Monte Brentoni 2547 m.
Note tecniche.
Avvicinamento: Tolmezzo-Ovaro-Val Pesarina-Casera Razzo-
Sella Ciampigotto.
Punto di Partenza: Sella Giampigotto 1790 m.
Dislivello: 757 m.
Dislivello complessivo: 900 m.
Distanza percorsa in Km: 13 km.
Quota minima partenza: 1790 m.
Quota massima raggiunta: 2547
In: Solitaria.
Tipologia Escursione.
Alpinistica-Selvaggia.
Difficoltà: Escursionisti Esperti Attrezzata. Passaggi di I
E II grado, poco difficile in condizioni normali.
Segnavia: CAI 232- 238. Ometti e bolli rossi.
Tempo percorrenza totale: Con neve e ghiaccio 3 ore in
salita, due in discesa.
Fonti d’acqua: Si.
Attrezzature: Si in ottimo stato.
Cartografia consigliata. Tabacco 01
Periodo consigliato: luglio-ottobre-
Condizioni del sentiero: Ben marcato e segnato.
Data:
Il “Forestiero Nomade”
Malfa.
Relazione.
Monte
Brentoni 2547 m. cima W dal valico di Ciampigotto(BL).
Il monte Brentoni da tempo era in cantiere,
esattamente dalla prima volta che sono stato nei pressi di Casera di
Razzo. Quel giorno rimasi incantato, ed
ogni volta che la raggiungo chiudo gli occhi un attimo, li riapro e vedo un
fantasmagorico mago che con voce squillante presenta il suo show:
<<Venghino signori, venghino! Ecco a voi il più bello spettacolo del
mondo, sedetevi comodatamene e ammirate. Dalla vostra destra a seguire: la
bellissima creta di Mimoias, bella e dispettosa. La Terza Grande, signora
regale, la più grande delle sorelle e la più magnanima. L’Arcigno Cornon con il
suo castello magico. I torrioni della Val d’Inferno e il suo custode Brentoni.
Il Pupera con i suoi canaloni selvaggi. Alla vostra sinistra Il Tudaio e il
Tiarfin, dove potete ammirare gli ultimi carni e la loro valle magica. Il
Clapsavon e il Bivera, che solo oggi, ripeto solo oggi, potete avere in omaggio
insieme a tutta questa meraviglia alla modica cifra di un tallero.>>
Richiudo e riapro gli occhi e la magia rimane, lasciare il luogo è sempre
doloroso. Approfittando dell’ennesima stagione invernale anomala, ho tirato
fuori dal cassetto l’idea di andare sul Brentoni, incoraggiato anche dalle foto
postate da un’amica sul web.
Nello zaino
ho messo l’imbrago, il casco, ramponi e picca, preparandomi ad ogni evenienza.
Decido di lasciare a casa Magritte, consapevole che non sarebbe stata una
semplice passeggiata.
La mattina
partenza presto ma non troppo, per via delle basse temperature, coperto dentro
il giaccone affronto l’itinerario che mi porta a Tolmezzo, e successivamente
addentrandomi nella Val Pesarina. La temperatura è sotto lo zero, le auto sono
coperte di ghiaccio, percorro con prudenza, sentendo sotto l’auto lo schizzare
del sale sparso sul manto stradale. All’albeggiare giungo nei pressi di casera
Razzo, leggo alcuni sms, inviatomi dalla mia signora: Magritte piange a dirotto
perché non l’ho portato in montagna. Sorrido, penso che la prossima uscita gli
farò recuperare l’escursione persa. Superato il rifugio Fabbro, raggiungo il
passo di Ciampigotto, pochi metri dopo in un ampio spazio sulla destra della
carreggiata posteggio l’auto. Zaino in spalle e sogni al seguito parto. Una
serie di cartelli con le indicazioni per il parco del Brentoni e la cima mi
indicano la via da seguire. Percorro una vecchia carrareccia che tra abeti
rossi e vecchi larici si fa strada alle pendici del colle Rementera,
guadagnando presto un bellissimo pulpito panoramico. Il paesaggio è sublime, in basso il Col
Serenede coperto da un bosco di abete, sopra di esso la magnifica Cresta gotica
con le sue cattedrali: Il Pupera, Il Brentoni, i torrioni della Val di Inferno.
Rimango incantato, assorto, mi viene incontro un cacciatore di ritorno dalla
battuta di caccia, mi sorride ed esclama: << Bello, vero? Mai visto un
luogo così! Ci vengo spesso e rimango incantato, vedrai lassù troverai anche
caldo, e incontrerai due giovani.>> Gli sorrido, ha uno sguardo dolce,
buono, osservo i suoi occhi illuminati dalla bellezza del luogo, gli rispondo.
<<Sono incantato, vedi sono fermo, e trovo difficile camminare e
proseguire, starei qui in eterno, ma devo andare avanti, un caro saluto e buon
rientro.>> Congedatomi dal cacciatore proseguo fino alla fine della
carrareccia raggiungendo un vecchio pascolo (forcella Losco) ancora inerbito,
seguo le indicazioni sui cartelli CAI (sentieri 328 e 332) passando vicino i
ruderi di una vecchia malga. Entro nel vecchio bosco popolato da arbusti
magici, alcuni di loro sono incantati, come se venissero fuori da una favola.
Uscito dal bosco il sentiero raggiunge la forcella di Camporosso, dove i
sentieri si biforcano- Il 332 prosegue a destra per la forcella Valgrande, a
sinistra il 228 prosegue per la forcella Starezza e il Brentoni. Seguo
quest’ultimo percorrendo una radura inerbita e ingiallita dal gelo. Il sentiero
in orizzontale con leggera pendenza taglia le pendici occidentali del Col
Sarenede portandomi in breve sotto i bastioni rocciosi del Brentoni. Abbandono
il sentiero 228 che prosegue e seguo il sentiero che zizzagando e indicato da
bolli rossi risale il pendio erboso portandomi alla base della parete rocciosa
del Brentoni. Presso un grosso masso il sentiero si biforca. Prestando
attenzione ai bolli rossi a sinistra per la via normale, quelli a destra per la
variante. Seguo quelli di sinistra. Il
percorso è accidentato tra le rocce, mi fermo spesso ad ammirare le cuspidi e
le pareti bianche. Tra le rocce con piccoli salti raggiungo il fianco destro di
un canalone dove è sito il primo tratto attrezzato. Sento dei rumori venire
dall’alto, e subito dopo vedo sbucare i due giovani descritti dal cacciatore.
Sono attrezzati fino ai denti, casco, ramponi, addirittura numerosi rinvii,
picche e corde, in un primo momento penso che hanno fatto una via alpinistica,
chiedo a loro delle delucidazioni. Mi rispondono che hanno percorso il
Brentoni, salendo a oriente e per cresta scendendo a occidente. Mi chiedono se
ho i ramponi al seguito, perché la neve è dura. Confermo di averli, ci
salutiamo. Indossati i ramponi, casco e imbrago penso al proseguo, visto che lo
zaino pesa, decido di liberarmene lasciandolo un cantuccio tra le rocce.
Estraggo dallo zaino la mini sacca, e in stile “Malfa”, con lo stretto
necessario proseguo per gli ultimi duecentocinquanta metri di dislivello. Poco
dopo tra la neve raggiungo l’esile forcella Brentoni. Do uno sguardo al
versante settentrionale totalmente imbiancato. Una piccola cengia mi porta alla
base del lungo dietro. Trovo un chiodo, e le prime attrezzature, con i ramponi
confesso che arrampicarmi sulla roccia lo trovo difficoltoso, ma il dado è
tratto e si sale. Il diedro è abbastanza inclinato e spesso il cavo non è di
aiuto, non segue la via naturale, dove si trovano più appigli e appoggi, cosi
mi tocca spesso per non scivolare usare forza di braccia. A metà attrezzatura
trovo una paretina di due metri di secondo grado e sopra di esse il cavo si
inabissa sotto la neve, per riprendere tre metri sopra. Con peripezia mi isso
sopra di essa, sganciando i moschettoni, e aiutandomi con la picca mi porto
alla sinistra per superare il tratto di neve e riguadagnare il cavo. Confesso
che senza imbrago non sarei salito, avrei rinviato l’appuntamento in estate.
Riguadagnate le attrezzature, ma seguendo la via adiacente di arrampicata
guadagno il pulpito, dove i cavi si interrompono. Mi rimangono ancora cento
metri di dislivello da percorrere sul nevaio, mi sposto a sinistra seguendo le
orme di chi mi ha preceduto, tenendomi sotto le rocce. Picca e ramponi, ramponi
e picca raggiungo l’innevata cresta. Emozione! Gli ultimi metri, e tutti sanno
cosa significa, sono quelli che fanno dimenticare i pericoli e la fatica.
Ultimi metri, ultimi passi e vedo qualcosa per cui vale la pena morire. Un
paesaggio stupendo, ma non mi devo fermare, alla mia sinistra vedo la piccola
croce, percorro l’esile cresta innevata e la raggiungo. L’adrenalina accumulata
è allo stato puro, non ho paura passeggiando sul baratro. Ammiro tutto intorno,
è sono incantato. Mi aspetta la discesa, ma ci penserò dopo. Questa meraviglia
potrebbe essere l’ultima cosa che vedo e me la voglio godere. In lontananza si
vedono le dolomiti di Cortina, non cito i nomi, perché sono tutte belle, tutte
quante! È magnifico, ora, mentre scrivo ho le lacrime agli occhi, come vorrei
essere ancora lassù! Ficco la picca, poggio il casco su un paletto, dove è sito
un contenitore di libro di vetta. Faccio delle riprese e tante foto, sono tutte
belle, perché è il soggetto a renderle tali. Scruto dentro il contenitore del
libro di vetta, c’è solo una dedica di una figlia per il papà che ha raggiunto
il cielo. Non scrivo nulla, lascio una foto mia e di Magritte insieme, oggi
spiritualmente era con me. Non ci sono parole per descrivere quello che vedo, e
nessuno mai le troverà, bisogna venire quassù per capire. Non guardo l’orologio,
non so a che ora ho raggiunto la cima, il tempo qui sopra non ha senso, sto
cavalcando l’eternità e lo scorrere degli attimi si ferma finché sono quassù.
Ma come sanno tutti i solitari, non si è mai veramente soli, si è sempre in
due: lo spirito ribelle, (il lupo), e la coscienza (lo spirito saggio).
Quest’ultimo prende il sopravvento e spinge l’altro a lasciare la libertà,
tirandolo a sé con forza. Così riprendo il cammino verso il ritorno, con molta
prudenza, tanta! Passo dopo passo, scendo giù e il diavolo ci mette lo zampino.
In questo caso nulla di preoccupante, tutto superato con intuito. Poco prima
del cavo in una posizione esposta mi si è sganciato un rampone, senza farmi
prendere dal panico, ho ficcato la piccozza nella dura neve, e con uno dei
moschettoni ho fatto autoassicurazione. Ho sistemato il rampone e ripreso la
discesa. A metà diedro sul punto delicato, dopo aver ripreso il cavo mi sono
calato stridendo i ramponi sulla roccia, ho sentito un odore di bruciato
causato dall’attrito delle punte dei ramponi. Esperienza interessante. Con
calma raggiungo la base del diedro, dove finalmente effettuo una sosta. Ho
accumulato tanta adrenalina, sentivo la tensione. Tolgo il casco, lo pongo
accanto, e dalla piccola sacca estraggo i viveri, consumo solo una banana e
bevo. Osservo il paesaggio, faccio delle
foto, una al casco con le sue stelline, segno delle ferrate che ho fatto.
Muovendo un piede, inavvertitamente do un calcio al casco che rotola giù,
seguendo la cengetta, e per uno scherzo del destino lo vedo sparire nel dirupo
sottostante. Prima di cadere nel vuoto ho avuto la percezione che si fosse
fermato una frazione di secondo, come per dirmi addio, e poi giù! Ho solo osservato
la sua fine, e urlato uno straziante “NOOOOO!!! Con calma mi sono alzato
preparandomi per il rientro, affacciandomi sul dirupo, nessuna traccia, sparito
nel bianco, e forse così voleva finire i suoi giorni. Come dargli torto! È
finito come noi tutti amanti della montagna vorremmo, una fine gloriosa dopo
aver compiuto in pieno il suo dovere e portando con sé le stelle simbolo delle
sue vittorie. Immagino gli altri caschi che finiscono al mercatino dell’usato o
nella differenziata, senza gloria. Addio amico mio, mi mancherai! Sarà duro
indossare il tuo sostituto, addio! Dopo la triste perdita riprendo il cammino,
fino alle attrezzature in basso, dove mi spoglio dell’imbrago e dei ramponi.
Ripongo tutto nello zaino, ho la fame bloccata, sono ancora carico di tensione,
riprendo il passo in verticale, all’inizio è difficile, ma ben presto scendendo
per la serpentina sul pendio erboso mi riconcilio con il mondo orizzontale.
Rientro osservando i monti a meridione, nel bosco scorgo una figura venirmi
incontro, una signora di mezza età con un iphone in mano, ci salutiamo, ha un viso
strano, mi volto indietro ed è sparita, volatizzata! Era strega, la prima volta
che ne incontro una; sono come sempre, state all’avanguardia, sanno usare le
ultime tecnologie, e questa mi sa che è proveniente da qui vicino, dal Pian
delle Streghe. Così per sentiero d’andata raggiungo l’auto. Metto in moto,
tolgo gli scarponi e pian piano mi sposto sul piano di Casera Razzo. Mi fermo a
osservare i raggi infuocati del sole che tingono di rosso le cime, un ultimo
saluto al paradiso e rientro per la Val Pesarina. Ho una fame boia, finalmente
l’appetito prende il posto della tensione. Nutrendomi di panino e agrumi
attraverso la Carnia, felice di aver fantasticato, con un sogno realizzato in
più e un casco in meno.
Il vostro
“Forestiero nomade”
Malfa.
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