Powered By Blogger

venerdì 23 dicembre 2016

 
Monte Piper 2069 m.  e Due Pizzi (Cima alta 2049 m.- Monte Vildiver 2008 m) Val Dogna.

 

Note tecniche.

Localizzazione: Alpi Giulie Occidentali: Gruppo-Catena Jôf Fuârt-Montasio :Sottogruppo Costiera Jôf di Dogna-Monte Piper-Jôf Miezegnot

Avvicinamento: Gemona- Pontebbana-Val Dogna-Superare i tornanti sopra PLAN DEI Spadovai e lasciare l’auto presso uno spiazzo con tabella. Sentiero Cai 648

Punto di Partenza: Spiazzo con tabella. Sentiero Cai 648

Dislivello: 800 m.

Dislivello complessivo: 1300 m.

Distanza percorsa in Km: 14.

Quota minima partenza: 1260 m.

Quota massima raggiunta: 2069 m.

In: Solitaria.

 Tipologia Escursione. Storico. Escursionistica.

Difficoltà: Escursioni Esperti, con attrezzature.

Segnavia: Cai n° 648; 649; bolli rossi e ometti.

Tempo percorrenza totale: 7ore.

Fonti d’acqua: Nessuna.

Attrezzature: Si.

Cartografia consigliata. Tab 019.

Periodo consigliato:

Condizioni del sentiero: Ben segnato, marcato ed attrezzato.

Data: 20 dicembre 2016.

Il “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 
Relazione.

Monte Piper e Due Pizzi è un’escursione inserita nella programmazione di quest’anno, per completare il giro fatto nell’agosto del 2009 insieme a Magritte, nella più piccola vetta dei Due Pizzi. Grazie ad un’escursione pubblicata di recente dall’amico Roberto, mi sono proposto di completare l’opera con l’altro pizzo, e in contemporanea di raggiungere le duecento “prime” cime. Impresa che non avrei mai pensato di fare tredici anni fa, quando togliendo il vizio di fumare mi regalavo una vita nuova. Qualcuno pensa che sia superficiale contarle, può darsi, ma c’è chi conta gli anni, chi il denaro, io mi accontento di appuntare una stella immaginaria nella mia collezione di cime, in fondo le montagne sono stelle per noi terreni. La partenza è sempre alle prime ore del mattino, da sola la val Dogna si prende un ‘ora di strada, stando attento alle curve e al ghiaccio sull’asfalto, ma man mano che salgo di quota il gelo cede il posto a un paesaggio che definirei estivo. Da casa avevo programmato di partire dal sentiero 648, sito poco prima di Sella di Sompdogna. Dopo una serie di curvoni che seguono la località Plan dei Spadovat, scorgo un ampio spiazzo con cartello, sbircio il numero e constato che ho raggiunto il punto di partenza. Il sentiero è quello precedentemente citato. Lascio l’auto in una comoda posizione, zaino in spalle e Magritte e sogni al seguito si parte. Il primo tratto di sentiero si addentra in un bosco di pino silvestre, i bei tronchi scolpiti dal vento sono degni di un museo dell’arte. Dopo il bosco supero un tratto dirupato, guadagno velocemente quota e rientro nel bosco. La traccia è ben battuta, una serie di tornanti resi comodi dal fogliame secco mi porta al bordo di un impluvio, passo sull’altra sponda dove cambia la vegetazione. Dei bellissimi larici illuminati dal sole nascente mi guidano fino alla piccola forcella che si affaccia sul vallone di ghiaia dominato dai Due Pizzi. Il sentiero si biforca, il 648 a sinistra prosegue per i Due Pizzi, a destra il 649 per il Monte Piper. Seguo il 649 tra mughi che presto si fanno radi, mostrando i prati inerbiti e ingialliti che li sovrastano. Il monte Piper è in vista, ma non riesco ad intuire il percorso del sentiero, sembra che vada sul lato opposto, ma è solo un’illusione. La traccia ben segnata da paletti guadagna la china rendendo il suo sviluppo quasi orizzontale, intuisco che sto percorrendo la vecchia mulattiera di guerra, intorno scorgo i primi manufatti bellici. Sto entrando nella storia, un doveroso pensiero va ai militi che combatterono su questi monti cento anni fa. Il sole ora scalda, un‘erba dorata cresce sotto un manufatto, penso ai soldati che non ebbero la fortuna di avere inverni così splendidi. Scorgo un’incisione su una piastra in cemento, raffigura un alpino e un’aquila. Seguo la mulattiera verso il Piper, ma come per magia mi trovo dentro quella baracca, osservo Toni che disegna con le sue matite i cartoncini recuperati tra gli scatoli dei viveri. Toni è arrivato meno di un anno fa in questa trincea, assegnato alla compagnia degli Alpini. Viene dalla bassa, dove fa il contadino, ha la passione del disegno. Nel tempo libero, prima di partire si dilettava con i carboncini fatti con il legno di vite a disegnare sulle tavole, ma il suo babbo lo rimproverava: <<Toni, l’arte non è un buon mestiere, non ti crea calli alle mani, non ti darà da vivere! Il campo si, troverai una morosa, e ti costruirai una casa con una bella stalla.>> Toni in silenzio ascoltava la ramanzina, sognando di dipingere tanti alberi sulle pareti di casa sua. Un giorno lo stato regio che non sa chi è Toni si ricordò di lui, volle le sue braccia, lo chiamò al fronte. Lì conobbe la disciplina, altri padri, altre ramanzine. Indossò una bella divisa si trovò un berretto con la penna nera, per solcare con gli scarponi per le trincee. Una sera dal caminetto della fornace prende un pezzo di carbone, e nelle pause dalla guardia disegna su qualsiasi superfice gli capiti. Disegna gli olmi del suo campo, gli occhi di una morosa che non ha mai conosciuto. Lo scorge il suo sergente, che nella vita civile gestisce una drogheria, e vende colori agli artisti, e quindi un po’ se ne intende. Il sottufficiale gli fa i complimenti e non solo lo esorta a continuare, ma ne parla con il capitano.  L’ufficiale ben lieto di avere un artista tra gli alpini, gli commissiona il simbolo della Compagnia, evitandogli qualche turno di guardia e servizio alle latrine. Toni è felice, finalmente qualcuno lo stima non solo se spara o zappa bene. Per qualche sigaretta in più, alcune dosi di razioni gli vengono commissionati dai commilitoni svariati lavori, egli predilige i ritratti delle morose. Son tutte belle, bionde, rosse, castane. E Toni è felice, perché in quel momento che le immortala, sono le sue morose, le ama, le disegna con gli occhi belli. Qualcuna la inventa, sia per lui che per qualche suo commilitone sfigato in donne. Finché un giorno monta di guardia, sul pizzo lì vicino. Osserva il Montasio, la luna, le stelle, e tra esse vede gli occhi della donna che ha sempre sognato e mai avuto. All’improvviso uno sparo squarcia il silenzio, un proiettile proveniente dalla linea nemica ferisce mortalmente Toni. Egli si accascia a terra, non ha emesso nessun gemito, nessun fremito, si addormenta sul fucile. Un rigolo di sangue scorre sulla fronte disegnando sul volto del ragazzo, anche la morte in modo crudele ama dipingere! I carboncini, cartoni, le matite furono conservati dai commilitoni, finché non ci fu la ritirata. Sulla postazione arrivò lo straniero, lo stesso cecchino che un giorno lo uccise, trovò i suoi disegni e tra essi un volto di ragazza incompiuto. Lo portò con sé, compresa la scatola con i materiali artistici di Toni. Finita la guerra, lo straniero, un ragazzo austriaco studente d’arte, completò il volto del disegno. E la sua donna somiglia tanto al ritratto. Quel foglio fu incorniciato e appeso per tutta la sua esistenza sopra il camino. Inconsapevolmente egli aveva dato la morte e la vita ad un sogno.  Mi sono commosso a fantasticare, proseguo lungo la mulattiera portandomi sotto il monte Piper, fa tanto freddo, sono a settentrione, è tutto ghiaccio intorno, passo tra le postazioni e risalgo seguendo i bolli fino al vertice del Piper. Meravigliosa visione sui monti, il Montasio, signore incontrastato è illuminato dal sole, assisto al grande incontro tra i Re. Sento Freddo, mi copro in fretta e proseguo, verso le altre mete. Raggiunta la forcella al bivio scendo nel versante dominato dai Due Pizzi. L’esile traccia è scavata sulle labili pareti friabili, in alcuni tratti è attrezzata, con cautela supero questo tratto, mi fermo ad osservare la meta futura, i Due pizzi, la cengia aerea, il bivacco Bernardinis. Tagliando sul ghiaione incrocio il sentiero 605 proveniente da Plan dei Spadovat. Il sentiero ben marcato, mi porta verso la forchia di Cjanalot dove trovo una serie di cartelli Cai. Seguo quello che mi indica il riparo Bernardinis. Tra i mughi e rocce dopo pochi minuti sono sotto l’edificio. Mi fermo a effettuare una breve sosta. Visito l’interno, disseto Magritte e mi preparo per l’ultimo tratto di escursione indossando l’imbrago. Lascio lo zaino dentro la struttura, portando al seguito solo lo stretto necessario dentro una sacca. Pronti, io e Magritte si parte per le ultime due cime. Quella che sovrasta il riparo, essendo breve da raggiungere la salgo al ritorno, prima mi avvio verso la Cima Alta. II sentiero parte sopra l’edificio, aggirando da oriente a occidente il monte e passando tra i ruderi dei baraccamenti militari, fino a scorgere una piccola galleria. Bisogna chinarsi per entrare, i genieri erano bassini. Per fortuna ho indossato il casco, al buio do un paio di capocciate sulla volta della galleria. Scorgo una feritoia scavata nella roccia che si aggetta sulla valle che porta a Tarvisio. Rientro all’interno della galleria, facendo luce con il sensore laser della macchina fotografica. Essa mi porta a settentrione, uscendo all’esterno trovo un sentiero attrezzato è scavato arditamente nella roccia. Adopero l‘autoassicurazione, osservando Magritte. Il mio amico è un valente alpinista, il coraggio non gli manca. Scesi con prudenza tra ghiaie fino alla selletta che collega i due monti ci apprestiamo al tratto più impegnativo dell’escursione. Una serie di cavi mi guidano attraverso un foro nella roccia. Cammino sull’esposta e affascinante cengia aerea. L’attrezzatura è nuova e sicura, ci sono solo un paio di passaggi erosi, ma per Magritte non sono un problema, anzi, sembra che si diverta. Camminare su questa mirabile opera scavata cento anni fa dai soldati è da sogno, vale tutte le fatiche affrontate fino ad ora. La lunga cengia attraversa la verticale parete meridionale della Cima alta, l’ultimo tratto attrezzato raggiunge il versante occidentale reso verde dall’infinità di mughi che lo ricoprono. Raggiunto un bivio, seguo il cartello che mi indica Due Pizzi, tra i mughi conquisto l’ampia cima dominata da una croce in ferro e uno strano ometto (misto tra tronco d’albero e sassi) dove è apposta la cassettina con il libro di vetta. Dalla Cima Alta ammiro il paesaggio che con il passare delle ore si illumina, fa tanto freddo, affretto il rientro, ridiscendo e con cautela ripasso sul tratto attrezzato, a Magritte piace tanto e con lo sguardo sembra dirmi:<< Beppe, mi ci porti un‘altra volta? È una vera Figata.>> Raggiunto il sentiero sopra il ricovero, procedo per l’ultima cima” Vildiver”, che è posta pochi metri sopra. Scendiamo a recuperare lo zaino, così giunge il momento più bello per Magritte, finalmente si mangia. Il mio pensiero è di raggiungere al più presto l’auto prima che il sole tramonti. Zaino in spalle e Magritte sempre al seguito si rientra per sentiero d’andata. In poco meno di un’ora e trenta si raggiunge l’auto, mentre il Montasio si prepara per la nanna, avvolto da nuvole. La Val Dogna è lunga anche al ritorno, raggiungo la Pontebbana che è buio pesto. Guido, mangio il panino e penso a un film di indiani visto in passato, “Balla coi Lupi, e alla frase di un capo indiano “Buono scambio”. Oggi ho compiuto un buono scambio con la montagna, gli ho dato il mio tempo, e lei ha ricambiato con tre cime. Buono scambio! Si, direi eccellente scambio.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 











































































Nessun commento:

Posta un commento