Monte
Zérten (Cérten) 1883 m.
Note
tecniche.
Localizzazione: Gruppo Col Nudo- Cavallo.
Avvicinamento: Montereale Valcellina-Barcis-Cimolais-Erto-rotabile
per le frazioni di Pineda- Prada- Lasciare l’auto a Prada quota.
Punto di Partenza: Prada 750 m.
Dislivello: 1123 m.
Dislivello complessivo: 1135 m.
Distanza percorsa in Km: 13 km.
Quota minima partenza: 750 m.
Quota massima raggiunta:1883 m.
Difficoltà: Turistico fino alla casera Col DI
Cuare, dalla casera alla cima per Escursionisti esperti.
Segnavia: Nessun sentiero CAI, solo vecchi
bolli rossi e ometti fin sotto la forcella, da quest’ultima fino alla cima
nessun segno.
Tempo percorrenza totale escludendo le soste.:
5 ore.
Fonti d’acqua: Solo un ruscello a inizio
escursione.
Attrezzature: Nessuna
Cartografia consigliata. Tabacco 021; Mappa
del Friuli I.G.M.
Periodo consigliato: Da maggio a ottobre.
Condizioni del sentiero: Carrareccia e pista
forestale fino alla casera di Col Cuare, dopo sentiero selvaggio poco segnato
ma marcato fino sotto al catino erboso sotto la forcella tra le due cime.
Condizioni Meteo: Ottime.
Data: sabato 28 maggio 2016.
Relazione.
Ci
sono amori che nascono a prima vista e sono intensi, passionali, non ti
lasciano un attimo di respiro, ti coinvolgono fino all’inverosimile. E tutto nasce così per caso, uno sguardo
verso l’infinito, un cielo azzurro, la vedi per la prima volta, bellissima come
non mai. Il suo mantello color smeraldo, il suo capo ornato da una corona,
rimani fermo, immobile, ad ammirarla, vorresti incontrarla subito, ma l’ora è
tarda e rinvii a un prossimo dì che sia il più vicino possibile. Non sto
scrivendo di un’amante, anche se può sembrare, ma di una bellissima e
sconosciuta montagna: monte Zèrten o Cèrten, che domina come un osservatorio
astronomico la valle del Vajont. Mi ha colpito da subito la sua cresta color oro,
culminante con una corona di rocce frastagliate e avvolta da un fitto mantello di
smeraldo. Come non rimanere stregati! Giovandomi delle mie buone capacità
topografiche ne individuai la posizione e in seguito il nome. Nella nota guida
alpinistica del C.A.I “Guida dei monti d’Italia –Dolomiti Orientali vol. II del
Berti” il monte viene citato con una laconica scritta, cito: << Monte
Zérten o Cérten 1883m.- Ottima isolata specola sulle valli Mezas- Vaiont-
Zemola, Tuara. Pauroso apicco a Est verso la forra del Vaiont.
Interessantissima formazione geologica.>> Questo breve trafiletto mi ha
convinto ad esplorarla, cercando informazioni sul web e chiedendo agli amici di
“Spiriti Liberi”. In breve ho raccolto una valida documentazione tale da
rendermi impaziente fino al giorno dell’escursione. Il fatidico giorno giunge,
accompagnato da innalzamento della temperatura e del tasso di umidità, questo
mi ha consigliato di raddoppiare le risorse idriche nello zaino. La giornata è afosa e umida, si parte per la
valle del Vaiont. Giungo nella vallata di Erto che il sole comincia a filtrare
la nebbia, rendendo tutto così magico, una natura color pastello dipinge il
paesaggio. La mia meta è oltre il borgo di Erto, prendendo la rotabile alla
sinistra della statale con indicazioni per Pineda. Devo attraversare il vecchio
lago superando la valanga che terribili lutti inflisse cinquantatré anni fa.
Tutto questo rende triste e mistico il passaggio da un versante all’altro.
Osservo le pareti del monte Toc ferite, da un’angolazione ravvicinata, tanto da
aver timore, e per un attimo immaginare quella triste ora. Come se fosse scesa
la notte all’improvviso, sento la terra tremare e le urla strazianti venire
fuori dai borghi. Percorro questo breve tratto con una strana sensazione,
raggiungo sul versante opposto la località di Pineda. Il sole, ora è riapparso
nel mio cuore. Nel borgo la vita prosegue, i vallegiani già svegli si adoperano
nelle molteplici attività, canti di galli accompagnano il mio breve passaggio.
Mi inoltro fin sotto le pendici dello Zèrten, superando una paurosa forra
attraverso una strada scavata dentro la roccia. Che dire, affascinante prologo
di un’avventura e il bello deve ancora venire. Giunto nella località di Prada,
noto con piacere che non è un borgo disabitato, ma vivo, gente che passeggia,
animali domestici a chiosa. Suoni di una vita bucolica, che ti fanno gridare in
cuore: << La vita è bella e io la voglio vivere”.>> Lascio l’auto
in uno spiazzo sull’erba che oserei dire apposito, mi preparo. Zaino in spalle
e il fido Magritte al seguito, si parte. Il sentiero inizia dal borgo, nessuna
indicazione, solo una strada asfaltata con un bel cartello con divieto di
transito. La carrareccia si inoltra a sud-est nella piccola valle, superando delle
graziose case da fiaba, degne dei racconti di Lewis Carroll, abitate sicuramente
da soggetti creativi. Da asfaltata la carrareccia diviene lastronata, salendo
sempre con dolce pendenza fino a giungere nei pressi del torrente (a destra), il
sentiero prosegue a sinistra risalendo la vecchia carrareccia. Pochi metri dopo
supero un manufatto abitato, il sentiero risale il pendio boschivo
settentrionale del monte fino a raggiungere un bivio (bollo rosso e indicazioni
su un albero). Seguo quella che a destra indica “Par Ochi”, scorgendo tra gli
alberi un sasso con iscrizione, mi fermo a leggerla: << L’Artigiano è
qull’uomo che trasforma con le mani la materia in sentimento. tua.>>
Questo luogo è terra di spiriti liberi, artisti e poeti. Dopo un paio di
tornanti un altro bivio, seguo la direzione a destra che in breve mi porta
nell’ampia radura dove fa bella mostra la casera di Cuare, splendido pulpito
panoramico sulla valle del Vajont.
Mirando a settentrione dietro la casetta in legno color mogano parte il
sentiero per lo Zèrten. Itinerario selvaggio da subito: risalgo tra i ruderi di
vecchi stavoli e accompagnato da radi ometti e bolli rossi giungo fino a sotto
le pareti rocciose. Da quest’ultimo tratto disegnando una lunga
diagonale il sentiero costeggia il versante settentrionale del monte. In alcuni
tratti è scavato nella roccia, aggirando i bastioni rocciosi e offrendo piccole
piazzole panoramiche. I passaggi esposti sono radi, qualche tratto di sentiero
è eroso e gli ometti sono di grande aiuto. Così giungo alla base del ripidissimo
canalone inerbito che mi porterà in cresta. Da questo tratto in poi il prosieguo
si fa più avventuroso, sia per la pendenza che per la mancanza di segni e
tracce. Nel primo tratto riesco a identificare il percorso da seguire dalle
zolle di terra alzate recentemente da escursionisti, fino a raggiungere un
larice con bollo rosso. Il prosieguo si biforca, degli ometti mi invitano a
salite a destra per brevi tratti di traccia che mi portano alla base del catino
erboso. Qui mi fermo a ragionare, la traccia si perde tra i rovi e i ciuffi
d’erba. Davanti a me una parete rocciosa, vengo attirato da una paretina sul
lato destro, mi sembra abbordabile e scorgo tracce di passaggio. La risalgo a
fatica a causa del terreno marcio, così guadagnando il vertice superiore (bolli
rossi) dove scorgo una labile traccia. La seguo, poi si perde di nuovo, ma la
cresta è vicina. Sono a pochi metri dalla forcella: alla mia sinistra il monte
dell’Ardot, a destra le rocce della cresta del monte Zèrten. Ho la sensazione di essere un “apache”, solo
l’istinto mi guida, la mia bandana sventola, soffiandomi sul volto la brezza
della libertà.
Ora
il percorso è intuitivo, lasciato all’istinto, nessuna traccia e ne ometti.
Punto alla cresta della forcella, raggiunta la base di quest’ultima mi dirigo a
sinistra verso gli affioramenti rocciosi, risalendoli con piccoli passaggi di I
grado fino a portarmi presso la cima (altra alternativa era di scendere sul
ripido erboso e aggirarlo, cosa che farò in discesa). In prossimità della cima
avvisto un gruppo di camosci, graditissimo benvenuto della Montagna. Magritte è
felice, squittisce dalla gioia. Osservo gli amici a quattro zampe, ci
salutiamo. Loro ci cedono la vetta, con riverenza ringraziamo. La meta è
prossima, superate le ultime strane conformità rocciose, raggiungiamo l’ometto
di vertice, che ospita il caratteristico ramo rinsecchito, il simbolo dello Zérten.
Fatta! Zaino a terra, la soddisfazione è tanta, mi guardo intorno cercando di
sbollire l’estasi. Dopo essermi ripreso dalla felicità osservo il mondo
circostante, ovvero mi sarebbe piaciuto. Alcune nuvole coprono il Col Nudo e il
monte Toc, altre fanno da cappello al Monte Borgà e al monte Palazza. Non riesco
a scorgere nemmeno il tratto terminale della cresta. Mi fermo a curiosare tra i
sassi dell’ometto di vetta, cercando il libro delle firme, eccolo! Nascosto e
custodito dentro un barattolo di vetro. Sfamo l’amico quadrupede, lo disseto,
dopo di ché consumando un frutto mi dedico alla lettura degli escursionisti che
hanno visitato la cima. Che meraviglia! Riccardo Cassin?!? Come non emozionarsi
nel leggere la sua dedica. Il solo avere in mano questo libretto vale la fatica
affrontata. E poi gli amici di montagna, tra i quali Lucia Bonfada e suo figlio
Jacopo Verardo, Andrea Bruno, Paolo Pozzati, Stefano Morasutto e per ultimo Gino
dal Vià, che ha l’unico difetto di essere milanista, beh! Nessuno è perfetto.
Che dire, questa cima è un covo di “Spiriti Liberi”! Mi piace, mi glorifica e
gratifica, mi dà autostima, come una bella medaglia da appuntare sul petto
quando sarò vecchietto. Ripongo il prezioso diario di cima nel suo scrigno, concedendomi
alcuni minuti di relax. La voglia matta di montagna non diminuisce, vivrei in
eterno in questo sogno, ma le nuvole in lontananza mi invitano a pensare al
ritorno, si sa in montagna il meteo cambia all’improvviso. Per la discesa del
primo tratto seguo un altro percorso, notando dall’alto alcune deboli tracce,
così aggiro a sinistra il tratto esposto sopra il catino erboso. Con molta
calma con movimento da bradipo guadagno la base del canalone. Avevo avuto la
mezza idea di salire anche sull’Ardot, di qualche metro più basso rispetto allo
Zérten, ma in confidenza non ne avevo voglia, e non mi sono chiesto nemmeno il
perché. Lungo il sentiero di ritorno (lo stesso dell’andata), pensavo alle
emozioni provate, nel frattempo la giornata volgeva al meglio, le nuvole
abbandonavano la valle, i colori erano più intensi e luminosi, e quella strana
sensazione di felicità si impossessava dello spirito. Raggiunta la casera di
Cuare, consumo lo spuntino, lasciandomi cullare dalla splendida visione, per
poi riprendere il cammino e raggiungere il luogo di partenza. Mi aspetta l’ambiente
bucolico che avevo lasciato, il canto dei galli, suoni di vita quotidiana, e un
bel gattone bianco appisolato sotto l’auto. Tutte queste emozioni imprigionano
il mio spirito in un lungo torpore. La stessa estasi che prova il viandante
quando scopre nuove terre. Rientro alla civiltà udendo il rombo delle moto, il
suono della vita quotidiana, osservando le future cime, i futuri amori.
Lasciando alle mie spalle la valle del Vajont, dove per noi escursionisti la
morte ha lasciato il posto all’amore.
Il
vostro “Forestiero Nomade”
Malfa.
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