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sabato 17 settembre 2022

Monte Chiastronat da Pierabech

Monte Chiastronat da Pierabech

 

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi carniche centrali.

Avvicinamento: Tolmezzo-Villa Santina -Ovaro, Comeglians – Rigolato-Forni Avoltri- Pierabech-Sostare poco dopo lo stabilimento delle acque minerali.

Dislivello: 1100 m.

 Dislivello complessivo: 1140 m.

Distanza percorsa in Km: 16 km.

Quota minima partenza: 1040 m.



 

Quota massima raggiunta: 2251

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 6 ore

In: solitaria

 

Tipologia Escursione: panoramica-escursionistica

 

Difficoltà: Escursionisti esperti, atti ad agire in ambiente a volte privo disegni o tracce.

 

Tipologia sentiero o cammino: Carrareccia, sentiero, antichi camminamenti militari su superfice esposta.

 

 

Ferrata- no

 

Segnavia: CAI 140; 142; 141.

 

Fonti d’acqua: si, molteplici

 

Impegno fisico: medio

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: si, minuscolo

Libro di vetta: installato libretto del viandante.


Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato:  

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: Mercoledì  20 luglio 2022

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

 

Un altro desiderio di volare lontano,  camminare spinti dal vento sulle ali della libertà ha la sua magica attuazione. Pronto, zaino colmo di sogni, si parte! La meta è al confine con l’Austria, oltre il lago di Bordaglia. Un luogo che è per il mio spirito un autentico paradiso. Stavolta il traguardo sarà un’elevazione sconosciuta ai molti, poco appariscente ma presente con la dolcezza del suo morbido crinale, autentica cerniera tra le genti. Vista la posizione geografica, sveglia presto, e quindi prima che il sole sorga, mi catapulto fuori da casa, percorrendo le stupende arterie friulane ancora illuminate dalla magica luce delle stelle. Tanti i nomi dei rilievi, e tanti ancora i ricordi che stipano la mia mente. Amore puro o amore passionale non ha importanza, è fondamentale che il tutto sia vissuto e che io l’abbia sentito, il tutto morirà assieme a me nell’oblio dei ricordi.  I laghi di Cornino e Cavazzo, e tanti amori ancora, e poi lei, l’Amariana, la regina della Carnia, magnifica, bella e unica, con il suo profilo tagliente che si innalza divinamente al cospetto delle sorelle gelose. Agglomerati come Villa Santina, Ovaro, Rigolato, scorrono velocemente come un film, ogni prospetto è un luogo vissuto in un tempo remoto, e la gente laboriosa si muove come le lancette di un orologio, segnando il tempo che scorre inesorabilmente. Forni Avoltri è in vista come la guglia aguzza del monte Tuglia, ed eccomi nel regno dove scorrono fluenti le acque di mille torrenti. Ultimi metri con il mio cavallo argentato nella valle del Pierabech, prima di lasciarlo in un comodo spiazzo ad ammirare a sud le uniche montagne che in regione hanno la forma che immaginano i bimbi; sì, mi riferisco al Siera e alle sue sorelle che malgrado la non ragguardevole altezza seducono il cuore. Ora finalmente sono in compagnia dei miei veri amici, gli scarponi e lo zaino. Ne abbiamo fatte di avventure assieme, e tante ancora ne faremo. Stringo le stringhe degli scarponi, tiro le cinghie dello zaino, e dopo un paio di fermate per aggiustare l’assetto, sono pronto per il viaggio. L’ascesa alla Stratta di Fleons fluisce monotona, distratto solo dall’incessante  e accattivante melodia delle cascate del torrente Degano, che incide profondamente la forra. Mi fermo ad ammirare il continuo getto delle acque, autentici spruzzi di meraviglia; l’unica linfa vitale dell’universo, starei ore e ore ad osservare l’eterno fluire del torrente. Raggiunta la Stratta di Fleons, lascio il sentiero 140 per seguire il 142. La comoda carrareccia conduce nei pressi dei vetusti ruderi della casera Sissanis. Delle voci femminili provengono dal bosco, è una comitiva di tedeschi che esegue “l’Attraversata Carnica”, chissà perché per un istante mi ero illuso che fossi alla presenza di divinità: Oreadi, ninfe di montagna; Naiadi, ninfe delle fonti; Amadriadi, ninfe degli alberi. Le compagne della dea Artemide sono dotate, come la divinità, di una bellezza incomparabile, e il biondo oro della capigliatura mi aveva illuso! Ci salutiamo, mentre io continuo a essere intento a immortalarmi in un autoscatto avente come scenario il meraviglioso paesaggio. Riprendo il cammino, seguendo il dolce sentiero che conduce alla sella Sissanis. Seguo la comitiva a distanza, intravedendo a volte il biondo riflesso proveniente dalle ancelle di Artemide, finché, raggiunta la sella, effettuo la prima sosta a pochi metri dagli amici teutonici. La loro guida, un simpatico giovanotto da capelli rossicci, mi si avvicina chiedendomi delle dritte sui monti che circondano il sito. Estraggo fuori da una tasca la mia mappa, di una scala maggiore, mostrandogli la nostra posizione e la direzione che devono seguire. Breve sosta, consumo una barretta energetica, fa tanto caldo, sorseggio cautamente l’acqua che ho al seguito, mirando con lo sguardo indagatore la mia meta, il monte Chiastronat. Secondo una cartacea guida alpinistica la sella dove mi trovo è il punto migliore da dove poter ascendere la vetta. Rimetto in spalla lo zaino, saluto gli amici d’oltre alpe e mi avvio, sono tanto emozionato.  Primi passi sul ripido pendio erboso, dolce declino che mi accompagna, allo spigolo. Presso un mugo decido di liberarmi dello zaino, e procedere leggero. Non ho al seguito i ramponi da erba, e maledico la mia prescia mattutina, troverò una soluzione…

Mi arrampico per il ripido pendio, ma è troppo erto, malgrado adoperi i ciuffi d’erba coma appigli. Recupero lo zaino, e passo al piano B.

Mi sposto lungo un’ampia ansa prativa a nord, raggiungendo il crinale che scende dal monte, precisamente lo storico confine con l’Austria, nonché anche l’ex trinceramento bellico. Scovo e percorro una labile traccia, raggiungendo i resti di un riparo, una fortificazione, al suo interno lascio il pesante zaino, e con al seguito lo stretto indispensabile procedo alla volta della vetta.

 Inizio con emozione qualcosa che da sola può spiegare cosa sia l’autentica felicità. La crestina è abbastanza esposta, una labile traccia mi guida, e dopo pochi metri sono letteralmente sospeso in aria, e il bello deve ancora venire. Con il guadagnare di quota, mi innalzo su entrambi i versanti, e tutto intorno è una moltitudine di catene montuose, ma rimango concentrato, resistendo al desiderio di spiccare il volo. A volte la cresta si restringe, brevi passaggi di  arrampicata di primo grado o più, su una meravigliosa roccia, calda e accogliente come il grembo di una donna. Alcuni passaggi sono davvero adrenalinici, ma la roccia asciutta coadiuva lo scarpone nell’appoggio mentre le mani l’accarezzano sapientemente e delicatamente in modo che essa si lasci andare come sedotta. Il tratto dionisiaco di roccia ha termine, lasciando il proseguo a una traccia sul ripido apice di un canalone inerbito, ed eccomi sulla cresta, al cospetto della meta. Percorro pochi metri ancora sui resti di una remota trincea austroungarica, ubriaco dalla bellezza. I  verdi prati sono l’inizio della meravigliosa cresta che conduce al Fleons, e tutto intorno tutte le regine di roccia sono belle più che mai. Ancora pochi metri prima di raggiungere il vertice del Chiastronat, e come sempre , mi aggiusto la bandana, dandomi un contegno per essere presentabile all’appuntamento a cui ho ambito. Eccomi! Sono in cima, uno sparuto ometto mi attende, tirò giù lo zaino, e sospiro, sono felice, assai felice! In questo crinale 115 anni fa erano schierati i nemici di allora, intenti a scrutare i nostri schierati sulle trincee del Monte Navagiust. Basta chiudere gli occhi, riaprirli e con un solo sguardo comprendere l’assurdità della guerra. Oggi sono da solo, un isolano che contempla la cresta di un confine estremo, dedico questa vetta al mio babbo, che tanto avrebbe desiderato essere qui con me, magari imbracciando il suo tricolore con lo scudo sabaudo; sicuramente, conoscendolo, avremmo dibattuto simpaticamente, per un ideale, giusto o sbagliato che sia. Ma oggi sono solo, ho solo il colore dei suoi occhi nei miei, il suo sorriso ingenuo, in fondo che c’è di male ad amare la vita, con o senza compagni di viaggio in questo eterno divenire. Quassù, sui monti, dimentico tutta l’amarezza del quotidiano e divengo essenza, e come vivo il mio operare, dedico l’avventura alla mia divinità preferita. Dopo aver lasciato un segno del passaggio del viandante, inizio la discesa, che come ho preventivato  ha qualcosa di problematico. Non avendo a seguito i ramponi da erba, mi calo per il canalone inerbito, non negando che un paio di volte sono anche scivolato, ma è bene tutto ciò che finisce bene. Raggiunto il riparo, recupero lo zaino, e procedo a ritroso fino alla Sella Sissanis. Un pensiero mi seduce, voglio desinare presso il laghetto di Pera. Raggiunta la sella, osservo basito dei viandanti che procedono velocemente come se corressero il rischio di perdere il treno, mentre il mio passo è lento, flemmatico. Raggiungo l’argine del lago, lascio scivolare lo zaino giù come una veste, e mi presento alla dea delle acque. Nei riflessi del lago ammiro la sagoma della creta di Bordaglia, ricordi anch’essi che si perdono nell’oblio. Mi siedo su un masso, estraggo la borsa viveri, e mentre scartoccio il panino ammiro la numerosa comunità di girini sorvegliata dall’alto dalla meravigliosa aviazione delle libellule. Questo luogo è un paradiso. Nelle limpide acque del lago vedo riflesso il meraviglioso volto di Artemide, incornicio il suo sorriso nell’iride, la ringrazio, confesso! L’amo! 

Il tempo del desinare scorre velocemente, è giunto il momento di rientrare, e come itinerario, volendo compiere un anello, procedo per il vallone che ospita le azzurre acque del lago di Bordaglia. Transito tra i ruderi di casera Bordaglia di sopra, e dopo aver onorato la fonte dell’alpino, con il caratteristico elmetto italiano del primo conflitto mondiale in bronzo ( commozione), raggiungo  casera Bordaglia di Sotto. Un malgaro è intento a operare fuori dall’alpe; ha un bel viso, qualcosa che richiama alla mia mente l’antico volto dei Celti. Chiedo se posso riempiere la borraccia d’acqua, mi indica la fonte donandomi un altro sorriso. Le ultime vacche, le ritardatarie, affluiscono alla stalla, il sole è ancora alto nel cielo, e io, osservando i monti riflessi nell’acqua della fontana vengo scosso da un fremito di felicità, una lacrima furtiva scorre sul mio volto, e timidamente scompare mesciandosi all’acqua con cui ho bagnato la mia chioma. Timidamente ho provato vergogna delle mie emozioni, e nel mostrare l’amore per la divinità chiamata Montagna. Riprendo il cammino, ringrazio di cuore il malgaro, e scendo a valle per l’interminabile carrareccia.  Cosciente che ritornerò ancora in questo meraviglioso luogo, do un arrivederci a tutto: fiori, abeti, sassi, ringraziandoli del tempo che mi hanno dedicato. Raggiunta l’auto, indosso l’altro volto, quello dell’uomo che deve essere sempre presente a sé stesso, e osservo il mio compagno di viaggio, l’altro me stesso, che bonariamente sta sul sedile adiacente, rilassato e con ancora impressi nel cuore e nell’iride i colori emozionanti della montagna.

Il forestiero Nomade.

Malfa




























































 

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