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lunedì 30 gennaio 2017

Monte Porgeit.

 
 

                                            Monte Porgeit 1864 m. da Erto

                                                          Note tecniche.

Localizzazione: Dolomiti Orientali: Gruppo Duranno-Cima dei PRETI.

Avvicinamento: Barcis-Val Cellina-Cimolais-Passo di Sant’Osvaldo. Poco prima Erto sostare  nei pressi della cappella di San Remedio, il sentiero parte poco prima dalla statale , i primi metri sono protetti da una balaustra in metallo .

Dislivello: 1080 m.

Dislivello complessivo: 1080 m.

Distanza percorsa in Km: 8 km.

Quota minima partenza: 784 m.

Quota massima raggiunta: 1864 m.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione: Selvaggio

Difficoltà: Escursionistico.

Segnavia: Solo radi Ometti, traccia solo nella parte inziale, il tratto finale si procede in libera.

Tempo percorrenza totale: 5, 5 ore.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Nessuna.

Cartografia consigliata. Tabacco 021.

Periodo consigliato: Maggio-Ottobre.

Condizioni del sentiero: Selvaggio.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa

 
Relazione:

Ogni volta che il mio spirito desidera libertà devo fuggire dalla quotidianità e il pensiero vola ai luoghi selvaggi delle valli del Vajont e dello Zemola. Le montagne che circondano queste meravigliose valli sono tra le più belle del Friuli, e ogni escursione è una magia per lo spirito libero che vuole vivere la montagna nella sua totalità. Monte Porgeit è una di queste magie messa in programma per l’estate. Il perdurare dell’assenza di neve in questo inverno straordinario ha anticipato la data dell’escursione. Preparo lo zaino essendo sicuro di non trovare neve sul percorso. Il giorno della partenza la sveglia interrompe un dolce sogno, come uno zombie mi avvio in cucina per preparare la colazione. Magritte è già desto e mi guarda cercando un assenso per la sua probabile partecipazione all’escursione, abbasso la testa sorridendogli, colazione anche per lui e si parte per l’ennesima avventura. Vista la vicinanza della meta, me la prendo comoda, esco da casa sempre al buio ma non più in piena notte. La statale che porta alla val del Vajont passa da Barcis e dalla valle del Cellino, che trovo ancora innevate, lastre di ghiaccio galleggiano sul lago, fontane di ghiaccio scolpiscono strane sculture ai margini della strada. La sensazione nell’osservare il paesaggio e di vivere un altro inverno, molto simile a quelli scandinavi. Tutte le località che attraverso sono imbiancate, ma non dispero, percepisco che nella valle del Vajont troverò il sole e un paesaggio molto più rassicurante. Passo da Cimolais, ammirando gli spettacolari Duranno e Cima dei Preti. Supero il piccolo paesino e il passo di Sant’Osvaldo, scendo per la valle del Vajont, le nebbie mattutine ovattano l’atmosfera, dandogli quel tocco magico. Supero la cappella di San Remedio posta a destra della statale, pochi metri dopo scorgo uno spiazzo accanto ad una fontanella costruita su un tronco d’albero dove lascio l’auto. Zaino in spalle e Magritte e sogni al seguito parto. Tornando a ritroso dopo la cappella, percorro la statale per alcuni metri dando un’occhiata all’orrido che si aggetta sul sottostante torrente Zemola.  Dopo alcuni metri una balaustra a sinistra dell’asfalto delimita la salita del primo tratto del sentiero, nessun cartello o segno è posto come indicazione. Il primo tratto è imbiancato di neve, ma dopo pochi metri mi aspetta il sentiero ben marcato che con andamento ripidissimo traccia una diagonale sul versante meridionale del monte, portandosi da occidente a oriente. Il primo tratto di sentiero è sgombro da vegetazione, ma con il guadagnare di quota compaiono i primi sparuti faggi e la numerosa colonia di noccioli. Verso quota 1091 m. il sentiero cambia direzione, da oriente a occidente, mantenendo sempre l’andatura ripida. La traccia è ben marcata dentro il bosco di noccioli che sono fittissimi. Nessun segno e nessuna costruzione che faccia pensare alla presenza dell’uomo, solo questa traccia e radi ometti. La solitudine e l’assenza di visuale sul mondo circostante rende claustrofobica l’escursione, sembra un labirinto, vedo solo il cielo azzurro sopra di me. La vegetazione è così fitta che i noccioli si divertono a catturare il mio berretto di lana. Raggiungo un faggio dove è appesa una piccola ancona con immagine sacra, un’altra è posta per terra con dei rami secchi sopra. Il sentiero continua sempre per bosco fino a raggiungere la quota di 1550 m. dove esce allo scoperto su una bellissima prateria ingiallita dal gelo. Dal basso noto la cresta soprastante del monte Porgeit, l’inganno ottico me la fa sembrare più vicina di com’è nella realtà. Proseguo lungo il sentiero diventato un esile e quasi impercettibile traccia che prosegue in piano da oriente a occidente, sovrastando il dirupo che si aggetta sui prati inferiori. È bellissima la sensazione che si avverte, come di camminare sul vuoto, dall’alto lo sguardo si aggetta sul piccolo centro di Erto, che posso raggiungere solo lanciandomi in volo. La traccia proseguendo raggiunge alcuni faggi, posti come custodi della prateria. Poco prima di essi mi fermo, studio la mappa, intuisco che l’esile traccia mi porterà sul filo di cresta, ma molto più avanti. Decido di tagliare In diagonale, non essendoci tracce da seguire e ne ometti, proseguo a intuito, bellissimo, nulla tra me e la cresta a parte la sconfinata prateria. Cercavo questo” la libertà d’azione”, e l’ho trovata, un mare d’erba da risalire in completa libertà, per toccare il confine tra il giallo della prateria e l’azzurro del cielo. Vai Malfa! Vai Magritte, si sale, il vento ondeggia l’erba, seguo delle diagonali immaginarie, la cresta è sempre più vicina e la fatica si fa sentire. A volte ho l’impressione di percepire una traccia, è come nel deserto, sono solo miraggi, raggiunto un punto mi rendo conto che ne ce n’è un altro più avanti. Zolla dopo zolla, mi avvicino ai bastioni che stanno a destra della meta. Ultimi metri, erba ed azzurro, ed eccomi in cresta, la fatica d’incanto svanisce alleviata dallo splendido paesaggio che mi si prospetta. La Val Zemola, Re Duranno e tutte le cime regine mi danno il benvenuto. A sinistra della cresta una traccia leggermente marcata porta alla cima che appare vicina. La percorro, noto che Magritte si è sfilato il maglioncino, mi fermo sul dorso della cresta che si aggetta sulle due valli. Gli rimetto il capo protettivo con cura, ne approfitto per recuperare le energie. Do uno sguardo all’ora, è presto, la cima è a pochi metri e l’emozione è dietro l’angolo, quindi nessuna fretta. Diamoci un contegno signori! La vetta è sempre una signora, non ci si presenta scomposti, ma con decoro. Ripreso il cammino gli ultimi metri sono sempre quelli che mi danno più emozioni, le fatiche volgono al termine.  Ultimi metri ed eccomi in cima, mi aspettano un cumulo di sassi e dei rami. Zaino a terra, mi guardo in giro, tira vento. Quindi prima che congeli mi copro, indosso un pile sotto la giacca a vento, passamontagna e copri collo. Nutro Magritte e lo copro con una sciarpa, brontola, ringhia, ma fa freddo, e quindi in questo caso deve obbedire. Finalmente (ben coperto) mi concedo al paesaggio. A valle, Erto è ancora innevata, mentre le cime circostanti ne sono quasi prive, solo sul versante occidentale noto una certa persistenza. Ammiro il Re Duranno, le lontane dolomiti d’oltre Piave, e le reginette tra cui Monte Borgà, la Palazza, Monte Cita, le Centenere, e per ultima un sogno che prima o poi realizzerò, Monte Fortezza. A occidente in controluce oltre al monte Cornetto, ammiro il Certen, il monte Toc, dietro di loro il Col Nudo, e lontano a meridione il monte Schiara. Queste divinità di roccia appena citate mi inebriano, qualcuno direbbe che si diventa aquile sui monti. Io mi sento lupo, selvaggio, puzzante dalla fatica, con dolori alle zampe per la strada percorsa, pesante per lo zaino trasportato. Mi sento un lupo che raggiunge le cime, un lupo che vola con la fantasia, essendo anello di unione tra cielo e terra. Non ululo, ma urlo, urlo la mia gioia ai quattro venti, ringraziando la natura di avermi anche stamane donato la salute, indispensabile per raggiungere qualsiasi meta. Mi concedo un piccolo riposo, sdraiandomi sull’erba, poggiando il capo sullo zaino, accanto al mio fedele amico. Baciato dal sole, non penso, e non è poco, non desidero! Per brevi istanti non esisto, lasciando i pensieri arditi e peccaminosi, banali e normali al tempo che fu o che sarà; ora sono un tutt’uno con quell’entità astratta che i credenti chiamano Dio, e che io chiamo Natura. Il cattivo pensiero rompe l’idilliaca atmosfera, esso si chiama realtà, e addentrandosi nella mente mi riporta al presente. Oggi, per una seconda volta mi sveglio da un sogno, stavolta per ritornare a valle: tra sognatori o millantatori, tra puri e bastardi, tra lupi di ogni specie, che volente o nolente sono sempre miei fratelli. Zaino in spalle e Magritte al seguito si scende, mi volto indietro, un sorriso, e giù per la prateria. Vorrei correre, ma cammino, vorrei volare ma ammiro, cosi raggiungo la base del pendio fino ai faggi di sentinella. Mi concedo un breve istante di riflessione, mi sento come quegli amanti che da poco si sono lasciati, avverto la sensazione di gioia-dolore, che mi fa stare bene e male nel medesimo istante, ma devo scendere, purtroppo. Ripercorrendo il sentiero dell’andata raggiungo l’auto. L’acqua scorre dalla fontanella incidendo una lastra di ghiaccio a forma palmata, tutto scorre, e anche questo sogno è volato via nel mondo dei ricordi, il mio sguardo ora è attratto da un monte dalla forma a punta “Monte Cornetto, non ci sono mai stato. Sarà un prossimo sogno?

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa