Monti
Losa e Forchia da Mione (Ovaro UD)
Localizzazione:
Alpi Tolmezzine Occidentali- Gruppo
Monti di Sauris- Sottogruppi Massiccio
Col Gentile; Rioda Novarza.
Avvicinamento:
Lestans- Pinzano-Cornino-Tolmezzo-Villa Santina-Ovaro- diramazione per Mione-
Seguire la stretta carrareccia che
ascende sino al passo della Forchia e trovare uno spiazzo per la sosta.
Regione:
Friuli- Venezia Giulia
Provincia
di: UD
.
Dislivello:
1200 m.
Dislivello
complessivo: 1200 m.
Distanza percorsa in Km: 16
Quota minima partenza: m.1130 m.
Quota
massima raggiunta: 1953 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In:
coppia
Tipologia
Escursione: panorama- escursionistica
Difficoltà:
escursionistiche
Tipologia sentiero o
cammino: Rotabile- carrareccia- sentiero privo di segni e con tracce labili di
animali
Ferrata- no
Segnavia:
CAI 220
Fonti
d’acqua: no
Impegno
fisico: medio- alto
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: creato
uno sulla panoramica vetta del monte Forchia
Libro di vetta: no
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: maggio-ottobre
3)
4)
Da
evitare da farsi in: gelate o presenza di neve
Condizioni del
sentiero: tracce di animali
Consigliati:
Data: lunedì 19
settembre 2022
Danzare con il vento,
lasciarsi andare al suo abbraccio e sentire la chioma, leggera e argentea, agitarsi
come fili d’erba nell’azzurro settembrino. Ecco cosa ricorderò di questa
splendida avventura, vissuta con la mia compagna, nel cuore della Carnia. Il
Col Gentile, malgrado siano passati
quindici anni dall’ultima ascesa, mantiene intatte le emozioni che mi donò alla prima visione.
Allora ero assieme a Magritte, poco più grande di un cucciolo. Ricordo ancora,
che presso la forcella della Forchia incontrai una solitaria fanciulla,
proveniente da Prato Carnico. Assieme ci avviammo alla vetta del Col Gentile,
furono solo passi sul sentiero, ma al rientro alla stessa forcella ella mi
ringraziò della compagnia, dicendomi di essermi comportato da gentiluomo. La
frase mi colpì, e mentre rientravo a Mione, la stessa frase scavò un tunnel
nella mia mente, chiedendomi perché la fanciulla mi avesse definito gentiluomo,
visto che non avevo fatto nulla di straordinario. Dopo anni rieccomi sullo stesso sentiero. Partendo
poco sopra Mione, lasciamo l’auto presso un prato antistante a uno stavolo (quota
1130 m). Avverto sin da subito la mia compagna che ci attende una lunga e tortuosa carrareccia, e anche noiosa.
Rispetto alla volta prevedente stavolta parto più alto, 3 lustri prima avevo
lasciato l’auto a Mione, ma ero meno anziano. La temperatura è frizzantina e
l’estate è un lontano ricordo, per fortuna il cielo è terso, quindi, zaini
colmi di sogni si parte.
Non è il massimo della
goduria percorrere la stradina asfaltata, l’ombra del bosco toglie magia, e di
rado la visuale si apre sul regale Col Gentile. Presso quota metri 1638 rompiamo
gli indugi, chiedo alla mia compagna di seguirmi, abbandonando il suolo
asfaltato per procedere per il pendio erboso. Coperti dall’alta vegetazione
miriamo all’arsa cresta che scende dal
monte Forchia.
Non vi sono tracce, solo
il desiderio di raggiungere il filo immaginario che divide il nord dal sud. Una
volta in cresta siamo nel regno della magnificenza, si cavalca il crinale,
ammirando dall’alto tutto quello che può racchiudere lo sguardo in un solo
colpo d’occhio. La cima è ancora lontana, la fatica è alleviata dalla visione
delle montagne più alte del Friuli, esse
sono poco distanti e con il loro caratteristico colore argentato, si stagliano nel
cielo come se fossero divinità.
L’elenco è facile: Coglians, Cianevate, Creta
di Collina, Volaia, Creta Forata, tante per citarne alcune, che venti anni fa per
il sottoscritto erano solo sogni da vivere, e oggi sono amori vissuti.
Mi piace fotografare
la mia compagna quando ascende, è piccola come un puntino rosso rispetto all’immensità.
Ovaro è sotto di noi, pare di toccarla
la piccola cittadina carnica, mentre in alto il prato dorato sembra infinito, e
dopo un dosso ne spunta sempre un altro. Finalmente, come per magia, l’oro del
prato diventa scuro e sono in vetta. La terra appare come arata da mille cervi
e cinghiali, come se le creature del bosco nella notte si fossero unite per una
danza sacra. Siamo in vetta ma non c’è nessun segno che mostri il culmine, solo
il degradare della quota su entrambi i versanti.
Monte Forchia posto a quota 1901 metri è stato raggiunto.
Mentre aspetto che la mia compagna sopraggiunga, vado alla ricerca di sassi per
erigere ad Artemide un ometto come se fosse un simulacro. Mi muovo su e giù, in
lungo e in largo, in pochi minuti ecco costruito il mausoleo sacro dove serbare il cilindro con il libro dei
Viandanti. Quando giungo su una vetta sconosciuta e vi trovo un ometto, cerco
sempre all’interno di esso, nella
speranza di trovare un cofanetto, un contenitore, qualcosa che testimoni il
passaggio di viandanti. E quando lo
trovo, me ne prendo cura, lo proteggo, annotando con la reflex i nomi
dei viandanti. Spesso ho avuto gradevoli sorprese. Ma non tutti hanno un
animo nobile, ne conosco alcuni che si divertono a fare vandalismo. Non sempre
la prestanza fisica corrisponde a un livello intellettivo decente. L’unica consolazione è la montagna,
che vede e provvede, mostrandosi arrendevole con le anime pure e matrigna con
gli impuri.
Giunge in vetta la mia
compagna, tira una forte corrente, capelli al vento, e tutto è felicità che
colma il cuore. Lei compila il libretto
mentre io perfeziono l’opera, come se gli animali con il loro scavare avessero
preparato il tutto per il nostro arrivo, e anche se questa storia non fosse vera
ci piacerebbe immaginarlo. Tira tanto vento, troppo, scendiamo di quota a nord, mirando alla
stradina in basso, finché raggiunta una panca (Passo della Forcella),
sopraggiunge una coppia in mountain bike. Siamo simili, lui brizzolato e lei
rossa di capelli, deve essere l’ultima moda. Uomo maturo brizzolato con signora
in rosso, l’ultimo richiamo degli amanti con la passione della montagna. Breve
conversazione, e le nostre strade si dividono, loro sono di Udine e noi di
Palermo, e ci siamo incontrati a 1900 metri di quota in Carnia. Per chi avesse
dubbi che la montagna non unisce, questo è uno dei tanti esempi. Dal passo
raggiungiamo la forchia, lambendo la casera omonima, e potremmo ritenerci
soddisfatti dell’escursione, ma una barretta cadauno somministrata al passo ci
ha dato nuova energia e fulgore.
Spiegate le vele al
vento si continua, prossima meta? Il monte Losa, ideato come supplementare o piano
B. Dalla forchia una carrareccia continua il suo corso, con dei saliscendi che aggiungono
dislivello e il nostro acido lattico si accumula. Dopo una serie di curve il
panorama si apre sulla meravigliosa catena montuosa che dal monte Losa si
spinge fino a casera Razzo. A puntate abbiamo percorso parecchi chilometri di questa meravigliosa catena montuosa, e ogni
avventura ha scolpito nel nostro cuore ricordi indelebili. Ora scorgiamo la
malga Losa dominata dall’omonima montagna dorata. Poco prima della Malga,
notiamo un monumento edificato ai margini della strada, eretto in onore di un
alpino morto in tempo di pace a causa di una valanga. Breve attimo di
commozione, per poi proseguire da dietro il monumento, per il ripido pendio,
senza seguire tracce e mirando alla cresta sovrastante. L’operazione è un po’
articolata, ma una volta raggiunta la cresta le nostre fatiche scemano, e
camminiamo come funamboli
sull’immaginaria fune, e questo ci esalta.
Stavolta le crete
della Val Pesarina sono le ammiratrici principali del nostro andare, e anche di queste rimando a remoti ricordi. La
vetta del Monte Losa è piccola, un ciuffo d’erba ingiallito, e nemmeno un
sasso, solo una quota(1953 m.) che domina di pochi centimetri le adiacenti.
Anche in questa quota tira vento, breve foto per i posteri, e subito via, giù
per la cresta, sino a raggiungere un piccolo stagno in forcella, dove ci specchiamo
prima di calarci a meridione seguendo le orme delle giovenche. Le vacche come
quelle sacre di Poseidone gravitano pacifiche, ruminando e defecando, mentre il
tempo scorre inesorabile e il genere umano sembra impazzire. Passo vicino a una
di esse, posa per me mostrando una certa regalità. Ogni volta che sono in
presenza di una mucca mi commuovo. Da piccino le disegnavo sugli album da
disegno, alternandole ai soldatini inglesi con la nota giubba rossa. E ogni
volta che un bove mi staziona davanti, in automatico partono le mie matite immaginarie,
grafitando con segni un irreale album da disegno. Seguendo i solchi dei bovi si
giunge in basso, alla malga Losa, dove il malgaro, solo nel suo operare, raccoglie
con il forcone lo sterco delle nostre cornute amiche. Sogno a occhi aperti, il
tempo si è fermato, e attraversiamo un'altra era come se fossimo fantasmi. Poco
distante sono posti dei tavoli con panche, è ora di desinare. Il luogo è
davvero speciale. Il pane con i semi di sesamo tipico siculo si sposa
idealmente con la mortadella bolognese, e mentre ammiro la meravigliosa valle carnica,
sorseggio come bevanda il chinotto bergamasco. La nostra mensa è sempre
cosmopolita, la nostra libertà la si denota in tutto, anche nel contenuto del
fagotto viveri.
Finita la sosta per il
desinare, riprendiamo il cammino a ritroso. Ci attendono ben otto chilometri,
ma la gioia provata con le cime conquistate nel meraviglioso regno del Col
Gentile allevierà le nostre fatiche fino all’auto.
È stata una splendida
escursione, e abbiamo ricaricato lo spirito. La montagna è anche questo, libero
cammino in ambiente mistico.
Il forestiero Nomade.
Malfa.
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