Monte Chiadin
2252 m. est e Monte Bola dal Chiadin 2040 m. da Avoltri.
Note tecniche.
Localizzazione:
Alpi Carniche centrali.
Avvicinamento:
Tolmezzo-Villa santina-Ovaro-Rigolato-Forni di Avoltri-Lasciare l’auto subito
dopo il ponte che attraversa Il torrente Degano (900 m. di quota all’incirca)
proseguire a piedi lungo la statale (direzione Sappada) per 500 metri,
indicazioni inizio sentiero (CAI 168) a destra.
Dislivello: 1350
m.
Dislivello
complessivo: 1400 m.
Distanza
percorsa in Km: 13Km.
Quota minima
partenza: 900 m.
Quota
massima raggiunta: 2252 m.
Tempi di
percorrenza. 6 ore complessive senza sosta.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia:
CAI 168.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Si (Bola del Chiadini)
Libro di
vetta: Si (Bola del Chiadini)
Timbro di
vetta: Si (Bola del Chiadini)
Cartografia
consigliata: Tab 01
Periodo
consigliato: aprile-ottobre.
Condizioni
del sentiero: Ben segnato e marcato.
Data: 14
aprile 2014.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Monte
Chiadin Est, sta da anni segnato nell’elenco delle cime che ho in programma, che
puntualmente ho ricopiato per poterlo effettuare nell’anno a venire. Esso, il
monte, domina la valle del Degano (canale Dorgo) che ospita quel gioiellino di
Forni di Avoltri. È impossibile non volgere lo sguardo sulla sua cima quando si
passa da Avoltri. Stavolta ho deciso, farò il Chiadin. Come sempre organizzo le
escursioni con diverse ipotesi di sviluppo, piano A e B e altre soluzioni da
sfruttare all’occorrenza. La cima Chiadin Est non è la più alta dell’elevazione,
ad ovest la supera di trentacinque metri l’altra elevazione (la principale e più
facilmente raggiungibile dalla Val di Sesis), partendo con cinquecento metri di
dislivello in meno. Il sabato mattino mi
alzo più presto del solito, la lunga distanza che devo percorrere per
raggiungere la meta lo esige. Confermo Magritte per meriti fedele compagno di
viaggio. Attraversata la Carnia, giungo all’orario previsto nel bellissimo paese
di Forni D’avoltri. Superato il ponte che attraversa il torrente Degano, sosto
a sinistra, presso un ampio spiazzo adibito ai clienti di un ristorante. L’aria
è mite, alcune nuvole giocano a coprire le dolomitiche cime dominate dalla
creta Forata. Mi appronto per l’escursione e mi avvio sulla statale che porta a
Sappada. Il sentiero parte cinquecento metri dopo il ponte, troverò le
indicazioni alla mia destra. Il Malfa e Magritte, iniziano questa nuova
avventura, briosi, pronti a vivere nuove emozioni. Il sentiero Inizia dalla
statale, bisogna fare attenzione a non farsi investire dalle auto. Un cartello
appoggiato al muro di contenimento mi l’inizio sentiero, seguo le indicazioni
per la bella mulattiera che con decisa pendenza si inoltra nel fitto bosco che
circonda la creta di Navos. Noccioli, abeti bianchi e faggi mi accompagnano nel
primo tratto del percorso. Soprattutto i faggi dall’aspetto vetusto, che
sembrano indicarti la direzione, darti consigli, raccontandoti leggende. Le
loro forme esprimono sofferenza, sulle loro cortecce dipinte dal muschio leggi
tutte i segni lasciati dalle stagioni. Mi inoltro in una valle che si restringe,
dominata dai calcarei dirupi, e quando le fatiche sembrano aumentare scopri che
l’uomo ha disegnato sentieri che rendono il cammino più dolce. Tra le foglie secche
scopro fiori mai visti a forma di ovetto pasquale con colori cangianti. Tale
visone mi delizia, ma solo per poco. Lo scovare una lattina di una nota bevanda
nascosta tra le erbe, mi disgusta, mi chiedo perché? Perché?! E qui non si
tratta di giovani, forestieri o altro, questi sono i meno sospettati, sono i
vigliacchi che come bandiera portano la vergogna e la codardia. Proseguo cercando di dimenticare tutto, per
non rovinarmi la giornata. Il bel sentiero con una serie di serpentine risale
il costone sotto “Gioco del Chiadin “, fino costeggiare due belle baite di
cacciatori: una è in disuso, piccola e aperta, l’altra più capiente è chiusa
con un lucchetto, all’esterno fa bella mostra una lanterna. Continuo per la
bella traccia battuta, aiutato da fascette bicolore legate ai tronchi e
cespugli, che mi accompagneranno fino alla cima. Evidentemente, quando era tutto
innevato, qualcuno ha tracciato il percorso aiutandosi con i segni artificiali.
Raggiunto il prato sommitale della cresta (Giogo del Chiadin) il sentiero
prosegue sul versante settentrionale. Pure essendo oltre i 1800 metri di quota,
trovo poca neve, pochi centimetri che supero con facilità. Superata l’ampia
crestina mi porto di nuovo sul versante meridionale, attraversando il ripido
versante, prima tra radi larici e abeti rossi, e poi allo scoperto sui ripidi
prati. I segni ora si fanno radi, la traccia è labile e presto attenzione,
davanti mi aspettano affioramenti rocciosi e mughi. Superato un tratto ripido
ed esposto su un salto roccioso, mi ritrovo in un’ampia prateria, ingiallita
dall’inverno trascorso e avvolta dalla nebbia creata dalle basse nuvole. I
segni mi portano a salire l’erto pendio fino a raggiungere la cresta. La
visibilità con il passare dei minuti si riduce notevolmente. Adoro giocare al
“Trova il segno e ti mostrerò la direzione”. Mi trovo a ridosso della cima, la
sento vicina anche se non la vedo a causa della nebbia, ma noto un monte con un
oggetto in vetta, è posta alla sinistra del catino erboso, mi incuriosisce, ma
non so se al ritorno ripercorrerò questo medesimo sentiero. Le tracce portano
sull’affilata cresta, esposta a settentrione sugli impressionanti dirupi,
cammino a filo, prestando molta attenzione. Seguo i paletti, e salendo per le
ultime zolle d’erba raggiungo l’esile cima, esposta sull’impressionante abisso.
Un corposo ometto mi indica la massima elevazione, mi fermo, zaino a
terra. La nebbia e le nuvole d’incanto
si dissolvono, come se la montagna mi donasse una ricompensa per la
perseveranza. Ammiro lo spettacolare paesaggio, do un’occhiata alle cime,
prossime mete. L’esile cresta non permette molti movimenti, mi sposto su un
tratto sicuro, e indosso i ramponi a sei punte, utili sia in discesa che sull’erba.
Una volta pronto, do un ultimo sguardo dalla cima e ridiscendo. Provo a
proseguire a settentrione, ma i ripidi pendii e il meteo instabile mi consigliano
di riprendere la via del ritorno. Subito dopo la cima, trovo un tratto
delizioso dove sostare. Mi adagio per terra, e mi preparo per la meritata
pausa. Per Magritte è il momento clou dell’escursione, lo osservo divertito.
Mangia con calma, e ad ogni boccone si guarda intorno gustandosi il paesaggio.
Lo stesso faccio io, godendomi una volta tanto con calma questa
magnificenza. Ripreso il cammino mi
fermo a metà catino erboso, mirando alla cima di quella vetta sconosciuta.
Sulla mappa è segnata solo la quota (2040 m). La curiosità è forte, armato di
ramponcini, taglio il versante inerbito, portandomi presto sulla cresta che
collega le pendici del Chiadin Est al piccolo monte. Mantenendomi sul versante orientale
raggiungo la base della cima, e per balze erbose raggiungo l’affilata
cresta. Mi avvicino alla croce
metallica, noto una campana e anche una cassetta porta libro di vetta con
timbro e libro all’interno. Questo monte ha un nome, lo scopro da una piccola
targa che si chiama “Bola dal Chiadin”, e non si fa mancare niente. Dopo la
breve sosta seguo la traccia più facile che scorre sotto la cresta e si collega
al sentiero 168. Non posso fare a meno di notare un sacco nero per rifiuti
pieno di bottiglie d’acqua minerale, qualcuno sbadatamente le avrà dimenticate,
o spera che i gli stambecchi si organizzano per portare il contenuto giù a
valle, e versarlo nella differenziata. Altro mistero, mi chiedo di nuovo,
perché?! Ritrovato il sentiero ridiscendo
con calma, anche perché avverto un fastidioso dolore alla caviglia destra, quindi
devo avere prudenza. Raggiunta la statale, allungo il tragitto per andare a
trovare i due esemplari di “alpaca” chiusi nel recinto vicino la strada. Il mio
pensiero nell’osservare i simpatici animali, volge alla lontana Patagonia,
chissà se un giorno?! Nel frattempo li saluto e ci avviamo con il fedele amico
verso l’auto. Camminando sulla strada noto che zoppichiamo entrambi, sembriamo
“Totò e Peppino”, rido,
L’età e la
fatica non risparmia nemmeno i prodi eroi. Zoppicando, ma soddisfatti si
raggiunge l’auto, e si rientra nella civiltà.
Il vostro “Forestiero
Nomade”, Malfa.
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