Monte
Chiarandeit 1079 m da Meduno.
Note tecniche.
Localizzazione:
Prealpi Carniche
Avvicinamento:
Lestans-Toppo-Meduno- Forchia di Meduno.
Dislivello: 445
m.
Dislivello
complessivo: 445 m.
Distanza
percorsa in Km: 5 Km.
Quota minima
partenza: 634 m
Quota
massima raggiunta: 1079 m.
In: Coppia
Tipologia Escursione: Selvaggia.
Difficoltà: Escursionistiche
Segnavia:
Bolli rossi.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Croce di
vetta: Nessuna.
Libro di
vetta: Nessuno.
Cartografia
consigliata: Tab 028.
Periodo
consigliato: Tutto l’anno.
Condizioni
del sentiero: Ben marcato e segnato.
Data: 12
marzo 2017.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa
Relazione:
La settimana
scorsa durante la corsetta nella campagna di Maniago, volgo lo sguardo verso i
monti a nord est, soffermandomi sull’altopiano del Ciaurlec. La mia attenzione è
attratta dalla punta triangolare di un monte, che da lontano appare collegato
all’altopiano del monte citato in precedenza. Decido che appena finisco di
correre consulto la mappa IGM della regione e di conseguenza farò un pensierino
per una possibile escursione. Acceso il PC accedo alla mappa, così apprendo il
nome dell’elevazione” Monte Chiarandeit” alto 1079 metri e raggiungibile dalla
forca di Meduno tramite un sentiero segnato sulla mappa in nero e tratteggiato.
Effettuo una breve ricerca sul web, trovando poche informazioni sul rilievo.
Con un software speciale creo una traccia per GPS che carico nello strumento,
progettando l’ascesa per il fine settimana. Arriva la domenica, e malgrado la
faticaccia del giorno precedente sul monte Slenza, con i primi raggi di sole mi
sveglio con buoni propositi. Giovanna (la mia signora) è incredula che di
mattino sono vispo e pronto con per la nuova avventura. Stavolta visto la bella
giornata e la vicinanza della meta con scarso dislivello, prepariamo gli zaini,
minimalisti ed essenziali, ovvero, acqua, una tavoletta di cioccolata e pane. I
pile e le giacche a vento le indossiamo direttamente, ce ne libereremo strada
facendo. Si parte da casa in auto e dopo aver percorso il primo tratto di
strada mi accorgo di aver dimenticato di prendere la macchina fotografica, si ritorna
indietro. Posso rinunciare a molte cose, ma alla macchina fotografia no! E la naturale
prosecuzione del braccio, assolutamente indispensabile. Recuperato l’oggetto
prezioso ci si riavvia in auto per Meduno, ridente paesino alle porte della Val
Tramontina. Raggiunto il paese si seguono le indicazioni per Campone. Un
rotabile con una serie di tornati risale le falde del monte, superando borghi e
stavoli, fino a raggiungere l’ampia e luminosa sella “Forchia di Meduno” che
divide il monte Chiarandeit dal monte Valinis. Trovo posteggio subito dopo la
cappella dedicata agli alpini con annesse lapide commemorative. Posteggio
l’auto sotto un abete e ci approntiamo per la partenza. Il sentiero che ho tracciato nella mappa
parte accanto al piccolo sacrario, dei chiari bolli rossi sono i segnali da seguire.
Ci avviamo per la bella traccia che tra noccioli e aceri risale il pendio
boschivo del Chiarandeit. Noto subito che il sentiero è un vecchio “troi”, ben
battuto e percorso sicuramente per secoli dai malgari. la pendenza della
traccia è lieve, rilassante, chiacchieriamo, ammirando le prime fioriture
primaverili. Un paio di brevi salti si superano senza l’ausilio delle mani, il
sentiero percorre il versante settentrionale del monte da oriente a occidente. Presso
quota 970 metri il sentiero vira a sinistra attraversando una piccola vallata
popolata da grandi massi e faggi, fino a sbucare nell’ampia distesa prativa denominata
“Li Pocis” e dominata dal bel stavolo “Del Bianco” (quota 912m.). Effettuiamo
una breve sosta, estasiati dall’ambiente bucolico, ammiriamo la piccola
costruzione e la bella vegetazione che la circonda. Un piccolo trattore dal colore
rosso sbiadito sembra messo di guardia all’edificio, monta le catene, è evidentemente
che durante la nevicata ha ravanato molto. La cima è vicina, dal prato noto tra
gli arbusti a occidente dei segni gialli. Nel frattempo sopraggiunge un
escursionista con cane a seguito, sfoggia un bel sorriso, ci salutiamo. Dall’aspetto
è il tipico volto da montanaro, barbetta bianca, brizzolato, sicuramente anch’egli
inebriato dalla bella giornata. Egli procede lesto inoltrandosi nel boschetto
che precede la vetta, conosce il percorso. Noi continuiamo l’escursione seguendo
i segni gialli, arrampicandoci per un breve tratto scosceso fino a ritrovare il
sentiero bollato di rosso. Seguiamo la labile traccia tra ontani e faggi fino a
sbucare sul versante meridionale in un bellissimo e ripido prato. La visuale si
apre sul monte Raut e la valle friulana. Risaliamo tra zolle d’erba stando
attenti a non scivolare per via della ripidezza. Raggiunto il cupolotto
sommitale costato che la vetta (quota 1079 m.) corrisponde ad un spoglio ontano
verde posto al limite dell’inerbito prato sommitale. Nessuna croce ed ometto,
solo la pianta che rende il tutto selvatico e autentico. Posti gli zaini a
terra, ci stendiamo sul tappeto erboso e ne approfittiamo per fare merenda. Pane
e cioccolata è l’ideale da consumare mentre ammiriamo la bellezza del panorama circostante.
Un leggero venticello ci coccola e la sensazione libertà veleggia nell’aria.
Ripreso il cammino, e dopo essere scivolati entrambi almeno un paio di volte
sul manto erboso, rientriamo nel boschetto. Ripreso il sentiero per la discesa,
raggiungiamo in breve lo stavolo “Del Bianco”. Mi avvicino all’edificio per
stringere i lacci degli scarponi che si erano allentati, poggiandomi su un
masso, durante l’operazione volgo lo sguardo indietro, al trattore, fermo
immobile, con un aspetto minaccioso. Sorrido svelando la mia fantasia a voce alta.
Immagino una storia thriller tipo quelle scritte da Stephen King, il trattore trasformarsi
in un killer, terrorizzando gli escursionisti che frequentano la zona. Giovanna
(ridendo) simula la colonna sonora ispirandosi a quella famosa del film “Lo Squalo”,
e paragonando il tubo di scarico verticale del trattore alla pinna del
diabolico pesce. Scherzando e ridendo lasciamo lo stavolo, ripercorrendo il sentiero
del ritorno fino al punto di partenza, soffermandomi spesso sulle cortecce
degli alberi a fotografare la strana forma di alcuni bolli rossi (cuori).
Raggiunta la forca di Meduno effettuiamo una breve visita presso la cappella
degli alpini, leggendo su le lapidi i nomi degli eroi militari e non, che si
sono immolati per la patria. Ripresa l’auto si rientra con calma percorrendo i
tornanti del monte fino a scorgere sul tronco di un abete un simpaticissimo
scoiattolo di colore nero con il pancino bianco. Anch’esso si ferma ad
osservarci, sembra dirci:<<Grazie della visita, alla prossima.>> Si
rientra a casa, sereni, felici, e con la prossima meta in mente, un bel piatto
di spaghetti al pomodoro.
Il vostro “Forestiero
Nomade”
Malfa.
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