Monte Banora
(o Banera) 1615 m. da Uccea
Note tecniche.
Localizzazione:
Prealpi Giulie.
Avvicinamento:
Da Tarcento seguire la statale n.646 per la Val Torre fino al passo Tamarea,
continuare per Uccea. Seguire indicazioni per il cimitero, piccolo spiazzo.
Dislivello: 950
m.
Dislivello
complessivo: 1000 m.
Distanza
percorsa in Km: 10 km.
Quota minima
partenza: 660 m.
Quota
massima raggiunta: 1615 m.
Tempo di
percorrenza. 5, 5 ore.
In: Solitaria
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionistiche
Segnavia:
CAI 733, 731.Bolli rossi.
Fonti
d’acqua: Presso la casera Caal.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: No.
Libro di
vetta: No.
Cartografia
consigliata: Tabacco 027.
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Ove visibile ben segnato e marcato.
Data: 18
marzo 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
Lo zaino è pronto
da giorni, la meta la deciderò all’ultimo istante, penso di riprendere
un’escursione rimasta in sospeso, mi oriento sulle cime che dominano la
frazione di Uccea. Sulla lavagnetta in cucina scrivo orientativamente “Monte Guarda”, tutto è pronto per l’avventura,
non mi rimane che aspettare il fine settimana. Venerdì mattina accompagno mio
figlio alla stazione ferroviaria di Casarsa, mentre dialoghiamo in auto avverto
dei brividi di freddo, chiari sintomi che sto incubando uno stato influenzale. Chiaro
preludio a una caduta fisica, ma non ho voglia di declinare l’escursione, mi
imbottisco di panni, mangio, e prendo un’aspirina, subito dopo vado a letto,
sperando che passi. Durante la notte ho incubi, sono sicuro di non farcela, mi
sveglio a intervalli, riesco a dormire solo un’ora piena. Suona la sveglia, mai
inopportuna come in questa occasione, mi preparo per l’escursione: colazione
abbondante e vestizione. Esco da casa come a solito presto, voglio essere sul punto
di partenza non oltre le 07:30. Durante il tragitto rifletto: se non stia
commettendo un errore e se non fosse stato più opportuno rimanere a letto, con latte
caldo, miele, e una buona dormita. Raggiunta La valle del Torre, noto che le
strade sono sgombre da neve, che invece persiste abbondantemente sui versanti
settentrionali dei monti. Giunto a Uccea imbocco la piccola stradina seguendo
le indicazioni per il cimitero, riuscendo a sostare in un comodo spiazzo. Il
sentiero parte adiacente ad una tabella CAI posta dirimpetto al luogo della
sosta. Esco dall’auto e mi rendo conto che non sto bene, sono fuso e indeciso,
medito se abbandonare l’impresa. Nell’indecisione, indosso gli scarponi e con
tempi lenti mi appronto. Zaino in spalle, Magritte, sogni e influenza al
seguito parto per l’escursione, imboccando il sentiero 733. Dopo pochi metri di
percorrenza mi fermo, pensando se non sto facendo la cosa giusta, ma non mollo.
Proseguo, mi auto stimolo pensando alla meta da raggiungere, mi prefiggo la casera
di Caal, nella precedente escursione in zona l’avevo snobbata. Con tanta forza
di volontà vado avanti, risalendo l’erto spallone fino ad incontrare i primi
stavoli (quota 757 m.) e sempre per ripido sentiero dentro il bosco di faggi
raggiungo il secondo nucleo di stavoli posto a quota 998 m. Le forze sono quelle
che sono, mi fermo, accarezzo Magritte. Interiormente prosegue una furente lotta
tra l’incosciente che vuol proseguire e il saggio che vuole abbandonare
l’impresa. Riprendo il cammino dentro la faggeta, percorrendo il sentiero che
si fa più comodo fino alle pendici meridionali del monte Caal. La traccia aggira
in senso orario il versante del monte Caal e si porta sul versante
settentrionale del monte che trovo coperto da neve compatta. Mi fermo e mi
attrezzo con i ramponi a 6 punte che si rivelano provvidenziali nel primo tratto.
Raggiunta la Sella mi fermo presso il cartello che indica la casera Caal.
Osservo le pendici del monte Banora, sono parzialmente innevate, riesco a
vedere i solchi dei sentieri. Decido di provare con un ultimo sforzo di
raggiungere la soprastante cima del monte Banora, seguendo una traccia non CAI,
ma segnata sulla mappa. Quindi superata la sella seguo per un tratto il
sentiero CAI 733, abbandonandolo per un sentiero marcato e segnato con bolli
rossi che parte da quota 1350 metri all’incirca (paletto in legno), e che
taglia in diagonale le pendici del monte Banora da oriente a occidente. Il
sentiero come il precedente 733 è quello che rimane delle numerose mulattiere
di guerra scavate dai genieri militari durante il primo conflitto mondiale. Esso
(il sentiero) nel primo tratto è libero da neve e ha un andamento comodo, poi
scompare coperto da un vasto nevaio che taglio con prudenza, una decina di
metri sotto (sempre sul nevaio) noto le tracce di un escursionista. L’attraversamento
del nevaio è delicato, la neve è fradicia, affondo con gli scarponi anche di
mezzo metro, dopo un po’ la traversata diventa stressante, tale che cerco ove è
possibile le zolle d’erba. Nel frattempo avvisto tre camosci che con elegante
movimento mi suggeriscono una valida alternativa. L’ultimo tratto che mi
conduce alla cresta è coperto di neve, decido seguendo l’esempio dei camosci di
tagliare per zolle d’erba, arrampicandomi sul ripido pendio, così guadagno in
breve la cresta, risparmiando tempo e fatica. La scelta si rivela azzeccatissima,
mi ritrovo sulla cresta che si aggetta sulla val Resia. La neve ricopre
parzialmente il vertice, procedo sulle zolle erbose ove mi e possibile, portandomi
al centro della cresta per cercare neve dura.
Il monte Banora non è lontano, ma la fatica si fa sentire, dopo aver
percorso l’innevata ante-cima mi appresto a risalire l’ampia cupola finale. La
vetta è totalmente innevata, pianto i bastoncini al centro dell’ipotetico vertice.
Aver percorso le dune di neve è stato emozionante, peccato per la scarsa visibilità
e per le raffiche di vento. Mi riparo
dai gelidi soffi coprendomi ancora con copri-collo e berretto di lana. Dal quel
poco che traspare del paesaggio posso ammirare il Canin in versione invernale,
tutto intorno è bianco su bianco. Mi affretto a fare gli scatti fotografici di
vetta, e successivamente riprendo il cammino. Fa freddo, o sono io che
enfatizzo? La prima ipotesi per il rientro dalla cima era quella di rifare il
percorso a ritroso. Ma visto l’antipatico nevaio e la distanza effettuata, provo
ad azzardare un’ipotetica discesa. Il piano è semplice: dalla cima proseguo per
un po’ di metri verso oriente dirigendomi per un tratto verso monte Plagne,
dopodiché mi abbasso nel versante meridionale in un ampio canalone, ripido ma
fattibile. Così, spinto da impeto temerario abbandono la cima e per zolle erbose,
prima per andamento diagonale e poi sempre più verticalmente, scendendo nell’ampio
canale, sfruttando i punti più facili e qualche residuo nevaio. Ho messo in
preventivo qualche scivolata, scivolo solo una volta con le sole conseguenze di
essermi rinfrescato il lato “B”. Raggiunta la base del canalone come previsto ritrovo
il sentiero 733 che mi riporta alla Sella. Soddisfattissimo ed eccitato, mi
auto-complimento, ricevendo in seguito anche il plauso di Magritte. Con questa
operazione ho risparmiato tempo e fatica, tale da permettermi un comodo rientro.
Ripreso il sentiero e raggiunto il punto di ascesa al monte, poco sopra la
sella, decido di deviare per la casera Caal. So che mi comporterà un ulteriore
accumulo di fatica, ma penso che difficilmente ritornerò nei prossimi anni da
queste parti, quindi fatto 31 non mi resta che fare 32. Raggiunta la bellissima
casera, sgancio lo zaino lasciandolo fuori dall’edificio, liberatomi del peso (ho
anche le ciaspole al seguito) visito l’interno della casera. La casetta è un
gioiellino, non manca di nessun confort, commoventi le pantofoline poste in
ordine sui gradini della scaletta che porta alla zona notte. Tutto all’interno
è pulito e in perfetto ordine, non posso che complimentarmi e provare
ammirazione per il personale che la gestisce e per il senso civico dei viandanti.
Esco dalla casera e mi siedo su un mezzo tronco di legno che fa da panca, posto
alla destra dell’uscio. Apro la sacca dello zaino e tiro fuori la borsa viveri,
sono stanco, anzi, siamo stanchi e affamati. Nel rifocillarci, recuperiamo un
po’ di energie, lasciandoci coccolare dal sole che ora fa capolino. Il cielo come
d’incanto ha dissolto le nuvole lasciando trapelare l’azzurro intenso. Attimi
di estasi, relax, osservo i due alberi prospicienti la casera, i rami si diramano
nel cielo disegnando strane figure, in esse vedo volti di donna e occhi curiosi.
Una simpatica tazza di smalto color rosso a pois attira la mia attenzione, da essa
erompe un’abbondante ciuffo d’erba.
Il desiderio
primario è quello di andare su in camera, immaginando che ci sia un comodo
letto e mettermi sotto le coperte, indossare un berretto di lana e
addormentarmi, viaggiando nel mondo onirico. Tutto questo è solo un
fantasticare, la realtà mi porta con gli scarponi per terra. Appena recuperate
le energie mi devo avviare per il ritorno effettuando il percorso a ritroso.
Alzarmi dalla panca e rimettere su lo zaino è un’impresa paragonabile ad una
delle dodici fatiche di Ercole. L’influenza comincia a manifestarsi con
singolari dolori intercostali. Bene, non saranno quest’ultimi a fermarmi,
quindi ripreso il cammino in compagnia del fido Magritte, riguadagno la sella e
procedo a ritroso ricalcando le orme impresse all’andata. Aggirato il monte
Caal, mi ritrovo sul versante meridionale sgombro da neve, e con l’ausilio dei
ramponi a sei punte (che lascio calzati) volo sul sentiero ricoperto di foglie
secche, guadagnando in breve il punto di partenza. Gli ultimi tratti del
sentiero li paragono all’agognata “oasi” dei beduini nel deserto. Raggiunta
l’auto ricevo l’ennesimo plauso di Magritte, che durante l’escursione si è assunto
l’onere e il dovere di farmi da crocerossino. Mentre tolgo i fumanti scarponi osservo
il paesaggio, “la montagna”, chiedendomi per quale misterioso mistero questa
entità sovrannaturale mi spinge spesso all’estremo, non facendomi mai lesinare
energie. In attesa di una suadente risposta che prima o poi arriverà, rientro
nella valle friulana. Nel frattempo il timido sole primaverile accarezza le
cime delle Prealpi Giulie tingendole di rosso.
Il vostro “Forestiero
Nomade”
Malfa.
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