Jof di Dogna da Dogna
Note
tecniche.
Localizzazione:
Alpi Giulie
Avvicinamento:
Gemona-Moggio-Risalendo il Canal del Ferro lungo la statale 13- Uscire a Dogna-
Trovare posteggio subito dopo il ponte sul Fella.
Dislivello: 1536
m.
Dislivello
complessivo: 1600 m.
Distanza
percorsa in Km: 20 km.
Quota minima
partenza: 425 m.
Quota
massima raggiunta: 1961 m.
Tempi di
percorrenza. 6,5 ore escluse le soste.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia:
CAI: 602; 602°.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Solo un ometto.
Libro di
vetta: Si.
Timbro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: No.
Periodo
consigliato: maggio -ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato il 602a, il 602 che sale in cima è poco
segnato, con sentiero poco battuto, rare tracce di bolli rossi tra i mughi e
gli esposti prati sul versante meridionale.
Data: 08 aprile
2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
La
bellissima escursione, che dal piccolo borgo di Dogna porta alla cima dell’omonimo
monte è nata per caso, dopo l’ultima escursione sul monte Schenone. Nel
trekking precedente partivo molto alto di quota (1350 metri circa), subito dopo
la malga Poccet. E procedendo per ampie carreggiate ho raggiunto in breve la
forcella presso monte Schenone. Le difficolta che ho trovato sono state esclusivamente
di carattere fisico (nevai). Per lo Jof di Dogna, non ho aspettato che la neve
si sciolga, per poi rifarlo dalla malga Poccet.
Ho avuto un’altra idea. Studiando la mappa della zona, una serie di
sentieri ha attratto la mia attenzione, molto ripidi e faticosi e con tanto
dislivello. Quindi, in settimana ho studiato il percorso sulla mappa IGM (calibrata).
Ho tracciato un sentiero ad anello, che da Dogna aggirando le pendici
occidentali del Clap Forato e mi porta alla forcella Mincigos (sentiero CAI
602a), e da quest’ultima seguendo il sentiero 602 raggiungo la cima dello Jof
di Dogna per ripidi prati. Sulla mappa non è male, sono all’incirca 20
chilometri e 1600 di dislivello. Disegnata la traccia, la carico sul GPS. Tutto
è pronto per l’escursione, si parte il sabato in compagnia del fedele e
inossidabile Magritte. La mattina della partenza, ho argento vivo in corpo, non
conosco per nulla il tracciato, e tutto questo mi eccita. Tutto nuovo! Immagine
per immagine, quello che scoprirò sarà uno spettacolo. Il non conosciuto è un
forte stimolo per il sapere. Raggiunta la località di Dogna in perfetto orario
(sempre in auto), la supero, raggiungendo la successiva località di
Pietratagliata. Da quest’ultima effettuo un’acuta osservazione sul versante
settentrionale dello Jof. La neve è quasi del tutta assente, solo alcune tracce
in cresta, quindi ritorno indietro a Dogna. Posteggio subito dopo aver superato
il torrente Fella. Lascio l’auto un paio di chilometri prima del cartello “inizio
sentiero”. Una delle ipotesi che ho valutato è rientrare a Dogna per il sentiero
602, possibilità che non escludo. Do uno sguardo alle pendici del monte e mi appronto,
l’esperienza delle ultime escursioni mi consiglia di indossare da subito le
ghette e di portare al seguito: piccozza e mini ramponi. Una volta pronto, indosso
lo zaino, e con Magritte e sogni al seguito parto per la nuova avventura. Il
primo tratto è pianeggiante, costeggio il torrente Fella, e seguo le
indicazioni per “Prerit di sopra”, passando in mezzo ad un villaggio di
prefabbricati (simili a quelli del post terremoto) arrivo nei pressi di alcuni
stavoli (Prerit di sopra), chiara tabella CAI: sentiero 602a, che segna l’inizio
(lo ignoravo) del sentiero naturalistico “Prerit- Mincigos – Morosine”. Per i
meno stakanovisti, possibilità di lasciare l’auto poco prima delle tabelle. Il
prima tratto è ripido, con una serie di tornanti, la ripida mulattiera (di
chiara fattura bellica) risale il versante occidentale del Clap Forato. La lettura
delle tabelle naturaliste da una gradevole sensazione, allieva la fatica e
riempie la mente. Presso una teleferica (anch’essa di matrice bellica) esco dal
bosco, ammirando l’antico manufatto e il prato esposto al sole. Seguo i chiari
segni e poco prima degli stavoli di Mincigos avvisto tra la vegetazione una
strana figura, un animaletto corposo, chiazzato e striato, che una volta osservato
meglio, scopro con meraviglia che si tratta di un gatto selvatico “Felis
silvestris”. Bello e selvaggio, se ne sta immobile a studiare i miei movimenti.
Ne approfitto per fotografarlo, mi avvicino per osservarlo meglio, esso,
disturbato, si allontana placido, con passo felpato. È stato un bellissimo
incontro, ringrazio la grande signora per questo splendido regalo. Raggiunti
alcuni stavoli della piccola frazione di Mincigos, seguo le tracce CAI, scoprendo
sulle pareti degli edifici, segni di un remoto passato. Un’ulteriore visione
magica mi aspetta: uno scorcio pittoresco, una veduta da fiaba, ovvero i ruderi
di un vecchio villaggio di cui una parte è stata ricostruita. Arrivo ad esso
attraverso un bel ponticello, anch’esso antico. Sto sognando, se “il buongiorno
si vede dal mattino”, oggi vivrò una fantastica escursione. Estasiato dal bellissimo
borgo lo dipingo con lo sguardo. Seguo erroneamente un sentiero che mi porta
fuori rotta, ritorno indietro ripassando dal bel borgo, cercando di capire dove
prosegue la traccia CAI (al ritorno scoprirò che il sentiero sale a destra poco
prima del ponticello, incuneandosi dentro il fitto bosco). Ritornato sui miei
passi la piccola carrareccia, che sale il pendio, lasciando il ripido prato per
entrare nel fitto bosco di faggi. Il sentiero è ripido, in alcuni punti anche
cementato, e con una serie di tornanti mi porta nei pressi di una baita in
legno. Attraverso la struttura, notando intorno ad essa una galleria, opera
bellica, mi fermo a fare una breve sosta presso la fontanella posta all’esterno.
Un fregio di artiglieria è scolpito sulla paretina della fonte, evidentemente
in questo sito stanziava un reparto italiano durante la “Grande Guerra”.
Magritte si disseta da una bacinella posta sotto il fregio, ne approfitto per
studiarmi il prosieguo. Subito dopo la casera ritrovo i segni CAI del 602a, (li
seguirò al rientro), confortato dal ritrovamento del sentiero perduto, continuo
l’escursione dentro il bosco. È chiaro che devo seguire la vecchia mulattiera,
evidentemente cento anni fa la vegetazione di alto fusto era assente sulle
pendici del monte, a causa sicuramente del disboscamento effettuato dai genieri
militari, lo intuisco da alcuni tratti di sentiero che sembrano trinceramenti.
Continuo a salire per il più faticoso e meno remunerativo tratto, ripido e
ombroso. La visione non spazia oltre i tronchi degli alberi. Con ripidi zig-zag
raggiungo l’azzurro cielo presso la forcella di Mincigos (1488 m). Fin qui, più
di mille metri di dislivello effettuati, ed ora viene il bello. Alla mia destra
a pochi metri ho la cima del Clap Forat (1562 m.) la visiterò in un'altra
occasione, proseguo alla mia sinistra, abbandonando il marcato e segnato
sentiero 602a, per seguire il selvaggio 602 che sale fino allo Jof di Dogna.
Nel primo tratto c’è abbondanza di segni e una labile traccia, che si inoltra
tra faggi, pini neri e larici. La pendenza costante mi porta a salire sulla
prima elevazione, ovvero il “Cuel Formian” posto a quota 1627 metri, dalla sua
vetta posso ammirare la meta di oggi. Ammiro la bellissima mole dello Jof di
Dogna: dipinto di verde (mughi e conifere) e giallo (i ripidi prati
meridionali). La visione della meta ha allievato le mie fatiche, accrescendomi
l’entusiasmo. Sono così vicino, e so che con caparbia, passo dopo passo, tutto
sarà più semplice. Seguendo la traccia scendo di pochi metri dal colle,
attraversando una vertiginosa cresta protesa sull’esposto versante meridionale.
Di seguito, inizio la salita al tratto finale per ripidi prati. Non posso fare
a meno di notare i segni della primavera: le prime foglie di nocciolo, di
faggio; le fioriture, i primi fiori del larice, di un colore magenta scuro. E
in lontananza mi colpisce la gamma degli azzurri intensi che tingono le pareti
del Montasio. Esso si staglia sul celeste cielo, adornandosi di piccole
pennellate di bianco. Poesia allo stato puro, tale da paralizzarmi le gambe e
dirmi:<<Forestiero, dove vai? Sdraiati sul prato e contempla! Ammira come
tutto rinasce, e tu, che sei piccolo e insignificante, non ti ergere a
dominatore, ma sii semplice spettatore, applaudi questo eterno spettacolo,
chiamato “Vita”.>> Inebriato dai colori, dal sole, continuo, stavolta con
difficoltà, perché salire questo ripido prato non è semplice. Le tracce sono labili e i segni sporadici e nascosti
nelle piccole rocce, come statuine racchiuse nelle nicchie. Con peripezia, li
trovo quasi tutti i segni. Dal ripido pendio passo alla fitta mugheta, e
viceversa, stando attento a non perdermi. Con trepidazione solco l’esile traccia
che traversa sullo strapiombo, guardo in basso come sfida, non nascondendo la
trepidazione. I segni sono di matrice “Vattela a pesca”. Alcuni segni sono così
nascosti, che quando ne trovo qualcuno, mi scatta il bonus, vincendo un tratto
di comodo sentiero. È un continuo invito a mollare, ma indietro non torno. Do un’occhiata
alla traccia che ho disegnato e caricata sul GPS, è perfettamente calibrata e
centrata, non manca molto alla vetta. Una cengia immaginaria seguita da alcuni
segni su pietre mi porta su la cresta, ben adornata di mughi. Con spiacevole
sorpresa scopro che il sentiero attraversa il versante settentrionale,
totalmente coperto da un ripido e vertiginoso nevaio. Questo non ci voleva,
pazienza! Estraggo dallo zaino i mini ramponi a sei punte e li calzo. Provo il
primo tratto di neve, cavolo! La neve è dura! Rifletto, qui ci volevano le
dodici punte, così rischio di andare giù. Lascio Magritte, con zaino sulla
cresta, starà all’ombra dei mughi e al margine del nevaio, dove potrà dissetarsi.
Cerco una soluzione, e portando al seguito solo i bastoncini, ispeziono il
versante meridionale, risalendolo di alcuni metri. Perlustro il pendio in cerca di un varco,
niente da fare, le pareti sono perpendicolari e aggettanti sul vuoto. Mi dirigo
sulla cresta cercando un varco tra i mughi. Dire che sto tentando un’impresa
sovraumana è un eufemismo, dopo mezz’ora di litigare con rami e rametti ho guadagnato
solo pochi metri, in cambio ho respirato un abnorme quantità di polline. A
tratti avevo l’impressione di essere Laocoonte, il tragico e sfortunato personaggio
della “Mitologia Greca” avvinghiato da due enormi serpenti marini. Non riuscendo a venire a capo di nulla, con
fatica rientravo. Riguadagnato l’esposto pendio ritorno indietro dove ho
lasciato il fido. Magritte, in cuor suo spera che io avessi finito. L’avventura
continua, e come un fulmine mi proietto sul fronte settentrionale, affrontando
il nevaio. So bene, che in alcuni sarebbe saggio rinunciare, ma ci sto male per
una settimana, allora preferisco andare avanti, in fondo la “Montagna” è la mia
follia, passione, amore, e scopo di vita. Il primo tratto di nevaio è duro,
scavo con forza con gli scarponi, creando delle tracce, utili per il ritorno. A
metà nevaio mi ricordo che avevo al seguito la piccozza, pazienza, sarà per
un'altra volta. Supero il primo nevaio con calma, nell’ultimo tratto scivolo,
incautamente mi sono tenuto ad un ramo secco di Larice, per fortuna il secondo
ramo a cui mi sono aggrappato appartiene a un giovane faggio. Superata la paura
riprendo il cammino, osservando da dove sono passato, al ritorno decido di
scendere più in basso nel nevaio. La traccia è ben visibile, aggira il costone
settentrionale del monte, trovando altri piccoli nevai da superare. Nella
fretta ho dimenticato di riempire la bottiglia d’acqua, provo a sciogliere in
bocca la neve, ma disseta poco. Sono stanco, affaticato e assetato, mi viene
un’idea. In una delle borsette che cingo al cinturone tengo delle pasticche
energetiche al gusto di limone, ne prendo due miscelandole con neve fresca. L’effetto
è surreale, come se avessi creato una granita al limone. Che buona! Salgo l’ultimo
ripido nevaio prima della cima, contento di sciogliere in bocca della buona
granita, a volte “il bisogno aguzza l’ingegno”. Ultimi metri, ultime balze
erbose ed eccomi in cima, sul grande cupolone. Una croce stilizzata, costruita
con un tondino in acciaio e un ramo, imbandierata da un lembo di stoffa verde appartenuto
a una bandiera tibetana. Avverto una sensazione di magnificenza, tutto così semplice
e infinitamente divino. Il paesaggio è “Stupefacente”, mi stupisco della
bellezza di sua Maestà il Montasio e la sua corte, da nord si ammira il suo
lato più severo. Alle spalle il Zuc della Bor, domina la scena. Montagne
eterne, severe, per intenditori e spiriti sensibili. L’erbosa vetta meriterebbe
una sosta prolungata, nascosto tra i sassi dell’ometto, sta una piccola
custodia VHS contenente il libricino di vetta. L’ultimo escursionista risale ai
primi giorni dell’anno. Effettuate le foto, inizio il rientro, il primo
obbiettivo e arrivare integro fino a Magritte. Scendo, con cautela, il ritorno
è veloce, raggiungo l’amico. Mi butto stremato sull’erba, apro lo zaino e tiro
fuori le cibarie. Sfamo prima l’amico, ero a zero come energie, ora sto meglio,
molto meglio. Sazi e dissetati riprendiamo il percorso a ritroso verso Dogna.
Il cielo sembra chiudersi, e meglio affrettarsi, con i ramponcini calzati
scendo velocemente e in breve raggiungo la forcella di Mincigos. Visto l’orario
ho ancora due ore di luce, decido di scendere dallo stesso sentiero da dove
sono salito. Rapidamente mi inoltro nel bosco fino a raggiungere la casera con
fontana. Effettuo una breve sosta, sistemo il materiale, tolgo i ramponcini e
sistemo i calzini e gli scarponi. Riprendo il cammino del rientro seguendo
stavolta le tracce CAI, che mi portano velocemente presso il ponticello dove avevo
perso all’andata il sentiero. Dal ponticello in poi mi aspetta un rientro
tranquillo fino agli stavoli di Prerit di Sopra. Mentre scendo sento il rumore
degli automezzi proveniente dal basso, percorrono la statale, Sento anche il
treno volare sulle rotaie, l’umanità che viaggia in un’altra dimensione. Quassù
il tempo si è fermato. Raggiunti gli stavoli di Prerit di sopra, percorro
tranquillamente la lunga carreggiabile che mi porta a Dogna. Scruto il cielo, ammirando
i bianchi bastioni del Cimon del Montasio. Raggiunta l’auto, sono felice della
meravigliosa esperienza. Parafrasando il grande Pablo Neruda, scrivo, “Oggi ho
vissuto”.
Il vostro “Forestiero
Nomade”
Malfa.
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