Colle degli Spiriti Liberi e Col Monaco
Solo racconto:
Avventura introspettiva presso i verdi colli della
comunità montana di Castelnovo. Località che amo e che sin dal 2003 è stata il
mio ABC della montagna e della libertà intesa come muoversi nella natura. Il
lungo protrarsi del periodo di clausura a causa del Covid 19 stimola brevi
viaggi a pochi metri da casa, quindi, dopo aver visitato la vetta del selvaggio
monte Santo con partenza da Lestans, ho deciso di continuare a peregrinare
nella medesima località per scoprire cosa si cela oltre lo stesso monte. Stavolta
come luogo di partenza ho scelto il Comune di Paludea, lasciando il l’automezzo
presso l’adibito parcheggio di una pizzeria- trattoria non più in attività
(Locanda al Borgo). Decido di compiere un anello in senso antiorario, risalendo
sino alle frazioni di Faviz e Rez tramite una stradina di servizio, per poi
imboccare una remota carrareccia che taglia le pendici meridionali del monte
Santo. Bello quest’ultimo tratto, percorso ora solo dagli amanti della montagna
e della mountain bike. Scopro tra le fronde della selvaggia vegetazione i
remoti ruderi abbandonati dal tempo, a tale visione mi si apre il cuore. Adesso
non sono più il fuggitivo viandante, ma un uomo perduto nel tempo. Percorro
questa carrareccia, ammirando tutte le singole foglie, da quelle rosse come
l’amore alle altre imbrunite e prossime alla caduta, lasciandomi rapire dai
disegni surreali dei fiori oltre tempo, e altro ancora, tipo l’osservare i
singoli alberi per cercare di indovinarne la specie. Querce, acacie, faggi,
noci e castagni fanno a gara a confondermi le idee, scruto le foglie per terra
e le cortecce per avere più indizi, è un universo di sapere e poesia che
bisogna conoscere e saper leggere. La strada di campagna si stringe sino a
divenire sentiero, un bel viottolo che birbante passa tra le braccia scarne dei
vetusti alberi. Giunto presso una forcella senza nome scorgo tracce di
passaggio alla mia destra, uno sguardo alla mappa, e miro al vertice della
quota 451 m. chissà cosa scoprirò? Poco sotto il crinale, un fitto
raggruppamento di scarni noccioli mi devia la direzione, lo aggiro a destra, ed
eccomi sul filo di cresta. Un crinale di roccia, coperto e velato da una
impervia vegetazione che ne oscura la visione sulle sorelle prossime. Percorro
la cresta, sono in prossimità della massima quota, eccola 30 metri più avanti,
aggiro della vegetazione che mi ostacola, e mi avvicino al masso da dove dei giovani
arbusti ne coprono il vertice. La pietra sarà alta un paio di metri, un balzo e
sono al vertice. Scopro con piacere sulla roccia che è stato cementato il
tondino IGM in metallo con un triangolino e la scritta “Chi danneggia è
punito”, mi pare giusta la minaccia. Idea! Battezzo il colle. Che nome gli do?
Indovinate, facile, “Colle degli Spiriti Liberi”. Libero il masso dalla
vegetazione superflua, e installo in una cavità insita nello stesso masso un
contenitore con il simbolo del gruppo, una penna e dei fogli per apportare il
segno del passaggio. Felice e contento della meta raggiunta, ossia i 451 metri di quota della libertà, riprendo
il cammino. Raggiunta la forcella, mi rendo conto che ho smarrito la mappa che
avevo al seguito, mi sarà caduta dalla tasca della giacca, ma ho un’ottima
memoria, quindi proseguo a sinistra, prima per il sentiero, passando proprio
sotto un gigantesco castagno, davvero mirabile la sua imponente figura, un
magnifico re del bosco. Ancora pochi metri di sentiero e raggiungo una
carrareccia. Quest’ultima risale il versante settentrionale del monte Santo e
si inoltra sino a Celante di Castelnovo. lascio il comodo cammino proprio sotto
il colle quota 431 m. seguendo una traccia a destra che lo aggira sino a
raggiungere la località citata in precedenza. Il sentiero è davvero magnifico,
antico e vissuto, resti di scalinate, muri a secco e un vecchio stavolo, altri
momenti di poesia da aggiungere a già quelli vissuti. Non sono insensibile ai
richiami, il bosco parla, chiama, tocca e racconta. Raggiunta la periferia di
Celante di Castelnovo, saluto un indigeno che va a zonzo con due bottiglie di
vino vuote, sicuramente liberate del prezioso nettare dallo stesso omino, per
dimenticare o festeggiare, chissà che cosa. Seguo la strada asfaltata a
occidente sino a una cappella, non nascondo che la frazione mi rapisce, le
abitazioni erette con i sassi sono miste a quelle di cemento, è come leggere un
passato mai passato da un presente mai presente. Presso una cappella votiva
bianca e luminosa, scorgo l’inizio del sentiero che mi porta al colle che è frequentato
sin dai tempi remoti dalle antiche
civiltà friulane e in seguito da un solitario monaco. Col del Monaco non è la
prima volta che mi vede ospite, ricordo che al vertice mi aspetta una chiesetta
e i resti di una fortificazione preromana tra il settimo e il nono secolo a.C.
Davvero notevole e incantevole questa avventura che sto vivendo. Continuo!
Seguo il ben curato sentiero, una stradina campale, e pochi metri prima di uno
stavolo, viro per la traccia a destra, che sale in cresta, e si congiunge alla
chiesetta con campanile. Essa è stata prima abitata dall’eremita monaco nelle
sue primitive strutture (ruderi del fortilizio), e successivamente, nel
Seicento, edificata e resa disponibile al culto. Sono immagini affascinanti
quelle che memorizzo, e la giornata cinerea le rende ancora più magiche,
sembrano sogni avvolti dal mistero. Sfioro i resti della millenaria torre di
avvistamento e un pensiero lo dedico alle sentinelle di guardia, sicuramente
celti, ne avverto la fatata presenza. Rientro per la stradella, sfioro uno
stavolo, ne apro con rispetto la remota porta, scruto al suo interno, era un
ricovero per animali, ma quanta perizia noto nell’edificazione. Osservo tra i
ciottoli delle pareti i cocci di cotto, segni dell’opera dell’uomo che il tempo
può solo rivelare con orgoglio. Poco più avanti è sito un pozzo, l’apertura
sembra una cappella votiva coperta da un’insolita volta, forse per coprire
l’acqua dalle impurità involontarie delle intemperie. Ripercorro il sentiero
dell’andata, stavolta in discesa, l’avventura volge al termine. Per la strada
asfaltata proseguo sino a raggiungere quella principale che dal paesello di
Clauzetto porta alla frazione di Paludea. Percorro l’arteria in prossimità
della sponda sinistra del torrente Cosa, ricco di copiose acque che le recenti
piogge hanno contribuito ad alimentare. Pochi metri ancora di cammino ed eccomi
al capoluogo, Paludea, fine dell’avventura. È stato un bel vagare, magico e a
volte onirico. Un altro gioiello da incastonare nella corona della vita di uno
spirito libero.
Malfa.
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