Un camminare
sognando verso il monte Medol.
Sono euforico,
il cielo colo cobalto e i colori dorati pendii erbosi mi hanno caricato, canto
a squarcia gola canzoni dei Beatles, mentre il passo incede velocemente.
Magritte è smarrito, ci mette un bel po’ ad abituarsi alla mia eccentricità,
tiene le orecchie ben aderenti alla testa, evidentemente sono stonato come una
campana. Siamo entrambi felici: il fido sa di essere nel suo habitat naturale,
e io mi di illudo che sia anche il mio. La strada asfaltata non dà fastidio,
sono intento a contemplare le cime lontane imbiancate. La bellissima cresta al
confine con l’Alpago irradia luce, i monti Messer, Venal e il bel Crep Nudo
emettono energia a cui attingo. Abbandono l’asfalto, continuo per un breve
tratto di sentiero, poi di nuovo un tratto di strada che taglio rientrando nel
bosco. Adoro i faggi ignudi, le loro vesti giacciono e formano un morbido
tappeto rosso. La carrareccia mi guida dentro la faggeta, mi fermo presso uno
stagno ad ammirare la flora e l’azzurra volta specchiata in esso. Magritte non
mi segue fuori sentiero, è un diligente soldatino, sa che mi deve condurre in
cima e vuole assolvere con disciplina al suo compito.
Attraverso i
rami intravedo una casa, poi un’altra. Sembrano quelle che costruivo da piccolo
con i mattoncini di plastica: hanno pareti bianche, tetto rosso e davanti un
bel prato, cambia soltanto il colore delle finestre. Rifletto sul nome del
luogo: Villa Emma. Che strano nome, come se l’architetto avesse dedicato
quest’opera architettonica al suo amore, un grande amore, un amore perduto che
rimane nella memoria, e nelle opere di chi solo lo ha vissuto.
Seguo la
cartellonistica dei sentieri, e procedo a occidente per il monte Medol. Il
bosco di faggi mi prende, e i rari tassi, con l’aumentare della quota si fanno
più preziosi. A un bivio, segnato con cartelli, proseguo a destra, dopo aver
guadato un rio per la bella mulattiera, tanto ampia da ospitare un autocarro.
Percorro le pendici del monte per ampi tornanti, mentre la monotonia del
tracciato libera i pensieri che solitamente vengono celati. La mulattiera è ben
costruita e rifinita, le foglie che la coprono variano da tratto a tratto, ora
di faggio, poi di acero e con il naso all’insù osservo i loro padri ormai
spogli ma belli e possenti. I tassi invece sfoggiano la verde chioma color
smeraldo: sono i veterani del bosco, in alto, nel bosco troverò il loro re
millenario.
Tra la
vegetazione scorgo un volto, silenzioso, di aspetto maschile, il suo profilo è
rivolto a oriente, ne percepisco la sofferenza. Camminando continuo a scrutare
nella faggeta e la figura di una “Nobile Dama” attira le mie attenzioni: deve
essere una marchesa dai liberi costumi, le osservo il collo e i seni ignudi,
come se avesse appena finito di fare l’amore. Il sentiero coperto di foglie
m’inganna e mi porta al cospetto dell’immane tasso. Esso è maestoso, le radici
si propagano nel terreno come tentacoli, per poi restringersi nel tronco prima
di espandere le fronde nel cielo ora color lapislazzuli. Impossibile non
rimanere silenti davanti a un Dio, e lui lo è.
Trovata la
labile traccia, la seguo fino alla cima….
Malfa.
Nessun commento:
Posta un commento