Monte Culla 1764 m. da Val Aupa
Note tecniche.
Localizzazione: Alpi carniche.
Avvicinamento: Gemona-Moggio Udinese, VAL Aupa fino alla
frazione di Saps, rimanendo sulla locale trovare parcheggio 900 metri lungo la
strada. A sinistra poco prima un cartello con indicazioni CAI.
Dislivello: 1100 m.
Dislivello complessivo: 1300 m.
Distanza percorsa in Km: 18 km.
Quota minima partenza: 670 m.
Quota massima raggiunta: 1764 m.
Tempo di percorrenza. Con neve, 6 ore complessive.
In: Solitaria.
Tipologia Escursione: Solitaria-Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti Esperti.
Segnavia: CAI 435a; 435 -Alta Via Val d’Incarojo con segni
bianco-gialli-
Fonti d’acqua: In alta quota ruscelletti.
Attrezzature: Nessuna.
Croce di vetta: No.
Libro di vetta: Si.
Cartografia consigliata: Tabacco 018.
Periodo consigliato: Primavera-Autunno-
Condizioni del sentiero: Quello visibile fuori dalla neve,
bene segnato e marcato.
Data: 25 marzo 2017.
Il “Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Un altro splendido fine settimana all’insegna del bel tempo mi
ispira un’escursione di tutto rispetto, quindi, consulto tutte le mappe del Friuli
alla ricerca di una meta nuova e che sia fattibile con le condizioni meteo
favorevoli. Stranamente ho avuto difficoltà a trovare la giusta meta. Alcuni
percorsi erano troppo facili, altri problematici a causa della neve primaverile,
che pur sciogliendosi è nello stato peggiore per camminarci. Si affonda molto
con il passo rendendo problematico il prosieguo, soprattutto nei versanti
nord-occidentali. Alla fine, dopo tanto cercare e ricercare la scelta cade sul “
monte Cullar”, meta che a causa del versante settentrionale abbondantemente coperto
di neve avevo in precedenza evitato. Da pochi giorni è arrivata la primavera,
lo testimoniano oltre al datario del calendario, le bellissime giornate
assolate e l’esplosione della fioritura. Mi sveglio alle prime ore dell’alba (come
sempre), stavolta il canto degli uccelli accompagna il lindo cielo mattutino.
Mi avvio con il compare di mille avventure (Magritte) in questa nuova
escursione. Raggiunta la Val Aupa, ammiro come sempre le dolomitiche rocce
della Grauzaria, la sua bellezza è disarmante. Raggiunta la località di Saps, lascio
l’auto subito dopo il curvone. Oggi, per l’occasione, indosso un paio di
scarponi nuovi di zecca, quindi meritano come esordio un’escursione speciale.
Indosso anche le ghette, sicuramente a monte troverò molta neve. Parto per il sentiero
435a seguendo le indicazioni della tabella posta lungo il ciglio della strada.
Lo conosco bene questo sentiero, l’ho percorso da poco per raggiungere il Palon
di Luis. Fino alla forcella che collega il Palon con il Cullar non dovrei avere
sorprese, a parte la consistenza della neve. Ripasso dal borgo Gran Cuel
sostando un attimo sotto la finestra dove ho fantasticato la storia tra “Anna e
Marco”, intravvedo per un attimo dietro le tendine il volto di lei (Anna), mi
sorride, ricambio il sorriso facendole l’occhiolino. Superati i ruderi di
Casera Luis, proseguo per Casera Palis di Luis e una visita è d’obbligo.
Entrando all’interno del piccolo edificio ne ammiro le suppellettili, la finestrella
posta ad oriente illumina l’interno. Scorgo tra gli oggetti il libro delle
firme, apporto la mia, e curiosando apro lo sportello delle provviste. Un
buonissimo odore di frutti di bosco inebria la mente, viene fuori dalla scatola
delle tisane. Prendo un pezzo di cioccolata dalle provviste che ho al seguito e
lo depongo all’interno dell’armadietto, sarà utile per qualche visitatore.
Chiusa la porta della casera, ispeziono l’esterno, notando il bel bagnetto
all’aperto, fotografo il mio volto riflesso nello specchio (sono un inguaribile
vanitoso). Ripreso il cammino mi inoltro nel bosco, stavolta la neve è copiosa,
anche se molto farinosa. In breve tempo raggiungo la forcella che collega il
monte Cullar con il monte Palon. Il versante settentrionale è totalmente
ricoperto di neve, non scorgo nessuna traccia o impronta, osservo il
meraviglioso paesaggio e penso all’itinerario da seguire. È molto intuitivo,
non estraggo nemmeno la mappa dallo zaino. Dovrei seguire una traccia che è attualmente
è sommersa dalla neve, abbassarmi per un po’ di quota fino a raggiungere la casera
Turriee e successivamente risalire seguendo i segni sugli alberi. Così aggirando
il versante nord occidentale del Cullar, mi porterei in cresta e
successivamente in vetta. A parole è facile, ma con più di mezzo metro di neve e
per giunta farinosa la cosa diventa complessa. Decido, seguendo l’istinto da
lupo di procedere in tutt’altro modo. Indosso da subito le ciaspole, che sono indispensabili,
dopodiché procedo dalla forcella, tagliando in diagonale per la vallata settentrionale
sotto le pendici monte Cullar. Intuisco il percorso che mi porta direttamente
alla sommità, così evito il giro ad anello. Lasciandomi guidare dall’istinto raggiungo
la cresta, che corrisponde ai manufatti (postazioni belliche con feritoie) che
cingono la dorsale occidentale del Cullar. Felice dell’intuizione decido di
proseguire ad oriente, ma un imprevisto mi blocca, un ampio nevaio mi sbarra la
strada. Penso sul da farsi e cosa escogitare. Idea! Lascio Magritte con zaino e
ciaspole sulla postazione, e proseguo con una mini sacca e i ramponi a sei
punte. Mi appronto velocemente, saluto il fido amico (sperando di rivederlo) e
proseguo per il nevaio. Già dai primi passi sprofondo notevolmente, raggiunta
la mugheta mi arrampico sul piccolo crinale, che una volta superato mi porta
sul versante opposto a percorrere un’esile cengia, esposta e semicoperta dalla
neve. Il passaggio è ostruito, mi guardo intorno, scoprendo l’inghippo, ovvero
una galleria scavata nella roccia e ostruita dal nevaio. Scavo con i guantoni e
penetro dentro la piccola spelonca artificiale passando sul versante opposto.
Uscendo dall’altra apertura intuisco il proseguo, la cima adesso è in vista, ma
manca ancora un pezzo impegnativo da percorrere. Proseguo per un’ipotetica traccia,
scoprendo i radi segni giallo-bianchi. Attraverso i mughi con un lungo traverso
semicircolare che mi porta sotto le dirupate pareti occidentali del Cullar. Una
lingua di neve mi segna il passaggio, la percorro, così raggiungo l’esposto
crinale e risalgo il canalino. Con l’aiuto dei mughi percorro in salita il
ripido tratto (ghiaino sotto la neve), fino a raggiungere le rocce sommitali,
non più ricoperte di neve. Finalmente l’agognata cima è percorsa dai miei
scarponi, materializzata da una spartana cassetta porta libro di vetta. la
soddisfazione è incommensurabile, finalmente ho raggiunto il vertice della
torre del Cullar, il paesaggio che vedo da quassù è favoloso. Mi godo il
momento, volgendo lo sguardo in basso verso l’amico cane. Ma la sua visione mi
è impedita dall’altura che lo precede. La piccola vetta è incantevole, un
pulpito panoramico che spazia all’infinito. Apporto sul libro la mia firma e
quella di Magritte, che diligentemente fa la guardia laggiù. Ripresomi
dall’infinita gaiezza del paesaggio, riprendo il cammino, ritornando sui miei
passi. Con cautela e perizia, raggiungo l’amico, gli do una carezza, contento
mi scodinzola. Finalmente effettuo una sosta degna di rilievo. Rimetto a posto
i ramponi e preparo il banchetto estraendo dallo zaino la borsa viveri. Con l’amico Magritte ci abbandoniamo a un convito
degno di Dioniso, così recuperiamo le energie. Il sole scalda, donandoci sollievo,
la primavera si respira nell’aria, malgrado il paesaggio conservi un aspetto
severo, tipico del paesaggio invernale. Sono seduto sul gradino interiore del
trinceramento. Una serie di feritoie sono ottenute nella struttura, mi trovo nella
parte interna del vecchio camminamento. Dal versante dove mi trovo intuisco che
la linea degli austro-ungarici passava sotto le pendici occidentali della Creta
di Aip. Il Salinchiet è uno degli arditi e avanzati avamposti italiani. Osservo
incuriosito la linea del fronte, sento dei passi venire da dietro. Un ufficiale
in completa tenuta grigio verde mi si avvicina, mentre altri soldati sono di
vedetta. Mi saluta, iniziando la conversazione:<< Buongiorno Maresciallo,
tutto bene? Ci sono movimenti strani?>> Osservo il giovane ufficiale
negli occhi, penso di essere diventato matto, o sto solo sognando. Guardandomi
intorno, e addosso scopro con sorpresa che non indosso più gli abiti da
escursionista del ventunesimo secolo, ma una divisa grigio verde, e calzo un elmetto.
In mano mi ritrovo un binocolo, e il mio zaino da escursionista si è
trasformato in una sacca militare. Per fortuna Magritte mi è vicino, esso
abbaia al vuoto, rispondendo ai colpi di cannoni. La guerra lo spaventa
rendendolo inquieto. Mentre mi chiedo se sogno o son desto, il giovane ufficiale
mi offre una sigaretta. Gli rispondo cortesemente. <<Grazie, non
fumo!>> Stavo rispondendo che ho smesso quattordici anni fa, nel 2003, ma
esito, non vorrei che mi prende per matto. Il sottoscritto indossa un anche un
vecchio pastrano, noto che il giovane ufficiale ha freddo, gli cedo volentieri il
mio cappotto, acconsente dopo la mia insistenza. Mi chiede se conosco i monti
circostanti, sto per rispondere che li conosco quasi tutti per via delle
escursioni, ma mi trattengo. Rispondo garbatamente che conosco solo alcuni
monti, e quando finirà la guerra mi piacerebbe andare a camminare su per monti,
anche in Austria. Mi guarda stranito, sapesse cosa sto provando interiormente?
Vorrei digli che: La guerra finirà, sarà un inutile spargimento di sangue, e
che poi ce ne sarà un'altra di guerra, ancora più cruenta. Verranno costruiti
confini e barriere, finché cadranno anche quest’ultimi. Un giorno potremmo
andare di qua e di là senza spararci addosso, magari parlando una terza lingua
comune “l’inglese ad esempio”, o comunicare solo con sorrisi e gesti. Ma ora non
posso digli nulla, lo osservo fumare, assolto dai pensieri. L’ufficiale è
giovane, avrà all’incirca 27 anni, moro, occhi scuri, dall’accento sembra originario
della Romagna. Sicuramente è un interventista, un idealista. Mi chiede
gentilmente se mi va di ascoltare un fatto che gli è successo, dentro di me
penso. << Ancora è presto, posso ascoltarlo, poi dovrò rientrare.>>
Con la testa acconsento, rispondendogli che sarò felice di sentire il suo
racconto. <<Caro Maresciallo, un mese fa all’incirca è avvenuto uno sfondamento
del fronte da parte degli austriaci, esattamente verso Cason di Lanza. Io ero
in prima linea, sono riuscito a salvarmi, malgrado fossi stato colpito ad una
gamba. Fuggendo tra le frasche ho trovato riparo nella stalla di una piccola
casera. Durante la notte ho sentito dei passi, tremavo, ho pensato saranno i
crucchi, per me è finita. Mi sono rannicchiato in un angolo, ma è stato
inutile. La porta della stalla si è aperta, per fortuna non erano soldati
nemici, ma cacciatori, italiani, sicuramente montanari della valle. Mi sono
tranquillizzato, non prevedendo il peggio. Li salutai << Sono italiano,
sono italiano.>> Gridai, e continuando. << Sono un ufficiale,
datemi da bere per favore.>> Ma uno di loro, quello più vicino, non
rispondeva, anzi, mi prese l’arma, mi perquisì, requisendomi il portafogli e
portando via anche quel po’di pane che avevo nella sacca. Mi guardo, stette un
attimo in silenzio e con voce cupa mi rispose. <<Tanto a te non serve
più!>>. Rimasi mesto e sconfortato. Un’ora dopo all’incirca sentii il
latrare dei cani, pensai! Sono di nuovo loro e vengono per finirmi. Invece era
un plotone di austriaci in perlustrazione, tremai lo stesso. Uno di loro entrò
nella stalla per ispezionare, mi osservo, aveva un cane lupo al seguito. Era un
ufficiale, lo riconobbi dai gradi, non svelò ai suoi uomini la mia presenza,
forse ebbè pietà dello stato in cui versavo.
Si chinò verso di me, si accorse della mia ferita, la bendò, mi lasciò
del pane e uscendo mi salutò militarmente. Questo episodio mi scorse, mi sono
chiesto dopo: per chi stavo combattendo? E se tutta questa orrenda guerra non
fosse un grande errore.>> Ascoltai con interesse la storia del giovane
ufficiale, mi girai un attimo verso il fronte e mentre gli stavo rispondendo,
tutto svanì, dissolto nella neve che ricopre la vecchia trincea. D’incanto riappaiono
i miei abiti da escursionista, osservo Magritte scodinzolante, pronto per il
rientro. Avverto un grande vuoto, avrei voluto rispondergli e digli di non
smettere di sognare, o dovrei smettere io di sognare? Riprendo il cammino
seguendo ad oriente il trinceramento e i radi segni, mi calo a meridione,
perdendo velocemente quota fino a seguire un traverso nel bosco che mi porta
sulla dorsale che scende dal Cullar. Seguendo i radi segni mi calo per un
ipotetico sentiero, ma la neve copre tutto, solo l’istinto mi guida, e per
fortuna che ho un ottimo orientamento. Presto sono in vista della casera
Turriee, ne sfioro l’edificio ma mi mantengo alto per non perdere
eccessivamente quota. Stavolta ho l’impressione di percepire, ripeto, percepire
le impronte sotto il manto nevoso. In controtendenza salgo di quota, seguendo
qualcosa che la neve copre, penso ad una carrareccia, fino a portarmi in
prossimità della sella che collega il Cullar con il Palon. Mi rimangono ancora tre
ore di luce, sono sufficienti, tolgo le ciaspole e rapidamente rientro, per il
sentiero dell’andata, in poco meno di un’ora e trenta sono nella strada che
percorre la Val Aupa. Raggiunta l’auto, soddisfatto e stanco, mi rilasso. Mi
cambio, dandomi una discreta pulita e mi
preparo per fare una visita di cortesia al piccolo borgo di Dordolla. Raggiunto
il paesino, lascio l’auto in piazza, entrando nel bar-alimentari del paese. Prendo
posto ad un tavolo posto all’angolo, vicino la finestra. Ho Magritte al
seguito, ringhia a chi gli fa i complimenti, quasi a brontolare, è stanco.
Ordino un sambuco, dissetante, intrattenendo una piacevole conversazione con la
simpatica gestrice. Mentre sorseggio la bevanda, disegno, lasciandomi cullare
dalla dolce sensazione che ti dà la
stanchezza. Osservo i volti dei avventori, il locale ha un interno tipico delle
zone di montagna. Strappo il disegno appena fatto sul block notes, chiedendo
alla gestrice se conosce tizio. Mi risponde di sì. <<Bene, cortesemente, se
lo vede, gli dà questo disegno da parte mia, Giuseppe!>> Pagando la
consumazione e poi salutando lascio il locale. Rientro nel quotidiano, dopo
aver sognato ancora una volta nella Val Aupa.
Il vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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