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giovedì 20 aprile 2017

Monte Chiadin 2252 m. est e Monte Bola dal Chiadin 2040 m. da Avoltri.

 
Monte Chiadin 2252 m. est e Monte Bola dal Chiadin 2040 m. da Avoltri.

 Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Carniche centrali.

Avvicinamento: Tolmezzo-Villa santina-Ovaro-Rigolato-Forni di Avoltri-Lasciare l’auto subito dopo il ponte che attraversa Il torrente Degano (900 m. di quota all’incirca) proseguire a piedi lungo la statale (direzione Sappada) per 500 metri, indicazioni inizio sentiero (CAI 168) a destra.

Dislivello: 1350 m.

Dislivello complessivo: 1400 m.

Distanza percorsa in Km: 13Km.

Quota minima partenza: 900 m.

Quota massima raggiunta: 2252 m.

Tempi di percorrenza. 6 ore complessive senza sosta.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI 168.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: Si (Bola del Chiadini)

Libro di vetta: Si (Bola del Chiadini)

Timbro di vetta: Si (Bola del Chiadini)

Cartografia consigliata: Tab 01

Periodo consigliato: aprile-ottobre.

Condizioni del sentiero: Ben segnato e marcato.

Data: 14 aprile 2014.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

Monte Chiadin Est, sta da anni segnato nell’elenco delle cime che ho in programma, che puntualmente ho ricopiato per poterlo effettuare nell’anno a venire. Esso, il monte, domina la valle del Degano (canale Dorgo) che ospita quel gioiellino di Forni di Avoltri. È impossibile non volgere lo sguardo sulla sua cima quando si passa da Avoltri. Stavolta ho deciso, farò il Chiadin. Come sempre organizzo le escursioni con diverse ipotesi di sviluppo, piano A e B e altre soluzioni da sfruttare all’occorrenza. La cima Chiadin Est non è la più alta dell’elevazione, ad ovest la supera di trentacinque metri l’altra elevazione (la principale e più facilmente raggiungibile dalla Val di Sesis), partendo con cinquecento metri di dislivello in meno.  Il sabato mattino mi alzo più presto del solito, la lunga distanza che devo percorrere per raggiungere la meta lo esige. Confermo Magritte per meriti fedele compagno di viaggio. Attraversata la Carnia, giungo all’orario previsto nel bellissimo paese di Forni D’avoltri. Superato il ponte che attraversa il torrente Degano, sosto a sinistra, presso un ampio spiazzo adibito ai clienti di un ristorante. L’aria è mite, alcune nuvole giocano a coprire le dolomitiche cime dominate dalla creta Forata. Mi appronto per l’escursione e mi avvio sulla statale che porta a Sappada. Il sentiero parte cinquecento metri dopo il ponte, troverò le indicazioni alla mia destra. Il Malfa e Magritte, iniziano questa nuova avventura, briosi, pronti a vivere nuove emozioni. Il sentiero Inizia dalla statale, bisogna fare attenzione a non farsi investire dalle auto. Un cartello appoggiato al muro di contenimento mi l’inizio sentiero, seguo le indicazioni per la bella mulattiera che con decisa pendenza si inoltra nel fitto bosco che circonda la creta di Navos. Noccioli, abeti bianchi e faggi mi accompagnano nel primo tratto del percorso. Soprattutto i faggi dall’aspetto vetusto, che sembrano indicarti la direzione, darti consigli, raccontandoti leggende. Le loro forme esprimono sofferenza, sulle loro cortecce dipinte dal muschio leggi tutte i segni lasciati dalle stagioni. Mi inoltro in una valle che si restringe, dominata dai calcarei dirupi, e quando le fatiche sembrano aumentare scopri che l’uomo ha disegnato sentieri che rendono il cammino più dolce. Tra le foglie secche scopro fiori mai visti a forma di ovetto pasquale con colori cangianti. Tale visone mi delizia, ma solo per poco. Lo scovare una lattina di una nota bevanda nascosta tra le erbe, mi disgusta, mi chiedo perché? Perché?! E qui non si tratta di giovani, forestieri o altro, questi sono i meno sospettati, sono i vigliacchi che come bandiera portano la vergogna e la codardia.  Proseguo cercando di dimenticare tutto, per non rovinarmi la giornata. Il bel sentiero con una serie di serpentine risale il costone sotto “Gioco del Chiadin “, fino costeggiare due belle baite di cacciatori: una è in disuso, piccola e aperta, l’altra più capiente è chiusa con un lucchetto, all’esterno fa bella mostra una lanterna. Continuo per la bella traccia battuta, aiutato da fascette bicolore legate ai tronchi e cespugli, che mi accompagneranno fino alla cima. Evidentemente, quando era tutto innevato, qualcuno ha tracciato il percorso aiutandosi con i segni artificiali. Raggiunto il prato sommitale della cresta (Giogo del Chiadin) il sentiero prosegue sul versante settentrionale. Pure essendo oltre i 1800 metri di quota, trovo poca neve, pochi centimetri che supero con facilità. Superata l’ampia crestina mi porto di nuovo sul versante meridionale, attraversando il ripido versante, prima tra radi larici e abeti rossi, e poi allo scoperto sui ripidi prati. I segni ora si fanno radi, la traccia è labile e presto attenzione, davanti mi aspettano affioramenti rocciosi e mughi. Superato un tratto ripido ed esposto su un salto roccioso, mi ritrovo in un’ampia prateria, ingiallita dall’inverno trascorso e avvolta dalla nebbia creata dalle basse nuvole. I segni mi portano a salire l’erto pendio fino a raggiungere la cresta. La visibilità con il passare dei minuti si riduce notevolmente. Adoro giocare al “Trova il segno e ti mostrerò la direzione”. Mi trovo a ridosso della cima, la sento vicina anche se non la vedo a causa della nebbia, ma noto un monte con un oggetto in vetta, è posta alla sinistra del catino erboso, mi incuriosisce, ma non so se al ritorno ripercorrerò questo medesimo sentiero. Le tracce portano sull’affilata cresta, esposta a settentrione sugli impressionanti dirupi, cammino a filo, prestando molta attenzione. Seguo i paletti, e salendo per le ultime zolle d’erba raggiungo l’esile cima, esposta sull’impressionante abisso. Un corposo ometto mi indica la massima elevazione, mi fermo, zaino a terra.  La nebbia e le nuvole d’incanto si dissolvono, come se la montagna mi donasse una ricompensa per la perseveranza. Ammiro lo spettacolare paesaggio, do un’occhiata alle cime, prossime mete. L’esile cresta non permette molti movimenti, mi sposto su un tratto sicuro, e indosso i ramponi a sei punte, utili sia in discesa che sull’erba. Una volta pronto, do un ultimo sguardo dalla cima e ridiscendo. Provo a proseguire a settentrione, ma i ripidi pendii e il meteo instabile mi consigliano di riprendere la via del ritorno. Subito dopo la cima, trovo un tratto delizioso dove sostare. Mi adagio per terra, e mi preparo per la meritata pausa. Per Magritte è il momento clou dell’escursione, lo osservo divertito. Mangia con calma, e ad ogni boccone si guarda intorno gustandosi il paesaggio. Lo stesso faccio io, godendomi una volta tanto con calma questa magnificenza.  Ripreso il cammino mi fermo a metà catino erboso, mirando alla cima di quella vetta sconosciuta. Sulla mappa è segnata solo la quota (2040 m). La curiosità è forte, armato di ramponcini, taglio il versante inerbito, portandomi presto sulla cresta che collega le pendici del Chiadin Est al piccolo monte. Mantenendomi sul versante orientale raggiungo la base della cima, e per balze erbose raggiungo l’affilata cresta.  Mi avvicino alla croce metallica, noto una campana e anche una cassetta porta libro di vetta con timbro e libro all’interno. Questo monte ha un nome, lo scopro da una piccola targa che si chiama “Bola dal Chiadin”, e non si fa mancare niente. Dopo la breve sosta seguo la traccia più facile che scorre sotto la cresta e si collega al sentiero 168. Non posso fare a meno di notare un sacco nero per rifiuti pieno di bottiglie d’acqua minerale, qualcuno sbadatamente le avrà dimenticate, o spera che i gli stambecchi si organizzano per portare il contenuto giù a valle, e versarlo nella differenziata. Altro mistero, mi chiedo di nuovo, perché?!  Ritrovato il sentiero ridiscendo con calma, anche perché avverto un fastidioso dolore alla caviglia destra, quindi devo avere prudenza. Raggiunta la statale, allungo il tragitto per andare a trovare i due esemplari di “alpaca” chiusi nel recinto vicino la strada. Il mio pensiero nell’osservare i simpatici animali, volge alla lontana Patagonia, chissà se un giorno?! Nel frattempo li saluto e ci avviamo con il fedele amico verso l’auto. Camminando sulla strada noto che zoppichiamo entrambi, sembriamo “Totò e Peppino”, rido,

L’età e la fatica non risparmia nemmeno i prodi eroi. Zoppicando, ma soddisfatti si raggiunge l’auto, e si rientra nella civiltà.

Il vostro “Forestiero Nomade”, Malfa.

 

 














































































































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