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venerdì 5 gennaio 2024

I magnifici Colli di Lunas e La Pala da Chiaulis.

I magnifici Colli di Lunas e La Pala da Chiaulis.

 

Solo racconto:

 

La prima grande nevicata invernale ha ridato a tutti gli amanti della montagna la giocosità dei bimbi. la neve è sempre un lieto evento, e chi ha tempo da dedicarsi si proietta nell’universo natura ammantato di bianco. Per questa avventura ho scelto il magico territorio di Verzegnis, il quasi altopiano che si snoda tra numerose frazioni a oriente dell’omonimo massiccio montuoso. Amo conoscere il territorio intorno ai monti, e come nelle precedenti avventure, divido idealmente in frazioni le zone che visito, ideando escursioni che gravitano intorno alla meta. Da ogni esperienza ne nascono altre, così mi arricchisco della storia e la natura del territorio che visito. È un’autentica caccia al tesoro, dove il premio non consiste nell’arrivare in cima o ad una asperità, ma conoscere il luogo che pesto con i miei stessi scarponi. La breve escursione che vado a raccontare nasce proprio l’indomani di una copiosa nevicata in terra di Friuli,  così mi sono apprestato sul luogo per pestare la prima neve fresca e contemplare  i luoghi che serbano la magia del biancore. Il mattino, poco dopo che Aurora ha annunciato il nuovo giorno, viaggio tramite una delle mie arterie preferite: la strada provinciale dedicata al forte e sfortunato campione di ciclismo, Ottavio Bottecchia. La causa della morte del campione è tutt’ora avvolta dal mistero, il corpo fu ritrovato sulla strada che percorro che sto percorrendo tra le frazioni di Cornino e Peonis. I monti, vicini e lontani, sono cosparsi di neve, come se fossero tanti pandori prodotti in serie e messi in fila per degustarli. Viaggio in un’atmosfera irreale,  la medesima che preannuncia il Natale. Superato il Lago di Cavazzo, entro nel territorio omonimo e il paesaggio assume l’aspetto di quello siberiano. La regina delle montagne, l’Amariana il monte dei tolmezzini, regna sovrana e incute deferenza, mentre la neve trasborda il perimetro stradale rendendo insicuro il viaggio con l’autoveicolo. I prati imbiancati sono candidi e incantevoli e accuditi da piccoli colli. Poco prima che giungo al ponte che supera il fiume Tagliamento, seguo le indicazioni per la frazione di Verzegnis, risalendo grazie a una serie di tornanti sino a entrare nell’altopiano omonimo. La prima frazione che incontro è Chiàulis, lascio l’auto presso un auditorio che precede l’edificio comunale. L’aria è frizzantina, e il gelo pungente imballa le mani, mi preparo, calzando sin da subito le ghette e i ramponcini da ghiaccio, per poi avviarmi a sud est. Tra le abitazioni periferiche scovo un simpaticissimo cagnolino meticcio, simile d’aspetto a Magritte, che da subito battezzo come il cugino carnico del mio fido. Do un’occhiata alla mappa, cambio itinerario, percorrendo la stradina provinciale che mi conduce alla frazione di Intissans, che raggiungo dopo pochi minuti. Mi diletto a fotografare il paesaggio imbiancato mentre il massiccio del Verzegnis è dormiente. Tutti i colori diventano maestosi grazie al bianco, e il campanile del borgo spicca tra i tetti imbiancati, creando un’immagine poetica. Attraverso la piccola frazione, mi aggiro per i vicoli cercando e trovando la stradina di campagna segnalatami da una piccola ancona. L’edificio sacro campestre è adornato da un’ardita vegetazione che resiste al gelo, e tra esso ammiro e non colgo delle rose. Seguo la carrareccia per alcuni metri, vi sono delle impronte, di seguito abbandono le tracce e il percorso, per indirizzarmi al rilievo adiacente, e iniziare l’ascesa dei colli di Lunas e La Pala. Il manto nevoso non è solido, gli scarponi affondano in esso, e spesso in alcuni frangenti affondo anch’io fino alla cintola. Cerco e trovo le tracce di Artemide che mi guidano, supero le asperità trovandomi dopo un ripido tratto sulla quota più alta del colle Lunas (509 m.). Tutto intorno vi sono solo arbusti selvaggi, e la visuale verso l’orizzonte è preclusa. Intuisco che non è la quota più alta, continuando il cammino a sud-est scendo di alcuni metri, entrando in un valloncello che precede il colle La Pala. Non ci sono sentieri e né piste, solo ampi schianti tra la vegetazione che supero agevolmente. Studio sulla mappa il rilievo, e lo attacco da sud-est, iniziando una macchinosa ascesa, dove sfrutto lungo il ripidissimo tratto, tutto ciò che mi concede il suolo: dai tronchi abbattuti che adopero come parapetti, alle buche create dallo sradicamento delle conifere a causa degli schianti che adopero come punti di sosta. Percepisco che poco più sopra tutto sarà meno impegnativo, infatti, raggiunta la cresta, procedo verso la massima quota (526 m.) nascosta nell’imbiancata pineta esposta a sud. La vetta è un agglomerato di affusti dove spicca un pino, e tra i suoi rami cerco alloggio per il barattolino di vetta. Il paesaggio a causa della fitta vegetazione è solo immaginabile, la luce che filtra tra le fronde si confonde con il grigio del cielo. La sosta è breve, questa elevazione non ha nulla per convenzione di attraente: non è alta, non è panoramica, non da ospitalità né a un maniero e né a una baita. Non ha nulla che possa interessare l’uomo o il viandante comune. È una quota che ha un nome di battesimo, ed è pure selvaggia, e per questo l’amo; come amo tutto ciò che animato e no, che abbia una sua essenza, una sua presenza, e che proietti un’ombra. Mi avvio alla discesa, anche stavolta Artemide mi ha inviato un capriolo come messo, ne seguo le orme che mi guidano in una via, comoda, lunga e sicura. In breve, mi ritrovo presso un vecchio camminamento, prova ne sono i resti di edificazione dei muri di sostegno dell’arteria, e alcuni segni e oggetti (barattoli o bottiglie di plastica di colore azzurro) messi come indicatori. In poco tempo, sempre avvolto dal silente biancore, raggiungo la periferia di Intissans, e da quest’ultima la frazione dove ho lasciato l’auto. Ho ancora tante ore di luce a mia disposizione, ne approfitto per fare un giro turistico dentro il borgo di Chiàulis, scoprendo piccoli tesori e belle presenze umane. Mentre percorro i vicoli, saluto e mi fermo a chiacchierare con un locale. La conversazione cordiale tocca molteplici argomenti, dall’esistenzialismo al vago, e questo lo trovo sublime. Tra le bellezze architettoniche scopro un gioiellino, ovvero “la Casa Frezza”, un edificio rurale risalente al XVII secolo. Inaspettatamente se ne possono visitare oltre ai portici anche alcuni interni. Una porticina è lasciata aperta di proposito, e io, che timido non sono, entro furtivamente immortalando un ambiente che si è fermato nel tempo, e avendo l’accortezza di non smuovere nulla, nemmeno un grammo di polvere. Esco all’aperto, entusiasta, come se ritornassi da un viaggio nel tempo, e prima di lasciare il borgo ammiro la creatività artistica di un nativo, che ha impreziosito con mirabili murales la sua abitazione. Giungo all’auto estasiato e carico di emozioni. In questo periodo storico mentre l’umanità tende a elevarsi per giungere a eccelse mete, io mi allieto nello scoprire l’universo dentro la goccia di un fiocco di neve.

Malfa.













































 

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