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martedì 18 maggio 2021

Anello del Col Navicello da Paludea

Anello del Col Navicello da Paludea

 

Note tecniche. 

 

Localizzazione: Prealpi Carniche

 

Avvicinamento: Lestans-Travesio-Paludea- Sosta presso uno spiazzo (nei presi di Martiners) lungo la strada che collega Travesio a Clauzetto-

 

Regione: Friuli-Venezia Giulia.

Provincia di: Pordenone

.

Dislivello: 317 m.

 

Dislivello complessivo: 350 m.


Distanza percorsa in Km: 9


Quota minima partenza: 220 m.

 

Quota massima raggiunta: Col Navicello 431 m.; Quota massima raggiunta 440 m.

 

Tempi di percorrenza escluse le soste: 3 ore

In: coppia

 

Tipologia Escursione: escursionistiche

 

Difficoltà: escursionistica

 

Tipologia sentiero o cammino: Sentiero remoto

 

Ferrata- valutazione difficoltà:

 

Segnavia: Locali, tabelle bianche con scritte, e bolli rossi.

 

Fonti d’acqua: si

 

Impegno fisico: basso

Preparazione tecnica: bassa

Attrezzature: no

 

Croce di vetta: no

Ometto di vetta: no

Libro di vetta:

Timbro di vetta: no

Riferimenti:

1)               Cartografici: IGM Friuli – Tabacco 028
2) Bibliografici:
3) Internet: 

2)               Periodo consigliato:  

3)                

4)               Da evitare da farsi in:

Condizioni del sentiero:


Consigliati:

Data: domenica 16 maggio 2021

Il “Forestiero Nomade”
Malfa

Il mattino dopo di una giornata uggiosa vengo svegliato da un’intensa luce bianca che filtra dalle fessure delle persiane, mi alzo dal giaciglio e scrutando fuori dalla stanza ammiro uno stupefacente cielo azzurro che mi desta e scuote dal torpore. Eccitato ed entusiasta sveglio Giovanna, la informo che è il caso di cambiare il programma della domenica, quindi preparo la colazione a volo e si va in montagna.  Ci approntiamo da escursionisti e in poco tempo siamo lesti, zaino in spalle, via! Più veloci della luce! Durante queste operazioni penso alla meta da farsi e mi viene in mente la figura di un colle che spesso scruto incuriosito quando percorro in auto la valle del Cosa presso Paludea. Da un veloce sguardo alla mappa Tabacco 028, deduco che l’elevazione in questione è il Col del Navicello, stabilisco il punto di partenza e idealmente creo un anello immaginario, il meteo dovrebbe essere favorevole e reggere sino alle prime ore del pomeriggio. Dell’avventura, vista la brevità del percorso e il poco dislivello, farà parte anche il fido Magritte, che già pronto, scodinzola freneticamente. In pochi minuti, dalla frazione di Lestans, raggiungiamo in auto la valle del Cosa, dove ci addentriamo sino alla periferia di Paludea. Lasciamo l’auto presso un ampio spiazzo lungo la strada provinciale 22 che collega Travesio a Clauzetto, proprio poco prima di un ponticello che permette, una volta guadato il Cosa, di avere accesso alla località Martiners.   Una volta fuori dall’abitacolo ci dirigiamo per la nostra meta, e mappa alla mano, iniziamo con i primi passi l’anello in senso antiorario, transitando sul ponticello che oltrepassa il torrente Cosa. Sull’argine della destra orografica ci aspetta un edificio affrescato da un murale che raffigura la bandiera statunitense; il nostro sentiero lambisce l’argine del Cosa, seguendo un evidente traccia che aggira le pendici orientali del Col Navicello. Dopo aver raggiunto un secondo ponticello, accompagnati dalla dolce melodia dello scorrere delle acque, ci soffermiamo presso una graziosa fontanella da dove sgorga la fresca linfa della sorgente del Toff. Le acque del torrente Cosa in questo luogo assumono un brillante color smeraldo, e le tinte, combinate a quelle della vegetazione creano scorci espressivamente romantici degni di un pittore paesaggista. È solo l’inizio della nostra escursione e già siamo immersi in una splendida visione irreale. Continuiamo per il sentiero che progressivamente si distacca dall’argine del torrente, e una volta guazzato il magro rigagnolo (affluente del Cosa) proseguiamo tramite una mulattiera resa madida dalle recenti piogge.  Lungo il tratto ammiriamo un’attigua ancona che precede il bucolico borgo di Almadis.  Improvvisamente il paesaggio si dischiude sull’ ampia distesa prativa che si insinua a occidente nella piccola conca. Visitiamo le abitazioni del borgo, una in particolare attira la nostra attenzione, essa è adornata da marmoree statue dalle forme variegate, e alcune con espliciti richiami all’arte impressionista. Una volta visitato il piccolo e grazioso borgo seguiamo le indicazioni per la sovrastante frazione di Praforte, iniziando a percorrere una arcaica mulattiera.  Conosco bene questo sentiero, percorso in calata alcuni anni fa, la recente pioggia l’ha reso infido, quindi procediamo con cautela.  Durante l’ascesa abbiamo modo di ispezionare alcune vestigie di stavoli, dove possiamo ammirare gli stallaggi. In uno stavolo, all’interno di uno dei locali, osservo il volo agitato della numerosa comunità di pipistrelli. La flora in questo periodo è prospera, alcuni faggi hanno dimensioni gigantesche ed emanano un fascino particolare. Raggiunta la cresta la pesta assume le connotazioni di una comoda stradina di montagna, che percorriamo sino all’ ingresso dell’antico sepolcreto di Praforte. Una breve visita alle anime trapassate è doverosa, malgrado l’abbandono forzato del borgo i sepolcri sono molto curati; da questa visione denoto un chiaro e forte legame della gente nativa al trascorso. Proseguiamo il cammino verso Praforte, protetti dalla fitta ombra creata dalle chiome del bosco di castagno, e ci fermiamo ad ammirare la chiesetta votiva di San Vincenzo, edificata nel XVIII secolo, momentaneamente chiusa al culto sebbene la costruzione appaia in eccellente stato. Dall’edificio sacro svoltiamo a sinistra, decrescendo per un troi delimitato con muri a secco. L’antico cammino ci conduce, lambendo i ruderi di alcuni edifici, alla periferia meridionale del bellissimo borgo di Praforte, che malgrado sia quasi del tutto disabitato, conserva intatta il fascino del passato. Transitiamo tra i ruderi, mentre il suono della laboriosità umana ci distrae, qualcuno, in basso, è all’opera, saranno i discendenti di coloro che un tempo popolavano il borgo, e adesso rispondono al richiamo del passato.  Da un edificio scorgiamo una gentile presenza umana, ci salutiamo reciprocamente con una ossequiosa e sentita discrezione. Un edificio in particolare mi colpisce, appare come il rudere di un maniero, una profonda ferita tra le mura lo rende drammatico, come se fosse stato colpito da una palla di cannone, e il medesimo proietto avesse portato il trapasso agli occupanti. Ritorniamo indietro sui nostri passi e ci dedichiamo alla continuazione dell’anello escursionistico. Dalla periferia orientale di Praforte, transitiamo su una mulattiera, che abbassandosi di quota, percorre la selvosa cresta della forchia che collega il colle di Praforte con il Col Navicello. È sublime l’incedere, reso infido solo dalla pioggia della giornata precedente. Il sentiero è spesso lambito da uno steccato eretto con tralci d’albero, e da essa lo sguardo vola dai limitrofi rilievi di Col Monaco e Celante, fino al lontano monte Pala. Una variegata e infinita gamma di sfumature verdi ci avvolge, a volte armonizzata dai brevi sprazzi di lapislazzuli e latteo del cielo adornato dalle nubi. Ci abbassiamo di quota per poi risalire, transitando ai margini dell’ampio sentiero che è divenuto un pantano. Raggiunto un bivio (cartelli esplicativi) seguiamo le indicazioni a manca per la frazione di Vidunza, tralasciando quelle a destra per quella di Ghet. Il sentiero riguadagna quota, all’incirca una quarantina di metri di dislivello, fino a raggiungere la cresta del Col Navicello, dove un evidente e improvvisata segnalazione (tavola in legno con scritta incisa e tinta in nero, con freccia indicatrice in rosso), ci invita a visitare il punto panoramico presso la frana. Ho letto su una pagina web che nel dicembre del 2020 un franamento ha colpito la frazione di Martiners, causando qualche lieve danno materiale ma tanto spavento tra la popolazione locale. Il sentiero che seguiamo è ben marcato, e segnato con vistosi bolli rossi sulle cortecce della vegetazione, esso fluisce con un andamento dolce, guidandoci fino al punto panoramico del colle (quota 431 m.). Sulla massima elevazione ci attende una comoda e rustica panchina anch’essa eretta con rami. Davvero incantevole il luogo, la panchetta invita a sedersi per ammirare lo scenario, una rappresentazione teatrale che ha come attore dominante il versante nord-orientale del monte Ciaurlec. Invito la mia compagna e Magritte a fare la dovuta pausa e a delibare il paesaggio, mentre io continuo a percorrere per un breve tratto la cresta a oriente (procedo sul tratto franato), accettandomi di aver raggiunto la massima elevazione, ed è quello che costato. Ritornato alla panchina panoramica, su uno dei braccioli fisso con dei nastri adesivi dei medesimi colori del CAI, un barattolino per il beneficio del passaggio dei viandanti.  Effettuiamo una pausa per goderci la raggiunta cimetta, prima di ripartire e rientrare. Durante l’ascesa Magritte claudica vistosamente, quindi, come abbiamo sperimentato in precedenza (vedi l’escursione sul monte Celante), decidiamo di dargli un passaggio con il mio zaino.  Dopo aver trasbordato del materiale (per fare spazio) dalla mia sacca a quella di Giovanna, ospito il fido all’interno dello stesso, prima di iniziare il ritorno. Magritte gradisce molto l’invito, e da come lo descrive Giovanna, durante il trasporto si gode con diletto il paesaggio. Dal vertice del Col Navicello, ritorniamo indietro sino al bivio sulla cresta, e dopo proseguiamo a meridione, tramite il sentiero che conduce alla frazione di Vidunza. La mulattiera che percorriamo è comodissima, e intuisco dallo stato che è remota e assiduamente transitata nei secoli dagli alpigiani. Con pochi tornanti essa ci accompagna alla periferia del borgo, dove imbocchiamo la stradina asfaltata che si congiunge alla strada provinciale dove in mattinata abbiamo lasciato l’auto.  Gli ultimi metri di sentiero sono deliziosi, all’insegna della serenità, inebriati dalla grazia appena vissuta. Mentre ci avviciniamo alla strada principale udiamo delle voci, e successivamente un intenso boato di euforia, simile a quello prorotto da un numeroso pubblico che assiste a una partita di calcio, precisamente nell’attimo che la squadra amica ha messo a segno una rete. Infatti, subito dopo, conseguo che ho indovinato: in basso, presso un campo di calcio scorgiamo numerosi automezzi e tanti giovani, tutti calciatori, sicuramente è in atto un torneo. La maggior parte degli atleti sono neri, e questo mi fa piacere, la società odierna è multietnica e i giovani tra loro non provano sentimenti razzisti. Una volta raggiunta l’auto, vediamo transitare numerosi automezzi dei carabinieri, uno di essi si ferma e una voce conosciuta e amica attira la mia attenzione. Riconosco il carissimo Giorgio, ufficiale dei Carabinieri, persona squisita e di classe, che ha appena presenziato a un rituale religioso officiato dal cardinale Bagnasco al “Perdon Grant”, la festa del Preziosissimo Sangue conservato in San Giacomo di Clauzetto. Dalle poche parole scambiate con Giorgio, ho scorso dal suo volto l’ammirazione per l’ex presidente della Cei. Opinione da me confermata, ho conosciuto di persona il Cardinale Bagnasco nel 2006. Una volta congedatomi dall’amico con un fraterno saluto, terminiamo l’escursione approntandoci per il rientro. Durante il viaggio in auto commentiamo l’escursione, definendola particolare, all’insegna della magica natura, e la onorata ciliegina sulla torta è stato l’incontro a sorpresa con Giorgio, un essere speciale.

Il forestiero Nomade.

Malfa










































































 

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