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mercoledì 29 marzo 2017

Monte Cullar dalla Val Aupa.

 
Monte Culla 1764 m. da Val Aupa

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi carniche.

Avvicinamento: Gemona-Moggio Udinese, VAL Aupa fino alla frazione di Saps, rimanendo sulla locale trovare parcheggio 900 metri lungo la strada. A sinistra poco prima un cartello con indicazioni CAI.

Dislivello: 1100 m.

Dislivello complessivo: 1300 m.

Distanza percorsa in Km: 18 km.

Quota minima partenza: 670 m.

Quota massima raggiunta: 1764 m.

Tempo di percorrenza. Con neve, 6 ore complessive.

In: Solitaria.

Tipologia Escursione: Solitaria-Selvaggia.

Difficoltà: Escursionisti Esperti.

Segnavia: CAI 435a; 435 -Alta Via Val d’Incarojo con segni bianco-gialli-

Fonti d’acqua: In alta quota ruscelletti.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: No.

Libro di vetta: Si.

Cartografia consigliata: Tabacco 018.

Periodo consigliato: Primavera-Autunno-

Condizioni del sentiero: Quello visibile fuori dalla neve, bene segnato e marcato.

Data: 25 marzo 2017.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

 

Un altro splendido fine settimana all’insegna del bel tempo mi ispira un’escursione di tutto rispetto, quindi, consulto tutte le mappe del Friuli alla ricerca di una meta nuova e che sia fattibile con le condizioni meteo favorevoli. Stranamente ho avuto difficoltà a trovare la giusta meta. Alcuni percorsi erano troppo facili, altri problematici a causa della neve primaverile, che pur sciogliendosi è nello stato peggiore per camminarci. Si affonda molto con il passo rendendo problematico il prosieguo, soprattutto nei versanti nord-occidentali. Alla fine, dopo tanto cercare e ricercare la scelta cade sul “ monte Cullar”, meta che a causa del versante settentrionale abbondantemente coperto di neve avevo in precedenza evitato. Da pochi giorni è arrivata la primavera, lo testimoniano oltre al datario del calendario, le bellissime giornate assolate e l’esplosione della fioritura. Mi sveglio alle prime ore dell’alba (come sempre), stavolta il canto degli uccelli accompagna il lindo cielo mattutino. Mi avvio con il compare di mille avventure (Magritte) in questa nuova escursione. Raggiunta la Val Aupa, ammiro come sempre le dolomitiche rocce della Grauzaria, la sua bellezza è disarmante. Raggiunta la località di Saps, lascio l’auto subito dopo il curvone. Oggi, per l’occasione, indosso un paio di scarponi nuovi di zecca, quindi meritano come esordio un’escursione speciale. Indosso anche le ghette, sicuramente a monte troverò molta neve. Parto per il sentiero 435a seguendo le indicazioni della tabella posta lungo il ciglio della strada. Lo conosco bene questo sentiero, l’ho percorso da poco per raggiungere il Palon di Luis. Fino alla forcella che collega il Palon con il Cullar non dovrei avere sorprese, a parte la consistenza della neve. Ripasso dal borgo Gran Cuel sostando un attimo sotto la finestra dove ho fantasticato la storia tra “Anna e Marco”, intravvedo per un attimo dietro le tendine il volto di lei (Anna), mi sorride, ricambio il sorriso facendole l’occhiolino. Superati i ruderi di Casera Luis, proseguo per Casera Palis di Luis e una visita è d’obbligo. Entrando all’interno del piccolo edificio ne ammiro le suppellettili, la finestrella posta ad oriente illumina l’interno. Scorgo tra gli oggetti il libro delle firme, apporto la mia, e curiosando apro lo sportello delle provviste. Un buonissimo odore di frutti di bosco inebria la mente, viene fuori dalla scatola delle tisane. Prendo un pezzo di cioccolata dalle provviste che ho al seguito e lo depongo all’interno dell’armadietto, sarà utile per qualche visitatore. Chiusa la porta della casera, ispeziono l’esterno, notando il bel bagnetto all’aperto, fotografo il mio volto riflesso nello specchio (sono un inguaribile vanitoso). Ripreso il cammino mi inoltro nel bosco, stavolta la neve è copiosa, anche se molto farinosa. In breve tempo raggiungo la forcella che collega il monte Cullar con il monte Palon. Il versante settentrionale è totalmente ricoperto di neve, non scorgo nessuna traccia o impronta, osservo il meraviglioso paesaggio e penso all’itinerario da seguire. È molto intuitivo, non estraggo nemmeno la mappa dallo zaino. Dovrei seguire una traccia che è attualmente è sommersa dalla neve, abbassarmi per un po’ di quota fino a raggiungere la casera Turriee e successivamente risalire seguendo i segni sugli alberi. Così aggirando il versante nord occidentale del Cullar, mi porterei in cresta e successivamente in vetta. A parole è facile, ma con più di mezzo metro di neve e per giunta farinosa la cosa diventa complessa. Decido, seguendo l’istinto da lupo di procedere in tutt’altro modo. Indosso da subito le ciaspole, che sono indispensabili, dopodiché procedo dalla forcella, tagliando in diagonale per la vallata settentrionale sotto le pendici monte Cullar. Intuisco il percorso che mi porta direttamente alla sommità, così evito il giro ad anello. Lasciandomi guidare dall’istinto raggiungo la cresta, che corrisponde ai manufatti (postazioni belliche con feritoie) che cingono la dorsale occidentale del Cullar. Felice dell’intuizione decido di proseguire ad oriente, ma un imprevisto mi blocca, un ampio nevaio mi sbarra la strada. Penso sul da farsi e cosa escogitare. Idea! Lascio Magritte con zaino e ciaspole sulla postazione, e proseguo con una mini sacca e i ramponi a sei punte. Mi appronto velocemente, saluto il fido amico (sperando di rivederlo) e proseguo per il nevaio. Già dai primi passi sprofondo notevolmente, raggiunta la mugheta mi arrampico sul piccolo crinale, che una volta superato mi porta sul versante opposto a percorrere un’esile cengia, esposta e semicoperta dalla neve. Il passaggio è ostruito, mi guardo intorno, scoprendo l’inghippo, ovvero una galleria scavata nella roccia e ostruita dal nevaio. Scavo con i guantoni e penetro dentro la piccola spelonca artificiale passando sul versante opposto. Uscendo dall’altra apertura intuisco il proseguo, la cima adesso è in vista, ma manca ancora un pezzo impegnativo da percorrere. Proseguo per un’ipotetica traccia, scoprendo i radi segni giallo-bianchi. Attraverso i mughi con un lungo traverso semicircolare che mi porta sotto le dirupate pareti occidentali del Cullar. Una lingua di neve mi segna il passaggio, la percorro, così raggiungo l’esposto crinale e risalgo il canalino. Con l’aiuto dei mughi percorro in salita il ripido tratto (ghiaino sotto la neve), fino a raggiungere le rocce sommitali, non più ricoperte di neve. Finalmente l’agognata cima è percorsa dai miei scarponi, materializzata da una spartana cassetta porta libro di vetta. la soddisfazione è incommensurabile, finalmente ho raggiunto il vertice della torre del Cullar, il paesaggio che vedo da quassù è favoloso. Mi godo il momento, volgendo lo sguardo in basso verso l’amico cane. Ma la sua visione mi è impedita dall’altura che lo precede. La piccola vetta è incantevole, un pulpito panoramico che spazia all’infinito. Apporto sul libro la mia firma e quella di Magritte, che diligentemente fa la guardia laggiù. Ripresomi dall’infinita gaiezza del paesaggio, riprendo il cammino, ritornando sui miei passi. Con cautela e perizia, raggiungo l’amico, gli do una carezza, contento mi scodinzola. Finalmente effettuo una sosta degna di rilievo. Rimetto a posto i ramponi e preparo il banchetto estraendo dallo zaino la borsa viveri.  Con l’amico Magritte ci abbandoniamo a un convito degno di Dioniso, così recuperiamo le energie. Il sole scalda, donandoci sollievo, la primavera si respira nell’aria, malgrado il paesaggio conservi un aspetto severo, tipico del paesaggio invernale. Sono seduto sul gradino interiore del trinceramento. Una serie di feritoie sono ottenute nella struttura, mi trovo nella parte interna del vecchio camminamento. Dal versante dove mi trovo intuisco che la linea degli austro-ungarici passava sotto le pendici occidentali della Creta di Aip. Il Salinchiet è uno degli arditi e avanzati avamposti italiani. Osservo incuriosito la linea del fronte, sento dei passi venire da dietro. Un ufficiale in completa tenuta grigio verde mi si avvicina, mentre altri soldati sono di vedetta. Mi saluta, iniziando la conversazione:<< Buongiorno Maresciallo, tutto bene? Ci sono movimenti strani?>> Osservo il giovane ufficiale negli occhi, penso di essere diventato matto, o sto solo sognando. Guardandomi intorno, e addosso scopro con sorpresa che non indosso più gli abiti da escursionista del ventunesimo secolo, ma una divisa grigio verde, e calzo un elmetto. In mano mi ritrovo un binocolo, e il mio zaino da escursionista si è trasformato in una sacca militare. Per fortuna Magritte mi è vicino, esso abbaia al vuoto, rispondendo ai colpi di cannoni. La guerra lo spaventa rendendolo inquieto. Mentre mi chiedo se sogno o son desto, il giovane ufficiale mi offre una sigaretta. Gli rispondo cortesemente. <<Grazie, non fumo!>> Stavo rispondendo che ho smesso quattordici anni fa, nel 2003, ma esito, non vorrei che mi prende per matto. Il sottoscritto indossa un anche un vecchio pastrano, noto che il giovane ufficiale ha freddo, gli cedo volentieri il mio cappotto, acconsente dopo la mia insistenza. Mi chiede se conosco i monti circostanti, sto per rispondere che li conosco quasi tutti per via delle escursioni, ma mi trattengo. Rispondo garbatamente che conosco solo alcuni monti, e quando finirà la guerra mi piacerebbe andare a camminare su per monti, anche in Austria. Mi guarda stranito, sapesse cosa sto provando interiormente? Vorrei digli che: La guerra finirà, sarà un inutile spargimento di sangue, e che poi ce ne sarà un'altra di guerra, ancora più cruenta. Verranno costruiti confini e barriere, finché cadranno anche quest’ultimi. Un giorno potremmo andare di qua e di là senza spararci addosso, magari parlando una terza lingua comune “l’inglese ad esempio”, o comunicare solo con sorrisi e gesti. Ma ora non posso digli nulla, lo osservo fumare, assolto dai pensieri. L’ufficiale è giovane, avrà all’incirca 27 anni, moro, occhi scuri, dall’accento sembra originario della Romagna. Sicuramente è un interventista, un idealista. Mi chiede gentilmente se mi va di ascoltare un fatto che gli è successo, dentro di me penso. << Ancora è presto, posso ascoltarlo, poi dovrò rientrare.>> Con la testa acconsento, rispondendogli che sarò felice di sentire il suo racconto. <<Caro Maresciallo, un mese fa all’incirca è avvenuto uno sfondamento del fronte da parte degli austriaci, esattamente verso Cason di Lanza. Io ero in prima linea, sono riuscito a salvarmi, malgrado fossi stato colpito ad una gamba. Fuggendo tra le frasche ho trovato riparo nella stalla di una piccola casera. Durante la notte ho sentito dei passi, tremavo, ho pensato saranno i crucchi, per me è finita. Mi sono rannicchiato in un angolo, ma è stato inutile. La porta della stalla si è aperta, per fortuna non erano soldati nemici, ma cacciatori, italiani, sicuramente montanari della valle. Mi sono tranquillizzato, non prevedendo il peggio. Li salutai << Sono italiano, sono italiano.>> Gridai, e continuando. << Sono un ufficiale, datemi da bere per favore.>> Ma uno di loro, quello più vicino, non rispondeva, anzi, mi prese l’arma, mi perquisì, requisendomi il portafogli e portando via anche quel po’di pane che avevo nella sacca. Mi guardo, stette un attimo in silenzio e con voce cupa mi rispose. <<Tanto a te non serve più!>>. Rimasi mesto e sconfortato. Un’ora dopo all’incirca sentii il latrare dei cani, pensai! Sono di nuovo loro e vengono per finirmi. Invece era un plotone di austriaci in perlustrazione, tremai lo stesso. Uno di loro entrò nella stalla per ispezionare, mi osservo, aveva un cane lupo al seguito. Era un ufficiale, lo riconobbi dai gradi, non svelò ai suoi uomini la mia presenza, forse ebbè pietà dello stato in cui versavo.  Si chinò verso di me, si accorse della mia ferita, la bendò, mi lasciò del pane e uscendo mi salutò militarmente. Questo episodio mi scorse, mi sono chiesto dopo: per chi stavo combattendo? E se tutta questa orrenda guerra non fosse un grande errore.>> Ascoltai con interesse la storia del giovane ufficiale, mi girai un attimo verso il fronte e mentre gli stavo rispondendo, tutto svanì, dissolto nella neve che ricopre la vecchia trincea. D’incanto riappaiono i miei abiti da escursionista, osservo Magritte scodinzolante, pronto per il rientro. Avverto un grande vuoto, avrei voluto rispondergli e digli di non smettere di sognare, o dovrei smettere io di sognare? Riprendo il cammino seguendo ad oriente il trinceramento e i radi segni, mi calo a meridione, perdendo velocemente quota fino a seguire un traverso nel bosco che mi porta sulla dorsale che scende dal Cullar. Seguendo i radi segni mi calo per un ipotetico sentiero, ma la neve copre tutto, solo l’istinto mi guida, e per fortuna che ho un ottimo orientamento. Presto sono in vista della casera Turriee, ne sfioro l’edificio ma mi mantengo alto per non perdere eccessivamente quota. Stavolta ho l’impressione di percepire, ripeto, percepire le impronte sotto il manto nevoso. In controtendenza salgo di quota, seguendo qualcosa che la neve copre, penso ad una carrareccia, fino a portarmi in prossimità della sella che collega il Cullar con il Palon. Mi rimangono ancora tre ore di luce, sono sufficienti, tolgo le ciaspole e rapidamente rientro, per il sentiero dell’andata, in poco meno di un’ora e trenta sono nella strada che percorre la Val Aupa. Raggiunta l’auto, soddisfatto e stanco, mi rilasso. Mi cambio, dandomi  una discreta pulita e mi preparo per fare una visita di cortesia al piccolo borgo di Dordolla. Raggiunto il paesino, lascio l’auto in piazza, entrando nel bar-alimentari del paese. Prendo posto ad un tavolo posto all’angolo, vicino la finestra. Ho Magritte al seguito, ringhia a chi gli fa i complimenti, quasi a brontolare, è stanco. Ordino un sambuco, dissetante, intrattenendo una piacevole conversazione con la simpatica gestrice. Mentre sorseggio la bevanda, disegno, lasciandomi cullare dalla dolce sensazione che ti dà  la stanchezza. Osservo i volti dei avventori, il locale ha un interno tipico delle zone di montagna. Strappo il disegno appena fatto sul block notes, chiedendo alla gestrice se conosce tizio. Mi risponde di sì. <<Bene, cortesemente, se lo vede, gli dà questo disegno da parte mia, Giuseppe!>> Pagando la consumazione e poi salutando lascio il locale. Rientro nel quotidiano, dopo aver sognato ancora una volta nella Val Aupa.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 







































































































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