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martedì 31 maggio 2016

Monte Zérten (Cérten) 1883 m.

 
Monte Zérten (Cérten) 1883 m.

Note tecniche.

 

Localizzazione: Gruppo Col Nudo- Cavallo.

Avvicinamento: Montereale Valcellina-Barcis-Cimolais-Erto-rotabile per le frazioni di Pineda- Prada- Lasciare l’auto a Prada quota.

Punto di Partenza: Prada 750 m.

Dislivello: 1123 m.

Dislivello complessivo: 1135 m.

Distanza percorsa in Km: 13 km.

Quota minima partenza: 750 m.

Quota massima raggiunta:1883 m.

Difficoltà: Turistico fino alla casera Col DI Cuare, dalla casera alla cima per Escursionisti esperti.

Segnavia: Nessun sentiero CAI, solo vecchi bolli rossi e ometti fin sotto la forcella, da quest’ultima fino alla cima nessun segno.

Tempo percorrenza totale escludendo le soste.: 5 ore.

Fonti d’acqua: Solo un ruscello a inizio escursione.

Attrezzature: Nessuna

Cartografia consigliata. Tabacco 021; Mappa del Friuli I.G.M.

Periodo consigliato: Da maggio a ottobre.

Condizioni del sentiero: Carrareccia e pista forestale fino alla casera di Col Cuare, dopo sentiero selvaggio poco segnato ma marcato fino sotto al catino erboso sotto la forcella tra le due cime.

Condizioni Meteo: Ottime.

Data: sabato 28 maggio 2016.

 
Relazione.

Ci sono amori che nascono a prima vista e sono intensi, passionali, non ti lasciano un attimo di respiro, ti coinvolgono fino all’inverosimile.  E tutto nasce così per caso, uno sguardo verso l’infinito, un cielo azzurro, la vedi per la prima volta, bellissima come non mai. Il suo mantello color smeraldo, il suo capo ornato da una corona, rimani fermo, immobile, ad ammirarla, vorresti incontrarla subito, ma l’ora è tarda e rinvii a un prossimo dì che sia il più vicino possibile. Non sto scrivendo di un’amante, anche se può sembrare, ma di una bellissima e sconosciuta montagna: monte Zèrten o Cèrten, che domina come un osservatorio astronomico la valle del Vajont. Mi ha colpito da subito la sua cresta color oro, culminante con una corona di rocce frastagliate e avvolta da un fitto mantello di smeraldo. Come non rimanere stregati! Giovandomi delle mie buone capacità topografiche ne individuai la posizione e in seguito il nome. Nella nota guida alpinistica del C.A.I “Guida dei monti d’Italia –Dolomiti Orientali vol. II del Berti” il monte viene citato con una laconica scritta, cito: << Monte Zérten o Cérten 1883m.- Ottima isolata specola sulle valli Mezas- Vaiont- Zemola, Tuara. Pauroso apicco a Est verso la forra del Vaiont. Interessantissima formazione geologica.>> Questo breve trafiletto mi ha convinto ad esplorarla, cercando informazioni sul web e chiedendo agli amici di “Spiriti Liberi”. In breve ho raccolto una valida documentazione tale da rendermi impaziente fino al giorno dell’escursione. Il fatidico giorno giunge, accompagnato da innalzamento della temperatura e del tasso di umidità, questo mi ha consigliato di raddoppiare le risorse idriche nello zaino.  La giornata è afosa e umida, si parte per la valle del Vaiont. Giungo nella vallata di Erto che il sole comincia a filtrare la nebbia, rendendo tutto così magico, una natura color pastello dipinge il paesaggio. La mia meta è oltre il borgo di Erto, prendendo la rotabile alla sinistra della statale con indicazioni per Pineda. Devo attraversare il vecchio lago superando la valanga che terribili lutti inflisse cinquantatré anni fa. Tutto questo rende triste e mistico il passaggio da un versante all’altro. Osservo le pareti del monte Toc ferite, da un’angolazione ravvicinata, tanto da aver timore, e per un attimo immaginare quella triste ora. Come se fosse scesa la notte all’improvviso, sento la terra tremare e le urla strazianti venire fuori dai borghi. Percorro questo breve tratto con una strana sensazione, raggiungo sul versante opposto la località di Pineda. Il sole, ora è riapparso nel mio cuore. Nel borgo la vita prosegue, i vallegiani già svegli si adoperano nelle molteplici attività, canti di galli accompagnano il mio breve passaggio. Mi inoltro fin sotto le pendici dello Zèrten, superando una paurosa forra attraverso una strada scavata dentro la roccia. Che dire, affascinante prologo di un’avventura e il bello deve ancora venire. Giunto nella località di Prada, noto con piacere che non è un borgo disabitato, ma vivo, gente che passeggia, animali domestici a chiosa. Suoni di una vita bucolica, che ti fanno gridare in cuore: << La vita è bella e io la voglio vivere”.>> Lascio l’auto in uno spiazzo sull’erba che oserei dire apposito, mi preparo. Zaino in spalle e il fido Magritte al seguito, si parte. Il sentiero inizia dal borgo, nessuna indicazione, solo una strada asfaltata con un bel cartello con divieto di transito. La carrareccia si inoltra a sud-est nella piccola valle, superando delle graziose case da fiaba, degne dei racconti di Lewis Carroll, abitate sicuramente da soggetti creativi. Da asfaltata la carrareccia diviene lastronata, salendo sempre con dolce pendenza fino a giungere nei pressi del torrente (a destra), il sentiero prosegue a sinistra risalendo la vecchia carrareccia. Pochi metri dopo supero un manufatto abitato, il sentiero risale il pendio boschivo settentrionale del monte fino a raggiungere un bivio (bollo rosso e indicazioni su un albero). Seguo quella che a destra indica “Par Ochi”, scorgendo tra gli alberi un sasso con iscrizione, mi fermo a leggerla: << L’Artigiano è qull’uomo che trasforma con le mani la materia in sentimento. tua.>> Questo luogo è terra di spiriti liberi, artisti e poeti. Dopo un paio di tornanti un altro bivio, seguo la direzione a destra che in breve mi porta nell’ampia radura dove fa bella mostra la casera di Cuare, splendido pulpito panoramico sulla valle del Vajont.  Mirando a settentrione dietro la casetta in legno color mogano parte il sentiero per lo Zèrten. Itinerario selvaggio da subito: risalgo tra i ruderi di vecchi stavoli e accompagnato da radi ometti e bolli rossi giungo fino a sotto le pareti rocciose.   Da quest’ultimo tratto disegnando una lunga diagonale il sentiero costeggia il versante settentrionale del monte. In alcuni tratti è scavato nella roccia, aggirando i bastioni rocciosi e offrendo piccole piazzole panoramiche. I passaggi esposti sono radi, qualche tratto di sentiero è eroso e gli ometti sono di grande aiuto. Così giungo alla base del ripidissimo canalone inerbito che mi porterà in cresta. Da questo tratto in poi il prosieguo si fa più avventuroso, sia per la pendenza che per la mancanza di segni e tracce. Nel primo tratto riesco a identificare il percorso da seguire dalle zolle di terra alzate recentemente da escursionisti, fino a raggiungere un larice con bollo rosso. Il prosieguo si biforca, degli ometti mi invitano a salite a destra per brevi tratti di traccia che mi portano alla base del catino erboso. Qui mi fermo a ragionare, la traccia si perde tra i rovi e i ciuffi d’erba. Davanti a me una parete rocciosa, vengo attirato da una paretina sul lato destro, mi sembra abbordabile e scorgo tracce di passaggio. La risalgo a fatica a causa del terreno marcio, così guadagnando il vertice superiore (bolli rossi) dove scorgo una labile traccia. La seguo, poi si perde di nuovo, ma la cresta è vicina. Sono a pochi metri dalla forcella: alla mia sinistra il monte dell’Ardot, a destra le rocce della cresta del monte Zèrten.  Ho la sensazione di essere un “apache”, solo l’istinto mi guida, la mia bandana sventola, soffiandomi sul volto la brezza della libertà.

Ora il percorso è intuitivo, lasciato all’istinto, nessuna traccia e ne ometti. Punto alla cresta della forcella, raggiunta la base di quest’ultima mi dirigo a sinistra verso gli affioramenti rocciosi, risalendoli con piccoli passaggi di I grado fino a portarmi presso la cima (altra alternativa era di scendere sul ripido erboso e aggirarlo, cosa che farò in discesa). In prossimità della cima avvisto un gruppo di camosci, graditissimo benvenuto della Montagna. Magritte è felice, squittisce dalla gioia. Osservo gli amici a quattro zampe, ci salutiamo. Loro ci cedono la vetta, con riverenza ringraziamo. La meta è prossima, superate le ultime strane conformità rocciose, raggiungiamo l’ometto di vertice, che ospita il caratteristico ramo rinsecchito, il simbolo dello Zérten. Fatta! Zaino a terra, la soddisfazione è tanta, mi guardo intorno cercando di sbollire l’estasi. Dopo essermi ripreso dalla felicità osservo il mondo circostante, ovvero mi sarebbe piaciuto. Alcune nuvole coprono il Col Nudo e il monte Toc, altre fanno da cappello al Monte Borgà e al monte Palazza. Non riesco a scorgere nemmeno il tratto terminale della cresta. Mi fermo a curiosare tra i sassi dell’ometto di vetta, cercando il libro delle firme, eccolo! Nascosto e custodito dentro un barattolo di vetro. Sfamo l’amico quadrupede, lo disseto, dopo di ché consumando un frutto mi dedico alla lettura degli escursionisti che hanno visitato la cima. Che meraviglia! Riccardo Cassin?!? Come non emozionarsi nel leggere la sua dedica. Il solo avere in mano questo libretto vale la fatica affrontata. E poi gli amici di montagna, tra i quali Lucia Bonfada e suo figlio Jacopo Verardo, Andrea Bruno, Paolo Pozzati, Stefano Morasutto e per ultimo Gino dal Vià, che ha l’unico difetto di essere milanista, beh! Nessuno è perfetto. Che dire, questa cima è un covo di “Spiriti Liberi”! Mi piace, mi glorifica e gratifica, mi dà autostima, come una bella medaglia da appuntare sul petto quando sarò vecchietto. Ripongo il prezioso diario di cima nel suo scrigno, concedendomi alcuni minuti di relax. La voglia matta di montagna non diminuisce, vivrei in eterno in questo sogno, ma le nuvole in lontananza mi invitano a pensare al ritorno, si sa in montagna il meteo cambia all’improvviso. Per la discesa del primo tratto seguo un altro percorso, notando dall’alto alcune deboli tracce, così aggiro a sinistra il tratto esposto sopra il catino erboso. Con molta calma con movimento da bradipo guadagno la base del canalone. Avevo avuto la mezza idea di salire anche sull’Ardot, di qualche metro più basso rispetto allo Zérten, ma in confidenza non ne avevo voglia, e non mi sono chiesto nemmeno il perché. Lungo il sentiero di ritorno (lo stesso dell’andata), pensavo alle emozioni provate, nel frattempo la giornata volgeva al meglio, le nuvole abbandonavano la valle, i colori erano più intensi e luminosi, e quella strana sensazione di felicità si impossessava dello spirito. Raggiunta la casera di Cuare, consumo lo spuntino, lasciandomi cullare dalla splendida visione, per poi riprendere il cammino e raggiungere il luogo di partenza. Mi aspetta l’ambiente bucolico che avevo lasciato, il canto dei galli, suoni di vita quotidiana, e un bel gattone bianco appisolato sotto l’auto. Tutte queste emozioni imprigionano il mio spirito in un lungo torpore. La stessa estasi che prova il viandante quando scopre nuove terre. Rientro alla civiltà udendo il rombo delle moto, il suono della vita quotidiana, osservando le future cime, i futuri amori. Lasciando alle mie spalle la valle del Vajont, dove per noi escursionisti la morte ha lasciato il posto all’amore.

Il vostro “Forestiero Nomade”

Malfa.

 

 










































































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