seguendo
le orme dei viandanti che mi hanno preceduto, direzione nord ovest puntando al monte
Neddis. La pendenza è moderata, la neve sul calpestio del sentiero si mantiene
bassa; mi godo il momento, marciando verso il monte , il cui profilo è solcato
sui fianchi dalla mulattiera. Magritte è felicissimo, scorrazza a destra e
manca, giocando con la neve, in questo frangente penso che la felicità è
rendere felici gli altri, donarsi, forse la quota e il freddo mi danno al
cervello, continuando così sul Paularo sarò Papa. Poco sotto la cima del Neddis
vengo raggiunto da una ragazza bionda, senza zaino, che non cammina sulla neve,
ma la sfiora! Mi chiede l’ora, gli rispondo subito:-<< Sono le dieci e
undici >>, la seguo nel suo incedere veloce, e penso! - <<Senza
zaino, bionda, occhi celesti, è una Dea, si ne sono sicuro, la Dea
Diana!>>. In breve la ragazza raggiunge la cima, io erroneamente mi ero
spostato sull’ante cima, e con questa operazione stavo affossando in un
canalone con mezzo metro di neve. Ella scende in mio soccorso consigliandomi di
seguire i suoi passi, e infatti noto una croce luminosa nella direzione da dove
proviene. Raggiunta la fanciulla, scoprivo con sorpresa che non era una figlia
di Giove, ma della Carnia, ovvero una guardia forestale, tosta ed esperta!
Congedatomi da questo secondo incontro, conquisto la seconda cima materializzata
da un piccola croce in legno ricoperta
da ghiaccio (Monte Neddis quota 1990). Neve, neve e ancora neve! E io sto godendo,
anzi sono in estasi. Scendo il crinale
senza seguire tracce, ma procedendo d’istinto e cercando i passaggi migliori. I
fili d’erba sono cristallizzati, alcuni si rompono scricchiolando, sembra di
trovarsi dentro una cristalleria, e io mi muovo come un elefante dentro di essa.
Raggiungo Il limite della cresta a occidente, scendo il dolce pendio che mi
adagia sulla forcella tra il monte Dimon e il Dinner. Un cartello CAI è posto
al centro dove il sentiero 404 si sposa con il 406 che scende a meridione. Proseguo
per cresta, un'altra cima mi aspetta. Il monte Dimon, che è posto davanti a me,
seguo quello che riesco a intuire del sepolto sentiero zizzagando fino a
raggiungere la cresta, un branco di cerbiatti attira la mia attenzione, dopo la
Dea ora ecco la fauna. Il sentiero ora malgrado la neve è marcato, sono a pochi
metri dalla cima del Dimon, cammino sopra un evidente trincea, lunghissima e profonda,
la massima elevazione è materializzata da un paletto CAI. Mi fermo e mi delizio
del paesaggio, eh sì! Spettacolare, a trecentosessanta gradi le ALPI, dalle
Dolomiti alle Giulie, passando per la Carnia, a nord ovest l’obbiettivo finale,
il monte Ferigo (Paularo). Il Paularo che non mi intimorisce, sembra un
pandoro, facilmente raggiungibile da una rotabile, che lo denigra, io per
rispetto dell’amico e del monte stesso dimentico lo scempio compiuto dall’uomo
e continuo per il sentiero. Dall’alto noto il piccolo laghetto del Dimon,
proseguo lungo la bellissima cresta, mantenendomi a filo per non infossarmi
nella copiosa neve fino a raggiungere una traccia, mi abbasso e con essa perdo
quota raggiungendo un tratto ripido e infido, risalgo a ritroso e intraprendo
un percorso meno esposto fino a raggiungere il sentiero sottostante segnato CAI
404. Da qui con meno difficolta procedo in direzione della Casera Montelago
dove il sentiero si collega con la strada forestale proveniente da Valdaier. Poco
prima di immettermi sulla strada ho notato un escursionista solitario
proveniente dal basso. Zaino rosso, reflex, prosegue verso la mia futura
direzione, per poco non ci incrociamo, ma appuntamento rimandato di pochi
istanti. Ci incontriamo sotto la cima, ci presentiamo, beh, uno spirito libero riconosce
i suoi simili a volo. Decidiamo di fare gli ultimi 40 metri di dislivello
insieme, in pochi metri di dislivello istauriamo una corposa conversazione. Poche
le differenze, io ho un cagnetto al seguito e lui la sua mountain bike lasciata
pochi metri prima, io ho capelli spettinati e bianchi e lui è pelato. Quasi un coetaneo,
lui di un anno meno giovane! Raggiungiamo la cima come se fossimo partiti
insieme. Gli confesso del mio voto fatto a Marco Ferigo, a cui dedico la fatica
odierna. Dario, il nome dello spirito libero incontrato, mi confessa che ci è
quasi nato in questo sito, il Paularo è una delle cime a cui è più affezionato,
e che ho fatto la scelta giusta, sia come itinerario, che come stagione. Passiamo
la prima mezz’ora a guardarci intorno e scambiarci le impressioni sulle cime
fatte e riconosciute, e su quelle non fatte, scambio di informazioni, nel
frattempo consumiamo il pranzo servendolo con un the caldo. Nel frattempo veniamo
raggiunti da un gruppo numeroso di escursionisti, la temperatura si abbassa
velocemente. Fatte le dovute foto, e dopo esserci coperti per bene intraprendiamo
il viaggio di ritorno. Dario voleva fare il mio giro di cresta, ma trovata
piacevole la compagnia decide di rinunciare al ritorno in solitaria. Recuperata
la sua Bici, rientriamo per la strada forestale che taglia il versante
meridionale del monte, tra foto, scambio di informazioni, cazzeggio e qualche
pensiero profondo raggiungiamo il punto di partenza, che è comune. Un caldo e
sincero saluto, promettendoci un arriderci. L’auto mi aspetta in un angolo dello
spiazzo innevato, mi congedo da questo fantastico luogo, con mille pensieri in
mente, ma uno in particolare. Monte Ferigo (Paularo per i più), per me da oggi
sarà la cima dell’amicizia, sono venuto per una promessa a un amico e ho incontrato
persone meravigliose, triplicando le amicizie. Ora capisco perché Marco ne è
estasiato. E voi, del Comune di Paularo, prendete in considerazione l’ipotesi
di dedicare una cima a una persona normale, a Marco Ferigo, che non ha ucciso
nessuno, non ha vinto una guerra, e che ha una famiglia, figli, nipoti, ma
soprattutto un cuore grande. Perché non dedicare i monti a persone speciali?
Appunto, perché nella sua semplicità è speciale, Io gli ho dedicato un
escursione, un giorno della mia vita, e gliene sono grato!
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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