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mercoledì 15 marzo 2017

Monte Chiarandeit 1079 m da Meduno.

 
                                               Monte Chiarandeit 1079 m da Meduno.

                                                          Note tecniche.

Localizzazione: Prealpi Carniche

Avvicinamento: Lestans-Toppo-Meduno- Forchia di Meduno.

Dislivello: 445 m.

Dislivello complessivo: 445 m.

Distanza percorsa in Km: 5 Km.

Quota minima partenza: 634 m

Quota massima raggiunta: 1079 m.

In: Coppia

 Tipologia Escursione: Selvaggia.

Difficoltà: Escursionistiche

Segnavia: Bolli rossi.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Croce di vetta: Nessuna.

Libro di vetta: Nessuno.

Cartografia consigliata: Tab 028.

Periodo consigliato: Tutto l’anno.

Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.

Data: 12 marzo 2017.

 

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

La settimana scorsa durante la corsetta nella campagna di Maniago, volgo lo sguardo verso i monti a nord est, soffermandomi sull’altopiano del Ciaurlec. La mia attenzione è attratta dalla punta triangolare di un monte, che da lontano appare collegato all’altopiano del monte citato in precedenza. Decido che appena finisco di correre consulto la mappa IGM della regione e di conseguenza farò un pensierino per una possibile escursione. Acceso il PC accedo alla mappa, così apprendo il nome dell’elevazione” Monte Chiarandeit” alto 1079 metri e raggiungibile dalla forca di Meduno tramite un sentiero segnato sulla mappa in nero e tratteggiato. Effettuo una breve ricerca sul web, trovando poche informazioni sul rilievo. Con un software speciale creo una traccia per GPS che carico nello strumento, progettando l’ascesa per il fine settimana. Arriva la domenica, e malgrado la faticaccia del giorno precedente sul monte Slenza, con i primi raggi di sole mi sveglio con buoni propositi. Giovanna (la mia signora) è incredula che di mattino sono vispo e pronto con per la nuova avventura. Stavolta visto la bella giornata e la vicinanza della meta con scarso dislivello, prepariamo gli zaini, minimalisti ed essenziali, ovvero, acqua, una tavoletta di cioccolata e pane. I pile e le giacche a vento le indossiamo direttamente, ce ne libereremo strada facendo. Si parte da casa in auto e dopo aver percorso il primo tratto di strada mi accorgo di aver dimenticato di prendere la macchina fotografica, si ritorna indietro. Posso rinunciare a molte cose, ma alla macchina fotografia no! E la naturale prosecuzione del braccio, assolutamente indispensabile. Recuperato l’oggetto prezioso ci si riavvia in auto per Meduno, ridente paesino alle porte della Val Tramontina. Raggiunto il paese si seguono le indicazioni per Campone. Un rotabile con una serie di tornati risale le falde del monte, superando borghi e stavoli, fino a raggiungere l’ampia e luminosa sella “Forchia di Meduno” che divide il monte Chiarandeit dal monte Valinis. Trovo posteggio subito dopo la cappella dedicata agli alpini con annesse lapide commemorative. Posteggio l’auto sotto un abete e ci approntiamo per la partenza.  Il sentiero che ho tracciato nella mappa parte accanto al piccolo sacrario, dei chiari bolli rossi sono i segnali da seguire. Ci avviamo per la bella traccia che tra noccioli e aceri risale il pendio boschivo del Chiarandeit. Noto subito che il sentiero è un vecchio “troi”, ben battuto e percorso sicuramente per secoli dai malgari. la pendenza della traccia è lieve, rilassante, chiacchieriamo, ammirando le prime fioriture primaverili. Un paio di brevi salti si superano senza l’ausilio delle mani, il sentiero percorre il versante settentrionale del monte da oriente a occidente. Presso quota 970 metri il sentiero vira a sinistra attraversando una piccola vallata popolata da grandi massi e faggi, fino a sbucare nell’ampia distesa prativa denominata “Li Pocis” e dominata dal bel stavolo “Del Bianco” (quota 912m.). Effettuiamo una breve sosta, estasiati dall’ambiente bucolico, ammiriamo la piccola costruzione e la bella vegetazione che la circonda. Un piccolo trattore dal colore rosso sbiadito sembra messo di guardia all’edificio, monta le catene, è evidentemente che durante la nevicata ha ravanato molto. La cima è vicina, dal prato noto tra gli arbusti a occidente dei segni gialli. Nel frattempo sopraggiunge un escursionista con cane a seguito, sfoggia un bel sorriso, ci salutiamo. Dall’aspetto è il tipico volto da montanaro, barbetta bianca, brizzolato, sicuramente anch’egli inebriato dalla bella giornata. Egli procede lesto inoltrandosi nel boschetto che precede la vetta, conosce il percorso. Noi continuiamo l’escursione seguendo i segni gialli, arrampicandoci per un breve tratto scosceso fino a ritrovare il sentiero bollato di rosso. Seguiamo la labile traccia tra ontani e faggi fino a sbucare sul versante meridionale in un bellissimo e ripido prato. La visuale si apre sul monte Raut e la valle friulana. Risaliamo tra zolle d’erba stando attenti a non scivolare per via della ripidezza. Raggiunto il cupolotto sommitale costato che la vetta (quota 1079 m.) corrisponde ad un spoglio ontano verde posto al limite dell’inerbito prato sommitale. Nessuna croce ed ometto, solo la pianta che rende il tutto selvatico e autentico. Posti gli zaini a terra, ci stendiamo sul tappeto erboso e ne approfittiamo per fare merenda. Pane e cioccolata è l’ideale da consumare mentre ammiriamo la bellezza del panorama circostante. Un leggero venticello ci coccola e la sensazione libertà veleggia nell’aria. Ripreso il cammino, e dopo essere scivolati entrambi almeno un paio di volte sul manto erboso, rientriamo nel boschetto. Ripreso il sentiero per la discesa, raggiungiamo in breve lo stavolo “Del Bianco”. Mi avvicino all’edificio per stringere i lacci degli scarponi che si erano allentati, poggiandomi su un masso, durante l’operazione volgo lo sguardo indietro, al trattore, fermo immobile, con un aspetto minaccioso. Sorrido svelando la mia fantasia a voce alta. Immagino una storia thriller tipo quelle scritte da Stephen King, il trattore trasformarsi in un killer, terrorizzando gli escursionisti che frequentano la zona. Giovanna (ridendo) simula la colonna sonora ispirandosi a quella famosa del film “Lo Squalo”, e paragonando il tubo di scarico verticale del trattore alla pinna del diabolico pesce. Scherzando e ridendo lasciamo lo stavolo, ripercorrendo il sentiero del ritorno fino al punto di partenza, soffermandomi spesso sulle cortecce degli alberi a fotografare la strana forma di alcuni bolli rossi (cuori). Raggiunta la forca di Meduno effettuiamo una breve visita presso la cappella degli alpini, leggendo su le lapidi i nomi degli eroi militari e non, che si sono immolati per la patria. Ripresa l’auto si rientra con calma percorrendo i tornanti del monte fino a scorgere sul tronco di un abete un simpaticissimo scoiattolo di colore nero con il pancino bianco. Anch’esso si ferma ad osservarci, sembra dirci:<<Grazie della visita, alla prossima.>> Si rientra a casa, sereni, felici, e con la prossima meta in mente, un bel piatto di spaghetti al pomodoro.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.



















































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