Anello
del Monte Agarial da San Francesco (Val d’Arzino).
Note
tecniche.
Localizzazione: Alpi orientali-Prealpi
Carniche- Catena Valcalda Verzegnis- Dorsale del Valcalda.
Avvicinamento: Lestans-Pinzano. Anduins-
Strada provinciale per la Val d’Arzino- San Francesco- Lasciare l’automezzo in
località Galants- Spiazzo in cemento (quadrato con fontana) quota 380 m.
Regione:
Friuli-Venezia Giulia
Provincia
di: Pordenone
.
Dislivello:
850 m.
Dislivello
complessivo: 1120 m.
Distanza percorsa in Km: 13 km
Quota minima partenza: 380 m.
Quota
massima raggiunta: 1189 m.
Tempi
di percorrenza escluse le soste: 6 ore.
In:
solitaria
Tipologia
Escursione: naturalista in ambiente selvaggio
Difficoltà:
Escursioni esperti idonei ad agire in ambiente selvaggio privo di tracce e
segni.
Tipologia sentiero o
cammino: Sentiero- carrareccia-pesta per camosci o di cacciatori.
Ferrata-
Segnavia:
Bolli Giallo-veri. Rossi- e Bianco-Rossi del CAI.
Fonti
d’acqua: si, molteplici.
Impegno
fisico: alto
Preparazione
tecnica: medio-alta
Attrezzature:
no
Croce di vetta: no
Ometto di vetta: si,
trovato un barattolino in vetro con penna e notes con le firme dei segni di
passaggio dei Viandanti, sostituito il barattolino con uno più capiente e
lasciata una penna funzionante.
Libro di vetta: piccolo
notes istallato nel 2018
Timbro di vetta: no
Riferimenti:
1)
Cartografici:
IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet:
2)
Periodo
consigliato: dalla primavera all’autunno.
3)
4)
Da
evitare da farsi in: Con sentiero di salita umido o ghiacciato.
Consigliati: Ramponi solo in caso di terreno umido presenza di ghiaccio, specie
il sentiero fatto in salita.
Data: 20 maggio 2021
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Andar da soli in
montagna è maledettamente eccitante, manifesto un amore intenso per la natura che
riesco a condividere solo pochi.
Quando vago in solitaria
entro in simbiosi con gli animali selvatici e gli elementi naturali. Spesso mi
par di essere cinghiale, orso, lupo, albero, acqua di sorgente, scoprendo delle
emozioni che vivo con intense vibrazioni e le chiamo libertà…
La montagna a volte ti chiama, ti invita a evadere dal mondo reale,
ti fornisce anche delle indicazioni che paiono sogni, nomi, località e disegni
di rilievi che sta a me decifrare. Per l’escursione sul monte Agarial, (un
rilievo che ho adocchiato da un po’ tempo), è stato tutto casuale, non era la
meta prescelta. Il meteo bizzarro e il rischio di piovaschi mi consiglia
percorsi che terminino nelle prime ore del pomeriggio. Declino la scelta
primaria che era il monte Plauris ed estraggo dal cassetto dei sogni il monte
Agarial, quindi, mi avventuro nella Val d’Arzino, sino alla frazione di San
francesco.
La giornata è splendida, un cielo terso e primaverile mi dà
il benvenuto, una leggera bruma evapora dalla valle ma svanirà nel giro di
poche ore, l’esalazione dell’umidità è dovuta alla pioggia notturna che con lo scaldarsi
ai primi raggi solari, vela l’atmosfera della magica frazione. Raggiunto San
Francesco, tramite una stradina di servizio, transito verso l’argine del torrente
Arzino, e arresto l’automezzo presso uno spiazzo (quadrangolare in cemento con
piccola fontana). Sono così impaziente di partire, che sono uscito da casa
direttamente con gli scarponcini, la breve distanza me lo permette, ma ho al
seguito il borsone con gli indumenti di ricambio.
Spente le luci e chiuso l’automezzo, zaino in spalle, parto,
dirigendomi al ponticello che a nord guada il torrente, ma un cartello posto poco
dopo lo stesso mi illumina.
Nelle indicazioni esplicative sulla nuova sentieristica (non CAI)
sono segnate delle località, e la mia meta è una di quelle indicate come
sentiero selvaggio. Rifletto sul da farsi, è una variante che avevo in mente e
studiato sulla mappa dell’Istituto Geografico Militare, cioè, quella di ascendere
sino alla Forchiazza che precede il Monte Agarial, tramite un sentiero remoto e
segnato a trattini neri sulla mappa topografica. Dalle curve di livello ho
dedotto che trattasi di una variante breve come chilometraggio ma molto
verticale, essa, si inerpica sul ripido versante orientale della dorsale, dopo
aver guadato il Rio Fosata (affluente del torrente Arzino). Scruto di nuovo il
cielo, è ancora più cobalto e luminoso, quindi mi autoconvinco e cambio
itinerario per l’ascesa al monte Agarial. La lunga carrareccia segnata CAI 810ª,
che scende dalla sella di Giaf sarà l’itinerario del rientro. Eccitato e carico
di vibranti emozioni, inizio con il primo passo l’avventura, dirigendomi a nord.
Costeggio l’argine dell’Arzino, sino a guadare il rio Spissul, proseguo per una
mulattiera, che piuttosto che guadagnare quota la perde, e le indicazioni che
scorgo non mi sono d’aiuto. Do un’ulteriore occhiata alla mappa, valuto e
riparto. Dopo aver guadato il Rio Fosata, inizio a scalare il ripido costone adiacente,
cercando, dove fosse possibile, tracce di passaggio di cacciatori o di animali
selvatici. Percepisco che con il salire di quota e con il mantenermi in cresta
al crinale che prima o poi qualche sentiero lo incontro, e quindi, fortificato da
tanta forza di volontà, procedo, confortato dal continuo guadagno di quota. L’esplorazione
selvaggia è un tipo di attività che adoro, coinvolge nello sforzo tutte le membra.
Mi isso spesso tramite la presa delle mani, adoperando i piccoli tronchi e le
radici resistenti come corde o appigli, assicurandomi a ogni movimento della
loro integrità, e cercando nella selva la direzione più opportuna. A volte
percorro tracce ingannevoli, forse create da animali alla ricerca di
abbeveraggio, e di seguito mi convinco che la scelta più saggia è quella di non
allontanarsi molto dalla schiena del crinale. Infatti, come speravo, la tenacia
e l’intuito sono premiati. Scorgo tra gli arbusti una chiara pesta, felicissimo
della scoperta, la percorro in direzione sud-ovest, speranzoso che sia quella che
bramavo. Passo dopo passo, metro di quota dopo metro di quota, le mie speranze divengono
certezze, e alcuni scarni ometti di sassi confermano che sono sulla pista valida.
Il sentiero è davvero stupendo, mai esposto e ripido, tramite una lunga
diagonale valica la Val dei Roris e si spinge verso la Forchiazza. In alcuni
tratti è sublime come un sogno, soprattutto quando guada i rivoli in secca,
dove lo sguardo spazia sulla valle dell’Arzino e sul monte Giaf.
L’improvvisa comparsa di un ramarro orientale dona la classica
ciliegina sulla torta a questa splendida escursione. lo sguardo del sauro è dolce
e curioso, evidenziando una classe ed eleganza non comuni, in esso riconosco un
messo della dea Artemide che mi assicura e mi annuncia la sua presenza. Saluto
con riverente rispetto il rettile ambasciatore, e continuo il cammino. Come
nell’Agerola, la terra degli dèi, ora mi accolgono straripanti torrenti d’
acqua, essi sono il segno manifesto che la dea della natura mi fa la corte, e
cosa potrei desiderare di più, di sicuro non resisto e cedo senza indugi alle
lusinghe. Il tratto che precede la Forchiazza è caratterizzato dalla silente
presenza dei regali faggi che donano ombra e ristoro al viandante. La sella è avvistata,
gli ultimi trasversi con lieve pendenza leniscono la fatica, raggiunta quest’ultima,
noto molteplici segni di svariati colori sulle cortecce di alcuni faggi. Fatta!
La Forchiazza è adombrata dalla vegetazione, la visibilità si limita alla
cresta. Durante l’ascesa ho patito il peso dello zaino, e visto che ho
l’abitudine di serbare il materiale al seguito all’interno di un sacco, decido di
procedere all’arrembaggio della vetta dell’Agarial, privandomi provvisoriamente
di alcuni oggetti. Estraggo il sacco bianco dallo zaino, e lo riempio di tutto
quello di cui non avrò bisogno nell’ascesa al limitrofo monte, quindi, prendo
il fardello e lo occulto presso un faggio.
Effettuo una breve sosta per riprendere energie, e dopodiché procedo
all’arrembaggio della meta odierna. A nord della forchia seguo una traccia,
prima per il comodo pendio di cresta, e di seguito le tracce e i segni
dell’Alta Via (giallo -blu), che si spostano sul versante occidentale del
monte, guadagnando velocemente quota, sino a portarsi a nord dello stesso, raggiungibile
attraverso un tratto molto ripido e verticale. Dalla cresta nord del Agarial si
procede, per un breve tratto, sempre ripido a oriente, sino a conseguire la
cresta sommitale. Da quest’ultima, dopo essere passato sotto lo schianto di una
betulla, procedo a meridione della cresta, e dopo un centinaio di metri
conquisto la vetta, materializzata da un sasso al centro di una selvatica
vegetazione. Fatta anche questa, cima conquistata! Sul masso di vertice è
eretto un piccolo ometto, dove tra i sassi spicca il tappo color cielo di un
barattolo di vetro. Sono emozionato, apro con un po’ di difficoltà lo scrigno
ed estraggo dall’interno un piccolo blocco note con delle firme apposte. È
stato istallato nel 2018, riconosco alcuni amici e alcuni “conoscenti” nel
mucchio selvaggio, alcuni sono ascesi in coppia, altri in gruppo, ma nessuno in
solitaria. Avverto un brivido, come di una forte gioia mista a intensa paura,
difficile da spiegare dovuta a questo procedere in solitudine. Solitari non si
nasce, ma a volte lo si diventa per necessità e a tal proposito scriveva il
divino Walter Bonatti: << Alla solitudine, che è isolamento, io do un
valore grandissimo, perché acutizza la sensibilità e amplifica le emozioni. La solitudine,
inoltre, ci mette di fronte a una dimensione divenuta ormai rara, quasi
sconosciuta all’uomo moderno. Infatti, oggi più che mai l’uomo ha paura di
affrontarsi nella solitudine, teme quasi di doversi riconoscere, di doversi
riconquistare.>> Dalla
cima il paesaggio è quasi del tutto celato dalla vegetazione, giro intorno alla
ricerca di strappi nella stessa per ammirare quel poco che la vetta conceda. È
un rilievo che domina la pittoresca frazione di San Francesco, tutto intorno è
circondato dai noti rilievi del Piombada, Schiara, Cuar, e i rilievi minori,
tra cui riconosco il tricorno del monte Gran Pala. Tutta questa visione di
colli dalle sfavillanti velature verdi mi commuove. Decido di rientrare,
ripercorro a ritroso il sentiero, sino ad andare fuori traccia presso la
Forchiazza, ma rimedio subito all’errore ed eccomi al cospetto del sacco bianco
da risistemare dentro lo zaino. Una volta pronto, proseguo verso la Casera di Giaf,
il percorso è obbligato, cioè, quello di attraversare la cresta transitando per
il monte Giaf (fatto ben due volte in passato), e di seguito raggiungere la
caratteristica sella che ospita il riparo.
Questo breve ma affascinante cresta comporta la somma di altri 120 metri
di dislivello, che sommati ai precedenti fanno più di mille metri. Gran parte
dell’escursione è fatta, mi rilasso a salire e scendere sull’affilato crinale. Passo
a volo dalla cima del Monte Giaf, dando solo una fugace sbirciata alla nervosa
figura del faggio che materializza la vetta, e giù veloce, per il ripido pendio
sino alla casera di Giaf. Effettuo una breve visita al locale, lo conosco fin
troppo bene. Percepisco la presenza dei topini, ne individuo le ombre, a uno di
essi sorrido. Decido di fare una breve pausa, ho fame, ora posso sfogare
l’adrenalina che ho accumulato. Firmo il libro dei visitatori, e mentre mi
preparo il panino, lascio cadere di proposito delle briciole, per i miei
simpatici amici roditori che mi stanno spiando. Stranamente dentro la casera avverto
freddo, è umida, quindi, dopo aver chiuso accuratamente il locale, mi sposto
definitivamente per pranzare, presso una catasta di legna posta sul prato e
illuminata e scaldata dal sol leone. È
meriggio, e ho tanta fame, consumo con voracità il cibo che mi sono portato al
seguito. Il cielo par che voglia chiudersi, solo una gocciolina di pioggia mi
accarezza, poi d’incanto la volta celeste si apre, cambiando orizzonti alle pessimistiche
previsioni meteo. Ripreso il cammino per il rientro, mi avvio per l’ampia
carrareccia nominata dal CAI 810a, è molto lunga, comoda e noiosa, in breve mi guida
alla frazione di San Francesco. Superato il ponticello che precede il
parcheggio, constato la presenza di un paio
di signore provenienti da Zanets, e un'altra dama provenire dal torrente,
entrambe tengono in mano un mazzolino di fiori selvatici, raccolti sicuramente
per ornare i vasi che allietano le loro dimore. Il sempre più lucente cielo
azzurro riceve la visita di luminose nuvole tinte di un bianco niveo, esse non
sono minacciose, anzi, sembrano briose e allegre come seducenti signore rapite
dall’ebrezza del vino. Ammiro con un
sorriso lo svanire delle sagome delle muliebri dentro le rispettive abitazioni,
rievocandomi la strofa iniziale di una nota poesia del Leopardi: “Il sabato del
villaggio”
La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole,
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. (…)
Con il cuore colmo di serena felicità mi avvio,
inserisco la chiave nel blocchetto d'accensione, leggero giro in
senso orario e avvio il motore. Abbasso il vetro del finestrino del guidatore,
scruto un cielo sempre più azzurro, ammiro il campanile del paese e
penso:<<Malfa, non smettete mai di sognare…>>. Inserisco la marcia,
e lievemente lascio la frizione e con essa la meravigliosa Val d’Arzino…
Il Forestiero Nomade.
Malfa.
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