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martedì 11 aprile 2017

Jof di Dogna da Dogna

 
              Jof di Dogna da Dogna                                          

 

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Giulie

Avvicinamento: Gemona-Moggio-Risalendo il Canal del Ferro lungo la statale 13- Uscire a Dogna- Trovare posteggio subito dopo il ponte sul Fella.

Dislivello: 1536 m.

Dislivello complessivo: 1600 m.

Distanza percorsa in Km: 20 km.

Quota minima partenza: 425 m.

Quota massima raggiunta: 1961 m.

Tempi di percorrenza. 6,5 ore escluse le soste.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI: 602; 602°.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: Solo un ometto.

Libro di vetta: Si.

Timbro di vetta: No.

Cartografia consigliata: No.

Periodo consigliato: maggio -ottobre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato il 602a, il 602 che sale in cima è poco segnato, con sentiero poco battuto, rare tracce di bolli rossi tra i mughi e gli esposti prati sul versante meridionale.

Data: 08 aprile 2017.

 

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa


Relazione:

La bellissima escursione, che dal piccolo borgo di Dogna porta alla cima dell’omonimo monte è nata per caso, dopo l’ultima escursione sul monte Schenone. Nel trekking precedente partivo molto alto di quota (1350 metri circa), subito dopo la malga Poccet. E procedendo per ampie carreggiate ho raggiunto in breve la forcella presso monte Schenone. Le difficolta che ho trovato sono state esclusivamente di carattere fisico (nevai). Per lo Jof di Dogna, non ho aspettato che la neve si sciolga, per poi rifarlo dalla malga Poccet.  Ho avuto un’altra idea. Studiando la mappa della zona, una serie di sentieri ha attratto la mia attenzione, molto ripidi e faticosi e con tanto dislivello. Quindi, in settimana ho studiato il percorso sulla mappa IGM (calibrata). Ho tracciato un sentiero ad anello, che da Dogna aggirando le pendici occidentali del Clap Forato e mi porta alla forcella Mincigos (sentiero CAI 602a), e da quest’ultima seguendo il sentiero 602 raggiungo la cima dello Jof di Dogna per ripidi prati. Sulla mappa non è male, sono all’incirca 20 chilometri e 1600 di dislivello. Disegnata la traccia, la carico sul GPS. Tutto è pronto per l’escursione, si parte il sabato in compagnia del fedele e inossidabile Magritte. La mattina della partenza, ho argento vivo in corpo, non conosco per nulla il tracciato, e tutto questo mi eccita. Tutto nuovo! Immagine per immagine, quello che scoprirò sarà uno spettacolo. Il non conosciuto è un forte stimolo per il sapere. Raggiunta la località di Dogna in perfetto orario (sempre in auto), la supero, raggiungendo la successiva località di Pietratagliata. Da quest’ultima effettuo un’acuta osservazione sul versante settentrionale dello Jof. La neve è quasi del tutta assente, solo alcune tracce in cresta, quindi ritorno indietro a Dogna. Posteggio subito dopo aver superato il torrente Fella. Lascio l’auto un paio di chilometri prima del cartello “inizio sentiero”. Una delle ipotesi che ho valutato è rientrare a Dogna per il sentiero 602, possibilità che non escludo. Do uno sguardo alle pendici del monte e mi appronto, l’esperienza delle ultime escursioni mi consiglia di indossare da subito le ghette e di portare al seguito: piccozza e mini ramponi. Una volta pronto, indosso lo zaino, e con Magritte e sogni al seguito parto per la nuova avventura. Il primo tratto è pianeggiante, costeggio il torrente Fella, e seguo le indicazioni per “Prerit di sopra”, passando in mezzo ad un villaggio di prefabbricati (simili a quelli del post terremoto) arrivo nei pressi di alcuni stavoli (Prerit di sopra), chiara tabella CAI: sentiero 602a, che segna l’inizio (lo ignoravo) del sentiero naturalistico “Prerit- Mincigos – Morosine”. Per i meno stakanovisti, possibilità di lasciare l’auto poco prima delle tabelle. Il prima tratto è ripido, con una serie di tornanti, la ripida mulattiera (di chiara fattura bellica) risale il versante occidentale del Clap Forato. La lettura delle tabelle naturaliste da una gradevole sensazione, allieva la fatica e riempie la mente. Presso una teleferica (anch’essa di matrice bellica) esco dal bosco, ammirando l’antico manufatto e il prato esposto al sole. Seguo i chiari segni e poco prima degli stavoli di Mincigos avvisto tra la vegetazione una strana figura, un animaletto corposo, chiazzato e striato, che una volta osservato meglio, scopro con meraviglia che si tratta di un gatto selvatico “Felis silvestris”. Bello e selvaggio, se ne sta immobile a studiare i miei movimenti. Ne approfitto per fotografarlo, mi avvicino per osservarlo meglio, esso, disturbato, si allontana placido, con passo felpato. È stato un bellissimo incontro, ringrazio la grande signora per questo splendido regalo. Raggiunti alcuni stavoli della piccola frazione di Mincigos, seguo le tracce CAI, scoprendo sulle pareti degli edifici, segni di un remoto passato. Un’ulteriore visione magica mi aspetta: uno scorcio pittoresco, una veduta da fiaba, ovvero i ruderi di un vecchio villaggio di cui una parte è stata ricostruita. Arrivo ad esso attraverso un bel ponticello, anch’esso antico. Sto sognando, se “il buongiorno si vede dal mattino”, oggi vivrò una fantastica escursione. Estasiato dal bellissimo borgo lo dipingo con lo sguardo. Seguo erroneamente un sentiero che mi porta fuori rotta, ritorno indietro ripassando dal bel borgo, cercando di capire dove prosegue la traccia CAI (al ritorno scoprirò che il sentiero sale a destra poco prima del ponticello, incuneandosi dentro il fitto bosco). Ritornato sui miei passi la piccola carrareccia, che sale il pendio, lasciando il ripido prato per entrare nel fitto bosco di faggi. Il sentiero è ripido, in alcuni punti anche cementato, e con una serie di tornanti mi porta nei pressi di una baita in legno. Attraverso la struttura, notando intorno ad essa una galleria, opera bellica, mi fermo a fare una breve sosta presso la fontanella posta all’esterno. Un fregio di artiglieria è scolpito sulla paretina della fonte, evidentemente in questo sito stanziava un reparto italiano durante la “Grande Guerra”. Magritte si disseta da una bacinella posta sotto il fregio, ne approfitto per studiarmi il prosieguo. Subito dopo la casera ritrovo i segni CAI del 602a, (li seguirò al rientro), confortato dal ritrovamento del sentiero perduto, continuo l’escursione dentro il bosco. È chiaro che devo seguire la vecchia mulattiera, evidentemente cento anni fa la vegetazione di alto fusto era assente sulle pendici del monte, a causa sicuramente del disboscamento effettuato dai genieri militari, lo intuisco da alcuni tratti di sentiero che sembrano trinceramenti. Continuo a salire per il più faticoso e meno remunerativo tratto, ripido e ombroso. La visione non spazia oltre i tronchi degli alberi. Con ripidi zig-zag raggiungo l’azzurro cielo presso la forcella di Mincigos (1488 m). Fin qui, più di mille metri di dislivello effettuati, ed ora viene il bello. Alla mia destra a pochi metri ho la cima del Clap Forat (1562 m.) la visiterò in un'altra occasione, proseguo alla mia sinistra, abbandonando il marcato e segnato sentiero 602a, per seguire il selvaggio 602 che sale fino allo Jof di Dogna. Nel primo tratto c’è abbondanza di segni e una labile traccia, che si inoltra tra faggi, pini neri e larici. La pendenza costante mi porta a salire sulla prima elevazione, ovvero il “Cuel Formian” posto a quota 1627 metri, dalla sua vetta posso ammirare la meta di oggi. Ammiro la bellissima mole dello Jof di Dogna: dipinto di verde (mughi e conifere) e giallo (i ripidi prati meridionali). La visione della meta ha allievato le mie fatiche, accrescendomi l’entusiasmo. Sono così vicino, e so che con caparbia, passo dopo passo, tutto sarà più semplice. Seguendo la traccia scendo di pochi metri dal colle, attraversando una vertiginosa cresta protesa sull’esposto versante meridionale. Di seguito, inizio la salita al tratto finale per ripidi prati. Non posso fare a meno di notare i segni della primavera: le prime foglie di nocciolo, di faggio; le fioriture, i primi fiori del larice, di un colore magenta scuro. E in lontananza mi colpisce la gamma degli azzurri intensi che tingono le pareti del Montasio. Esso si staglia sul celeste cielo, adornandosi di piccole pennellate di bianco. Poesia allo stato puro, tale da paralizzarmi le gambe e dirmi:<<Forestiero, dove vai? Sdraiati sul prato e contempla! Ammira come tutto rinasce, e tu, che sei piccolo e insignificante, non ti ergere a dominatore, ma sii semplice spettatore, applaudi questo eterno spettacolo, chiamato “Vita”.>> Inebriato dai colori, dal sole, continuo, stavolta con difficoltà, perché salire questo ripido prato non è semplice.  Le tracce sono labili e i segni sporadici e nascosti nelle piccole rocce, come statuine racchiuse nelle nicchie. Con peripezia, li trovo quasi tutti i segni. Dal ripido pendio passo alla fitta mugheta, e viceversa, stando attento a non perdermi. Con trepidazione solco l’esile traccia che traversa sullo strapiombo, guardo in basso come sfida, non nascondendo la trepidazione. I segni sono di matrice “Vattela a pesca”. Alcuni segni sono così nascosti, che quando ne trovo qualcuno, mi scatta il bonus, vincendo un tratto di comodo sentiero. È un continuo invito a mollare, ma indietro non torno. Do un’occhiata alla traccia che ho disegnato e caricata sul GPS, è perfettamente calibrata e centrata, non manca molto alla vetta. Una cengia immaginaria seguita da alcuni segni su pietre mi porta su la cresta, ben adornata di mughi. Con spiacevole sorpresa scopro che il sentiero attraversa il versante settentrionale, totalmente coperto da un ripido e vertiginoso nevaio. Questo non ci voleva, pazienza! Estraggo dallo zaino i mini ramponi a sei punte e li calzo. Provo il primo tratto di neve, cavolo! La neve è dura! Rifletto, qui ci volevano le dodici punte, così rischio di andare giù. Lascio Magritte, con zaino sulla cresta, starà all’ombra dei mughi e al margine del nevaio, dove potrà dissetarsi. Cerco una soluzione, e portando al seguito solo i bastoncini, ispeziono il versante meridionale, risalendolo di alcuni metri.  Perlustro il pendio in cerca di un varco, niente da fare, le pareti sono perpendicolari e aggettanti sul vuoto. Mi dirigo sulla cresta cercando un varco tra i mughi. Dire che sto tentando un’impresa sovraumana è un eufemismo, dopo mezz’ora di litigare con rami e rametti ho guadagnato solo pochi metri, in cambio ho respirato un abnorme quantità di polline. A tratti avevo l’impressione di essere Laocoonte, il tragico e sfortunato personaggio della “Mitologia Greca” avvinghiato da due enormi serpenti marini.  Non riuscendo a venire a capo di nulla, con fatica rientravo. Riguadagnato l’esposto pendio ritorno indietro dove ho lasciato il fido. Magritte, in cuor suo spera che io avessi finito. L’avventura continua, e come un fulmine mi proietto sul fronte settentrionale, affrontando il nevaio. So bene, che in alcuni sarebbe saggio rinunciare, ma ci sto male per una settimana, allora preferisco andare avanti, in fondo la “Montagna” è la mia follia, passione, amore, e scopo di vita. Il primo tratto di nevaio è duro, scavo con forza con gli scarponi, creando delle tracce, utili per il ritorno. A metà nevaio mi ricordo che avevo al seguito la piccozza, pazienza, sarà per un'altra volta. Supero il primo nevaio con calma, nell’ultimo tratto scivolo, incautamente mi sono tenuto ad un ramo secco di Larice, per fortuna il secondo ramo a cui mi sono aggrappato appartiene a un giovane faggio. Superata la paura riprendo il cammino, osservando da dove sono passato, al ritorno decido di scendere più in basso nel nevaio. La traccia è ben visibile, aggira il costone settentrionale del monte, trovando altri piccoli nevai da superare. Nella fretta ho dimenticato di riempire la bottiglia d’acqua, provo a sciogliere in bocca la neve, ma disseta poco. Sono stanco, affaticato e assetato, mi viene un’idea. In una delle borsette che cingo al cinturone tengo delle pasticche energetiche al gusto di limone, ne prendo due miscelandole con neve fresca. L’effetto è surreale, come se avessi creato una granita al limone. Che buona! Salgo l’ultimo ripido nevaio prima della cima, contento di sciogliere in bocca della buona granita, a volte “il bisogno aguzza l’ingegno”. Ultimi metri, ultime balze erbose ed eccomi in cima, sul grande cupolone. Una croce stilizzata, costruita con un tondino in acciaio e un ramo, imbandierata da un lembo di stoffa verde appartenuto a una bandiera tibetana. Avverto una sensazione di magnificenza, tutto così semplice e infinitamente divino. Il paesaggio è “Stupefacente”, mi stupisco della bellezza di sua Maestà il Montasio e la sua corte, da nord si ammira il suo lato più severo. Alle spalle il Zuc della Bor, domina la scena. Montagne eterne, severe, per intenditori e spiriti sensibili. L’erbosa vetta meriterebbe una sosta prolungata, nascosto tra i sassi dell’ometto, sta una piccola custodia VHS contenente il libricino di vetta. L’ultimo escursionista risale ai primi giorni dell’anno. Effettuate le foto, inizio il rientro, il primo obbiettivo e arrivare integro fino a Magritte. Scendo, con cautela, il ritorno è veloce, raggiungo l’amico. Mi butto stremato sull’erba, apro lo zaino e tiro fuori le cibarie. Sfamo prima l’amico, ero a zero come energie, ora sto meglio, molto meglio. Sazi e dissetati riprendiamo il percorso a ritroso verso Dogna. Il cielo sembra chiudersi, e meglio affrettarsi, con i ramponcini calzati scendo velocemente e in breve raggiungo la forcella di Mincigos. Visto l’orario ho ancora due ore di luce, decido di scendere dallo stesso sentiero da dove sono salito. Rapidamente mi inoltro nel bosco fino a raggiungere la casera con fontana. Effettuo una breve sosta, sistemo il materiale, tolgo i ramponcini e sistemo i calzini e gli scarponi. Riprendo il cammino del rientro seguendo stavolta le tracce CAI, che mi portano velocemente presso il ponticello dove avevo perso all’andata il sentiero. Dal ponticello in poi mi aspetta un rientro tranquillo fino agli stavoli di Prerit di Sopra. Mentre scendo sento il rumore degli automezzi proveniente dal basso, percorrono la statale, Sento anche il treno volare sulle rotaie, l’umanità che viaggia in un’altra dimensione. Quassù il tempo si è fermato. Raggiunti gli stavoli di Prerit di sopra, percorro tranquillamente la lunga carreggiabile che mi porta a Dogna. Scruto il cielo, ammirando i bianchi bastioni del Cimon del Montasio. Raggiunta l’auto, sono felice della meravigliosa esperienza. Parafrasando il grande Pablo Neruda, scrivo, “Oggi ho vissuto”.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

























































































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