Monte Cornor
2170 m. (Anello da Piancavallo)
Note
tecniche.
Localizzazione:
Gruppo Col Nudo-Cavallo. Dolomiti Sinistra Piave.
Avvicinamento:
Aviano-Piancavallo-Impianti Sportivi.
Punto di
Partenza: Parcheggio presso impianto sportivo: quota 1283 m.
Dislivello:
900 m.
Dislivello
complessivo: 1400 m.
Distanza
percorsa in Km: 18 km.
Quota minima
partenza: 1283 m.
Quota
massima raggiunta: 2170 m.
In: Con
Magritte.
Tipologia Escursione in parte Selvaggia,
Difficoltà: Escursionisti
Esperti.
Segnavia: CAI
922; 923; 993: Tratti di sentiero bollati con ometti-tratti di percorso senza
traccia e segni.
Tempo
percorrenza totale: Sei ore senza le soste.
Fonti
d’acqua: Nessuna.
Attrezzature:
Nessuna.
Cartografia
consigliata. Tabacco 012
Periodo
consigliato: Primavera-autunno.
Condizioni
del sentiero: Quello CAI ben segnato e tracciato.
Data: sabato
10 dicembre 2016.
Il
“Forestiero Nomade”
Malfa.
Relazione.
Monte Cornor
è una bellissima piramide di roccia posta a occidente del gruppo di Cima
Manera, lo notai quest’anno durante l’escursione sul monte Laste; durante la
salita su quest’ultimo monte mi fermai, intravidi i sentieri e fantasticai.
Successivamente, durante l’escursione sulla cima delle Vacche avevo in mente di
raggiungerlo, ma una nebbia capricciosa me lo impedì, ed eccomi a oggi, a
realizzare questo vecchio sogno posto al confine tra il Veneto e il Friuli, nelle
Dolomiti di oltre Piave che sovrastano l’Alpago. L’escursione per il
chilometraggio è ambiziosa e devo scegliere tra due alternative: partire da
Piancavallo, risparmiando la strada su ruotato ma allungando l’escursione; o
partire dall’Alpago, con un lungo tragitto di avvicinamento in auto e un
notevole risparmio di chilometri e fatica a piedi. Essendo uno stakanovista tendente
allo stoicismo non potevo che scegliere la prima soluzione. Quindi partenza da
Piancavallo, con un percorso approssimato, così alla fatica si aggiunge
l’avventura. La mattina della partenza, come spesso accade in questi giorni invernali
inizio con l’aprire un occhio, orientando l’orecchio verso la stridente sveglia,
l’istinto mi consiglia una bella martellata sull’oggetto stridente, ma la
ragione ha il sopravvento. Un pensiero gelido filtra tra i neuroni:
<<Giuseppe, alzati e cammina :>> I primi dieci passi sono utili per
comprendere le mie generalità e i propositi. La colazione mette in ordine il database,
e con sorpresa scopro che mi accingo a sfidare il gelo, dirigendomi nel freddo
altopiano di Piancavallo. Compagno di
avventura sarà il prode e fedele scudiero Magritte. Pronti e con l’armamentario
ci dirigiamo in giardino, l’auto (Cellafrigo) è pronta, do una mancia al
pinguino di guardia e mi avvio verso l’impresa. Con l’avvicinarmi al luogo della
partenza la notte svanisce, accompagnata dai bellissimi colori dell’aurora, l’ascensione
a Piancavallo è come essere spettatori al cinema di un film in 3D. I caldi
colori dell’alba incorniciano lo skyline degli alberi, sono sveglio da poco e
già sogno. Lascio l’auto nel parcheggio posto tra l’impianto sportivo e la
pista di sci. Zaino in spalle e Magritte
e sogni al seguito si parte. Dal parcheggio un bollo rosso mi indica di
seguirlo, e con i suoi compari mi guida nel bosco di faggio, risalgo il costone
(cartello per il rifugio) fino a raggiungere la Baita Arneri. Fuori dalla
struttura incontro il gestore, breve scambio di battute e riparto per l’escursione
seguendo il sentiero che mi porta nella Val di Sass (cartello inizio sentiero
posto a occidente del rifugio). Conosco bene il sentiero che ho percorso un
paio di giorni prima, in breve raggiungo la Val di Sass, qui abbandono il
sentiero che porta all’alta via del Rondoi, e taglio per la conca, portandomi
al centro di essa. I colori delle cime che la circondano sono di un magico ocra-oro,
è fantastico, mi ritrovo in un ambiente silente da selvaggio Western. Mi giro
intorno, riconoscendo la Cima Colombera e il Monte Tremol, gli altri colli mi
sono sconosciuti ma ho una gran voglia di cavalcarne le creste. Proseguo ad
ovest, passando davanti la struttura avveniristica del rifugio “Val dei Sass”,
è chiusa e rafforza l’impressione di vivere in un film di western, manca solo la
presenza umana, dove sono i gringos? Scruto le creste, nella speranza di
intravedere Jesse James e la sua banda di malfattori. Ma non succede nulla, odo
solo il silenzio, l’unico malfattore in questo deserto sono io e non mi rimane
che proseguire a occidente per la meta. Superata la forcella Palantina
(stranamente posta alla base della dorsale della Colombera) proseguo, scendendo
giù per un angusto canalone, il sentiero è ghiacciato, in pochi minuti mi
abbasso di trecento metri di quota. Sorgono i primi dubbi, chiedo se ne vale la
pena, la meta è lontana, e questi sali-scendi me li ritroverò al ritorno. Accelero
il passo per guadagnare tempo, il sentiero selvaggio penetra nel fitto bosco di
conifere, per poi riprendere il suo corso pianeggiante raggiugendo la conca
prativa dominata dai ruderi della casera Palantina. Pochi metri più avanti un
cartello posto all’incrocio di più sentieri mi consiglia di estrarre la mappa
dalla giacca e dare un’occhiata. Mentre raggiungevo la casera avevo notato
sulla cresta che scende dal Cimon della Palantina un paletto con segni CAI
posto su un’insellatura. La mia idea è di raggiungerlo, sperando che ci sia un proseguo
che mi porti sul 922, cosi guadagno tempo e metri di quota. Percorro il
sentiero sul versante meridionale della Palantina, ho raggiunto il paletto e con
soddisfazione scorgo una traccia poco marcata, sicuramente usata dai
cacciatori. Mi ci butto a capofitto, è ripida e mi porta in breve sul 922 e
successivamente sul 923 che mi porta al rifugio Semenza e alla cima del Cornor.
Nel frattempo incontro un escursionista, originario di una frazione dell’Alpago,
messo a corrente dei miei propositi con lo sguardo mi dà del folle. Mi saluta
con un “buona fortuna”. Il sentiero è un ottimo pulpito panoramico, dominato a
oriente dalle impressionanti pareti rocciose della Palantina, mentre ad occidente
lo sguardo spazia all’infinito.
Dall’alto riconosco il bosco del Cansiglio, il lago di Santa Croce, le
lontani dolomiti e le vicine cima della Vacca e la meta di oggi, la piramide
bianca del monte Cornor. Raggiunto il centro della valle (grande macigno chiamato
Sasso della Madonna) ricomincio a salire tra zolle e rocce, portandomi in alto
di quota fino ad incrociare il sentiero 926 proveniente dall’Alpago. La traccia
rasenta le pendici orientali del monte Cornor, in alcuni tratti è scavato nella
roccia, questo sentiero è un crogiolo di escursionisti presenti in gran numero
in qualsiasi stagione. Raggiunto il rifugio Semenza (chiuso) sosto un paio di
minuti, il tempo necessario per dissetare Magritte e riprendere il cammino. La
forcella Laste è dietro l’angolo, do uno sguardo alla valle Sperlonga,
straordinariamente per la stagione priva di neve e ammiro il bivacco posto
pochi metri avanti. Dalla forcella partono una serie di tracce, prendo quella
più aderente alla parete rocciosa. Il sentiero scavato nella roccia attraverso
un paio di passaggi elementari di arrampicata mi porta in cresta; bellissima
affilata e adrenalinica che dirigendosi ad occidente mi porta alla base della
bancata rocciosa del Cornor. Un ometto posto alla base della paretina mi
inganna, erroneamente seguo una piccola traccia a meridione che presto si
esaurisce tra le zolle d’erba. Mi ritrovo sull’esposto ed erto pendio. Indeciso
se tornare indietro o andare avanti mi consulto con Magritte. Optiamo per
andare avanti, leggo il suo sguardo e sembra dirmi:<< Si vive insieme e
si muore insieme! Su coraggio, conquistiamo questa cima e fammi mangiare che ho
una fame boia.>> Trovo confuso il suo ragionamento tra l’eroico incosciente
e il pragmatico opportunista, comunque il dado e tratto e si prosegue in stile
“Federica-Loris”. Traccio una linea immaginaria fino alla cima e con un taglio
in diagonale proseguo nell’arrampicata libera. La fortuna assiste i coraggiosi,
più avanti scorgo la traccia di camoscio, la seguo e cosi con passo e zampe
sicure raggiungiamo la cresta. Wow, doppio Wow! Splendida visione! Per comodo
percorso, cammino sulla prosecuzione naturale della cima delle Vacche e mi
ritrovo in breve sono sulla vetta, materializzata da una croce spartana formata
da un ramo di larice e una canna, legati insieme da un cordino alpinistico.
Bella e poco appariscente, qualcuno non sarà d’accordo ma la fede non ha
bisogno di cattedrali costruite sulle “Montagne”, ma solo di buoni propositi.
Il paesaggio che circonda la comoda e inerbita vetta è semplicemente
straordinario, la sua posizione geografica mi permette di ammirare a
trecentosessanta gradi le cime circostanti, tra Veneto, Friuli, Austria e Slovenia.
Che dire, sto sognando ad occhi aperti. Magritte è felicissimo, vispo come un
furetto. Estraggo dallo zaino i viveri e lo nutro, io consumo solo una banana e
bevo un energetico. La giornata è bella e il paesaggio meriterebbe una sosta prolungata,
ma il tempo scorre inesorabile; ho solo tre ore di tempo per raggiungere l’auto
prima che faccia buio. Dopo aver firmato il libro di vetta seguo la labile traccia
che mi porta sul versante orientale della vetta, guidato da ometti inizio la
discesa dentro un canalone accidentato tra ghiaie e piccoli salti, perdendo
rapidamente quota. Il suolo è innevato, scorgo tra le ghiaie un camminamento e lo
seguo, poco dopo la traccia si biforca: seguo quella più esile e alta che mi
porta alla base della crestina, la risalgo e ripercorro stavolta in senso
contrario; scendendo per i passaggi di primo grado fino a raggiungere la
forcella Laste. Nei pressi del varco incontro una escursionista solitaria, mi
chiede il parere se sia percorribile il sentiero che scende a meridione per via
della neve. Gli rispondo che sono solo poche chiazze, nulla di preoccupante. Rincuorata
dalle mie considerazioni prosegue per la meta. Ripercorro il sentiero del
ritorno fino al “Sasso della Madonna”, abbandono il 923 proseguo per il 922 che
trovo comodissimo e con scarsa pendenza. Aggirando la cresta raggiungo la
casera di Palantina, stavolta cambio itinerario proponendomi il sentiero 993,
più lungo ma meno faticoso. La traccia diventa una mulattiera che percorre a
meridione “l’Antro delle Mate” e le pendici del Zuc Torondo. Il paesaggio passa
dal bosco di faggio e conifere a quello carsico con prati ingialliti dal gelo e
una miriade di doline. Procedo a velocità sostenuta, intraprendendo una lotta
contro il tempo. Nel caso non dovessi giungere a destinazione prima dell’imbrunire
ho già un piano B (torcia e telefonata al coniuge). Spesso la meraviglia del
paesaggio è sostituita dalle visioni: ho fame e immagino di banchettare come un
antico romano in un triclinio e contemporaneamente godere di un pediluvio. Mi
desto dal fantasticare, “la strada è ancora lunga e tortuosa” altro titolo
preso dai Beatles. Finalmente raggiungo il rifugio Arneri, scendo per la pista
principale di sci, così ho più visibilità rispetto al bosco, e in breve
raggiungo il parcheggio. Il sole deve ancora tramontare, sono soddisfatto e
ricompongo quello che ancora posso usare del corpo. Magritte si accomoda sul
sedile posteriore, iniziando un lungo sonno. Appena pronto parto, in simultanea
ammiro il paesaggio mentre mangio il panino, confondendo le impressioni con i
sapori. Tutto sa di buono, di magico e di …
Il vostro
“Forestiero Nomade”
Malfa.
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