I magnifici Colli di Lunas e La
Pala da Chiaulis.
Solo racconto:
La prima grande nevicata invernale
ha ridato a tutti gli amanti della montagna la giocosità dei bimbi. la neve è
sempre un lieto evento, e chi ha tempo da dedicarsi si proietta nell’universo
natura ammantato di bianco. Per questa avventura ho scelto il magico territorio
di Verzegnis, il quasi altopiano che si snoda tra numerose frazioni a oriente
dell’omonimo massiccio montuoso. Amo conoscere il territorio intorno ai monti,
e come nelle precedenti avventure, divido idealmente in frazioni le zone che
visito, ideando escursioni che gravitano intorno alla meta. Da ogni esperienza ne
nascono altre, così mi arricchisco della storia e la natura del territorio che
visito. È un’autentica caccia al tesoro, dove il premio non consiste
nell’arrivare in cima o ad una asperità, ma conoscere il luogo che pesto con i
miei stessi scarponi. La breve escursione che vado a raccontare nasce proprio
l’indomani di una copiosa nevicata in terra di Friuli, così mi sono apprestato sul luogo per pestare
la prima neve fresca e contemplare i luoghi
che serbano la magia del biancore. Il mattino, poco dopo che Aurora ha annunciato
il nuovo giorno, viaggio tramite una delle mie arterie preferite: la strada
provinciale dedicata al forte e sfortunato campione di ciclismo, Ottavio
Bottecchia. La causa della morte del campione è tutt’ora avvolta dal mistero,
il corpo fu ritrovato sulla strada che percorro che sto percorrendo tra le
frazioni di Cornino e Peonis. I monti, vicini e lontani, sono cosparsi di neve,
come se fossero tanti pandori prodotti in serie e messi in fila per degustarli.
Viaggio in un’atmosfera irreale, la
medesima che preannuncia il Natale. Superato il Lago di Cavazzo, entro nel
territorio omonimo e il paesaggio assume l’aspetto di quello siberiano. La
regina delle montagne, l’Amariana il monte dei tolmezzini, regna sovrana e
incute deferenza, mentre la neve trasborda il perimetro stradale rendendo
insicuro il viaggio con l’autoveicolo. I prati imbiancati sono candidi e
incantevoli e accuditi da piccoli colli. Poco prima che giungo al ponte che
supera il fiume Tagliamento, seguo le indicazioni per la frazione di Verzegnis,
risalendo grazie a una serie di tornanti sino a entrare nell’altopiano omonimo.
La prima frazione che incontro è Chiàulis, lascio l’auto presso un auditorio
che precede l’edificio comunale. L’aria è frizzantina, e il gelo pungente imballa
le mani, mi preparo, calzando sin da subito le ghette e i ramponcini da
ghiaccio, per poi avviarmi a sud est. Tra le abitazioni periferiche scovo un
simpaticissimo cagnolino meticcio, simile d’aspetto a Magritte, che da subito
battezzo come il cugino carnico del mio fido. Do un’occhiata alla mappa, cambio
itinerario, percorrendo la stradina provinciale che mi conduce alla frazione di
Intissans, che raggiungo dopo pochi minuti. Mi diletto a fotografare il
paesaggio imbiancato mentre il massiccio del Verzegnis è dormiente. Tutti i
colori diventano maestosi grazie al bianco, e il campanile del borgo spicca tra
i tetti imbiancati, creando un’immagine poetica. Attraverso la piccola frazione,
mi aggiro per i vicoli cercando e trovando la stradina di campagna segnalatami
da una piccola ancona. L’edificio sacro campestre è adornato da un’ardita
vegetazione che resiste al gelo, e tra esso ammiro e non colgo delle rose.
Seguo la carrareccia per alcuni metri, vi sono delle impronte, di seguito
abbandono le tracce e il percorso, per indirizzarmi al rilievo adiacente, e
iniziare l’ascesa dei colli di Lunas e La Pala. Il manto nevoso non è solido,
gli scarponi affondano in esso, e spesso in alcuni frangenti affondo anch’io
fino alla cintola. Cerco e trovo le tracce di Artemide che mi guidano, supero
le asperità trovandomi dopo un ripido tratto sulla quota più alta del colle
Lunas (509 m.). Tutto intorno vi sono solo arbusti selvaggi, e la visuale verso
l’orizzonte è preclusa. Intuisco che non è la quota più alta, continuando il
cammino a sud-est scendo di alcuni metri, entrando in un valloncello che
precede il colle La Pala. Non ci sono sentieri e né piste, solo ampi schianti
tra la vegetazione che supero agevolmente. Studio sulla mappa il rilievo, e lo
attacco da sud-est, iniziando una macchinosa ascesa, dove sfrutto lungo il
ripidissimo tratto, tutto ciò che mi concede il suolo: dai tronchi abbattuti
che adopero come parapetti, alle buche create dallo sradicamento delle conifere
a causa degli schianti che adopero come punti di sosta. Percepisco che poco più
sopra tutto sarà meno impegnativo, infatti, raggiunta la cresta, procedo verso
la massima quota (526 m.) nascosta nell’imbiancata pineta esposta a sud. La
vetta è un agglomerato di affusti dove spicca un pino, e tra i suoi rami cerco
alloggio per il barattolino di vetta. Il paesaggio a causa della fitta
vegetazione è solo immaginabile, la luce che filtra tra le fronde si confonde
con il grigio del cielo. La sosta è breve, questa elevazione non ha nulla per
convenzione di attraente: non è alta, non è panoramica, non da ospitalità né a
un maniero e né a una baita. Non ha nulla che possa interessare l’uomo o il
viandante comune. È una quota che ha un nome di battesimo, ed è pure selvaggia,
e per questo l’amo; come amo tutto ciò che animato e no, che abbia una sua
essenza, una sua presenza, e che proietti un’ombra. Mi avvio alla discesa,
anche stavolta Artemide mi ha inviato un capriolo come messo, ne seguo le orme
che mi guidano in una via, comoda, lunga e sicura. In breve, mi ritrovo presso
un vecchio camminamento, prova ne sono i resti di edificazione dei muri di
sostegno dell’arteria, e alcuni segni e oggetti (barattoli o bottiglie di
plastica di colore azzurro) messi come indicatori. In poco tempo, sempre
avvolto dal silente biancore, raggiungo la periferia di Intissans, e da
quest’ultima la frazione dove ho lasciato l’auto. Ho ancora tante ore di luce a
mia disposizione, ne approfitto per fare un giro turistico dentro il borgo di
Chiàulis, scoprendo piccoli tesori e belle presenze umane. Mentre percorro i
vicoli, saluto e mi fermo a chiacchierare con un locale. La conversazione
cordiale tocca molteplici argomenti, dall’esistenzialismo al vago, e questo lo
trovo sublime. Tra le bellezze architettoniche scopro un gioiellino, ovvero “la
Casa Frezza”, un edificio rurale risalente al XVII secolo. Inaspettatamente se
ne possono visitare oltre ai portici anche alcuni interni. Una porticina è
lasciata aperta di proposito, e io, che timido non sono, entro furtivamente
immortalando un ambiente che si è fermato nel tempo, e avendo l’accortezza di
non smuovere nulla, nemmeno un grammo di polvere. Esco all’aperto, entusiasta,
come se ritornassi da un viaggio nel tempo, e prima di lasciare il borgo ammiro
la creatività artistica di un nativo, che ha impreziosito con mirabili murales
la sua abitazione. Giungo all’auto estasiato e carico di emozioni. In questo
periodo storico mentre l’umanità tende a elevarsi per giungere a eccelse mete,
io mi allieto nello scoprire l’universo dentro la goccia di un fiocco di neve.
Malfa.
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