Monte
Chiastronat da Pierabech
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi carniche centrali.
Avvicinamento:
Tolmezzo-Villa Santina -Ovaro, Comeglians – Rigolato-Forni Avoltri-
Pierabech-Sostare poco dopo lo stabilimento delle acque minerali.
Dislivello:
1100 m.
Dislivello complessivo: 1140 m.
Distanza
percorsa in Km: 16 km.
Quota
minima partenza: 1040 m.
Quota
massima raggiunta: 2251
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 6 ore
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: panoramica-escursionistica
Difficoltà:
Escursionisti esperti, atti ad agire in ambiente a volte privo disegni o
tracce.
Tipologia sentiero o
cammino: Carrareccia, sentiero, antichi camminamenti militari su superfice
esposta.
Ferrata- no
Segnavia:
CAI 140; 142; 141.
Fonti
d’acqua: si, molteplici
Impegno
fisico: medio
Preparazione
tecnica: bassa
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si,
minuscolo
Libro di vetta: installato
libretto del viandante.
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato:
3)
4)
Da
evitare da farsi in:
Condizioni del
sentiero:
Consigliati:
Data: Mercoledì 20 luglio 2022
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Un altro desiderio di
volare lontano, camminare spinti dal
vento sulle ali della libertà ha la sua magica attuazione. Pronto, zaino colmo
di sogni, si parte! La meta è al confine con l’Austria, oltre il lago di
Bordaglia. Un luogo che è per il mio spirito un autentico paradiso. Stavolta il
traguardo sarà un’elevazione sconosciuta ai molti, poco appariscente ma
presente con la dolcezza del suo morbido crinale, autentica cerniera tra le
genti. Vista la posizione geografica, sveglia presto, e quindi prima che il
sole sorga, mi catapulto fuori da casa, percorrendo le stupende arterie friulane
ancora illuminate dalla magica luce delle stelle. Tanti i nomi dei rilievi, e tanti
ancora i ricordi che stipano la mia mente. Amore puro o amore passionale non ha
importanza, è fondamentale che il tutto sia vissuto e che io l’abbia sentito, il
tutto morirà assieme a me nell’oblio dei ricordi. I laghi di Cornino e Cavazzo, e tanti amori
ancora, e poi lei, l’Amariana, la regina della Carnia, magnifica, bella e
unica, con il suo profilo tagliente che si innalza divinamente al cospetto
delle sorelle gelose. Agglomerati come Villa Santina, Ovaro, Rigolato, scorrono
velocemente come un film, ogni prospetto è un luogo vissuto in un tempo remoto,
e la gente laboriosa si muove come le lancette di un orologio, segnando il
tempo che scorre inesorabilmente. Forni Avoltri è in vista come la guglia
aguzza del monte Tuglia, ed eccomi nel regno dove scorrono fluenti le acque di
mille torrenti. Ultimi metri con il mio cavallo argentato nella valle del
Pierabech, prima di lasciarlo in un comodo spiazzo ad ammirare a sud le uniche
montagne che in regione hanno la forma che immaginano i bimbi; sì, mi riferisco
al Siera e alle sue sorelle che malgrado la non ragguardevole altezza seducono
il cuore. Ora finalmente sono in compagnia dei miei veri amici, gli scarponi e
lo zaino. Ne abbiamo fatte di avventure assieme, e tante ancora ne faremo.
Stringo le stringhe degli scarponi, tiro le cinghie dello zaino, e dopo un paio
di fermate per aggiustare l’assetto, sono pronto per il viaggio. L’ascesa alla
Stratta di Fleons fluisce monotona, distratto solo dall’incessante e accattivante melodia delle cascate del
torrente Degano, che incide profondamente la forra. Mi fermo ad ammirare il
continuo getto delle acque, autentici spruzzi di meraviglia; l’unica linfa
vitale dell’universo, starei ore e ore ad osservare l’eterno fluire del
torrente. Raggiunta la Stratta di Fleons, lascio il sentiero 140 per seguire il
142. La comoda carrareccia conduce nei pressi dei vetusti ruderi della casera
Sissanis. Delle voci femminili provengono dal bosco, è una comitiva di tedeschi
che esegue “l’Attraversata Carnica”, chissà perché per un istante mi ero illuso
che fossi alla presenza di divinità: Oreadi, ninfe di montagna; Naiadi, ninfe
delle fonti; Amadriadi, ninfe degli alberi. Le compagne della dea Artemide
sono dotate, come la divinità, di una bellezza incomparabile, e il biondo oro
della capigliatura mi aveva illuso! Ci salutiamo, mentre io continuo a essere intento
a immortalarmi in un autoscatto avente come scenario il meraviglioso paesaggio.
Riprendo il cammino, seguendo il dolce sentiero che conduce alla sella
Sissanis. Seguo la comitiva a distanza, intravedendo a volte il biondo riflesso
proveniente dalle ancelle di Artemide, finché, raggiunta la sella, effettuo la
prima sosta a pochi metri dagli amici teutonici. La loro guida, un simpatico giovanotto
da capelli rossicci, mi si avvicina chiedendomi delle dritte sui monti che
circondano il sito. Estraggo fuori da una tasca la mia mappa, di una scala
maggiore, mostrandogli la nostra posizione e la direzione che devono seguire.
Breve sosta, consumo una barretta energetica, fa tanto caldo, sorseggio
cautamente l’acqua che ho al seguito, mirando con lo sguardo indagatore la mia
meta, il monte Chiastronat. Secondo una cartacea guida alpinistica la sella
dove mi trovo è il punto migliore da dove poter ascendere la vetta. Rimetto in
spalla lo zaino, saluto gli amici d’oltre alpe e mi avvio, sono tanto
emozionato. Primi passi sul ripido
pendio erboso, dolce declino che mi accompagna, allo spigolo. Presso un mugo
decido di liberarmi dello zaino, e procedere leggero. Non ho al seguito i
ramponi da erba, e maledico la mia prescia mattutina, troverò una soluzione…
Mi arrampico per il
ripido pendio, ma è troppo erto, malgrado adoperi i ciuffi d’erba coma appigli.
Recupero lo zaino, e passo al piano B.
Mi sposto lungo un’ampia
ansa prativa a nord, raggiungendo il crinale che scende dal monte, precisamente
lo storico confine con l’Austria, nonché anche l’ex trinceramento bellico.
Scovo e percorro una labile traccia, raggiungendo i resti di un riparo, una
fortificazione, al suo interno lascio il pesante zaino, e con al seguito lo
stretto indispensabile procedo alla volta della vetta.
Inizio con emozione qualcosa che da sola può
spiegare cosa sia l’autentica felicità. La crestina è abbastanza esposta, una
labile traccia mi guida, e dopo pochi metri sono letteralmente sospeso in aria,
e il bello deve ancora venire. Con il guadagnare di quota, mi innalzo su
entrambi i versanti, e tutto intorno è una moltitudine di catene montuose, ma
rimango concentrato, resistendo al desiderio di spiccare il volo. A volte la
cresta si restringe, brevi passaggi di
arrampicata di primo grado o più, su una meravigliosa roccia, calda e
accogliente come il grembo di una donna. Alcuni passaggi sono davvero
adrenalinici, ma la roccia asciutta coadiuva lo scarpone nell’appoggio mentre le
mani l’accarezzano sapientemente e delicatamente in modo che essa si lasci andare
come sedotta. Il tratto dionisiaco di roccia ha termine, lasciando il proseguo
a una traccia sul ripido apice di un canalone inerbito, ed eccomi sulla cresta,
al cospetto della meta. Percorro pochi metri ancora sui resti di una remota
trincea austroungarica, ubriaco dalla bellezza. I verdi prati sono l’inizio della meravigliosa
cresta che conduce al Fleons, e tutto intorno tutte le regine di roccia sono
belle più che mai. Ancora pochi metri prima di raggiungere il vertice del
Chiastronat, e come sempre , mi aggiusto la bandana, dandomi un contegno per
essere presentabile all’appuntamento a cui ho ambito. Eccomi! Sono in cima, uno
sparuto ometto mi attende, tirò giù lo zaino, e sospiro, sono felice, assai felice!
In questo crinale 115 anni fa erano schierati i nemici di allora, intenti a
scrutare i nostri schierati sulle trincee del Monte Navagiust. Basta chiudere
gli occhi, riaprirli e con un solo sguardo comprendere l’assurdità della
guerra. Oggi sono da solo, un isolano che contempla la cresta di un confine
estremo, dedico questa vetta al mio babbo, che tanto avrebbe desiderato essere
qui con me, magari imbracciando il suo tricolore con lo scudo sabaudo;
sicuramente, conoscendolo, avremmo dibattuto simpaticamente, per un ideale, giusto
o sbagliato che sia. Ma oggi sono solo, ho solo il colore dei suoi occhi nei
miei, il suo sorriso ingenuo, in fondo che c’è di male ad amare la vita, con o
senza compagni di viaggio in questo eterno divenire. Quassù, sui monti,
dimentico tutta l’amarezza del quotidiano e divengo essenza, e come vivo il mio
operare, dedico l’avventura alla mia divinità preferita. Dopo aver lasciato un
segno del passaggio del viandante, inizio la discesa, che come ho preventivato ha qualcosa di problematico. Non avendo a
seguito i ramponi da erba, mi calo per il canalone inerbito, non negando che un
paio di volte sono anche scivolato, ma è bene tutto ciò che finisce bene.
Raggiunto il riparo, recupero lo zaino, e procedo a ritroso fino alla Sella
Sissanis. Un pensiero mi seduce, voglio desinare presso il laghetto di Pera. Raggiunta
la sella, osservo basito dei viandanti che procedono velocemente come se
corressero il rischio di perdere il treno, mentre il mio passo è lento, flemmatico.
Raggiungo l’argine del lago, lascio scivolare lo zaino giù come una veste, e mi
presento alla dea delle acque. Nei riflessi del lago ammiro la sagoma della
creta di Bordaglia, ricordi anch’essi che si perdono nell’oblio. Mi siedo su un
masso, estraggo la borsa viveri, e mentre scartoccio il panino ammiro la
numerosa comunità di girini sorvegliata dall’alto dalla meravigliosa aviazione
delle libellule. Questo luogo è un paradiso. Nelle limpide acque del lago vedo
riflesso il meraviglioso volto di Artemide, incornicio il suo sorriso
nell’iride, la ringrazio, confesso! L’amo!
Il tempo del desinare
scorre velocemente, è giunto il momento di rientrare, e come itinerario,
volendo compiere un anello, procedo per il vallone che ospita le azzurre acque
del lago di Bordaglia. Transito tra i ruderi di casera Bordaglia di sopra, e
dopo aver onorato la fonte dell’alpino, con il caratteristico elmetto italiano
del primo conflitto mondiale in bronzo ( commozione), raggiungo casera Bordaglia di Sotto. Un malgaro è intento
a operare fuori dall’alpe; ha un bel viso, qualcosa che richiama alla mia mente
l’antico volto dei Celti. Chiedo se posso riempiere la borraccia d’acqua, mi
indica la fonte donandomi un altro sorriso. Le ultime vacche, le ritardatarie,
affluiscono alla stalla, il sole è ancora alto nel cielo, e io, osservando i
monti riflessi nell’acqua della fontana vengo scosso da un fremito di felicità,
una lacrima furtiva scorre sul mio volto, e timidamente scompare mesciandosi
all’acqua con cui ho bagnato la mia chioma. Timidamente ho provato vergogna
delle mie emozioni, e nel mostrare l’amore per la divinità chiamata Montagna.
Riprendo il cammino, ringrazio di cuore il malgaro, e scendo a valle per
l’interminabile carrareccia. Cosciente
che ritornerò ancora in questo meraviglioso luogo, do un arrivederci a tutto: fiori,
abeti, sassi, ringraziandoli del tempo che mi hanno dedicato. Raggiunta l’auto,
indosso l’altro volto, quello dell’uomo che deve essere sempre presente a sé
stesso, e osservo il mio compagno di viaggio, l’altro me stesso, che
bonariamente sta sul sedile adiacente, rilassato e con ancora impressi nel
cuore e nell’iride i colori emozionanti della montagna.
Il forestiero Nomade.
Malfa
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